Pasquale Di Domenico vince ad Eboli con il romanzo “Il costo della libertà”, storia di un emozionante cammino di riscatto

EBOLI (SA), MONTECORVINIO PUGLIANO (SA), CAVA DE’ TIRRENI (SA). Non solo orgoglio di campanile, non solo soddisfazione affettiva o compiacimento per la gioia di una persona che lo merita, ma anche una profonda emozione generazionale. Questo abbiamo provato alla notizia che il nostro Pasquale Di Domenico, originario di Santa Lucia di Cava de’ Tirreni, cavese per nascita e per formazione e attualmente “ranchero” a Montecorvino Pugliano, con il suo romanzo autobiografico Il costo della libertà ha vinto il primo premio assoluto al Concorso internazionale di Poesia e Narrativa Il saggio – Città di Eboli, con la seguente motivazione:L’Autore parla di libertà e la sua è la dottrina di Socrate: quella del Bene Supremo. Infatti vale la pena di vivere una vita in cui continuamente si cerchi di capire e di essere capiti (Exetàzein).

Quel Bene Supremo di cui parla motivazione non è nel romanzo un valore astratto, ma la ricchezza dei valori che hanno contrassegnato il cammino di una vita intera e che hanno permesso al nostro Di Domenico di tagliare a braccia alzate, pur se con il corpo madido di sudore, traguardi da sempre agognati e perseguiti, grazie anche alla rete degli affetti, con tutto l’ottimismo della volontà, la forza della tenacia, l’intensità dell’amor proprio, la ricchezza inesauribile dell’Amore.

Il libro significativamente presenta in copertina l’ingresso suggestivo di una villa di campagna, che da cinque anni, rappresentando il regno dell’autore e della sua famiglia, è la spettacolare ed amata materializzazione dei suoi sogni. È il segno della Libertà, anzi delle Libertà: autonomia economica, spazio vitale, spazio di lavoro agricolo ed artigiano senza vincoli e senza ansie, gestione del tempo, ospitalità generosa e saporita, coltivazione dell’amore, dell’affetto e delle amicizie senza pressioni o condizionamenti, dolce e matura fruttificazione della Vita.

Ogni pietra, ogni oggetto, ogni mobile, ogni fiore ed ogni foglia sono ad immagine e somiglianza suoi e della moglie Amalia: ed hanno un sapore, un colore, un calore, un’anima che rassicurano chi li ha plasmati e trasmettono energia a chi li percepisce da sé o ne prende coscienza attraverso le loro parole, che descrivono fatti e cose ma generano nel cuore continue onde di luce, come una vite ad espansione.

È la luce la chiave di quest’anima, perché si contrappone alle ombre da cui nasce e da cui si è liberata, ombre delle difficoltà superate nell’affrontare un cammino vincente lungo una vita.

È la luce di Itaca per “Pasquale – Ulisse”, quando si volta indietro e alle spalle sente le voci e i rumori di un’infanzia ricca di valori, ma anche di defatiganti battaglie, paure, fatiche, smarrimenti.

Risente il suo scalpiccio mattutino di quando aveva quattro anni e prima di andare a scuola doveva meritarsi il banco girando la ruota delle corde artigianali di Santa Lucia.

Riprova la fatica di vivere di tempi in cui in alcune famiglie si trattava di scegliere se mandare il figlio a scuola o comprare un cappotto.

Riassapora la nuvola del disagio quando tutto era poco e tutto era contato e niente era scontato.

Gli ritorna spontaneo tenersi con le mani i pantaloni, che gli cascano perché sono tenuti su solo da una corda e non da una cintura.

Rivive la ricerca di slanci affettivi in una famiglia che, come quelle di allora, non aveva né tempo né predisposizione per il calore delle coccole, ma riteneva che coccolare fosse soddisfare le necessità dei bisogni primari. Riascolta la voce dei professori autoritari, l’imperio delle gerarchie familiari indiscutibili, la fatica fisica e mentale di dare una mano alla squadra di casa (due genitori e nove figli) e nello stesso tempo di aprire una strada ai suoi sogni. E quella strada aveva un nome solo: scuola & studio, studio & scuola, fino in fondo, fino alla laurea, fino alla cattedra di insegnante. Superando tutti i limiti di un retroterra culturale difficile, attrezzandosi a vincere le sconfitte ed a sfruttare al massimo le vittorie.

Riassapora il gusto agrodolce delle lacrime che nei momenti di maggiore smarrimento gli colavano pesantemente leggere sulle labbra.

Eppure, soprattutto oggi che il cammino si può valutare nella sua globalità, come un panorama di grande respiro appare sempre più chiaro a chi sale verso una cima, anche le sofferenze e le paure di ieri sembrano più feconde perché accompagnate dalla consapevolezza di essere nello stesso tempo cresciuto con un’identità culturale e morale chiara, netta, utile, a volte quasi necessaria, per imparare a lottare, a vincere le sfide, a navigare senza perdere le sue illuminanti stelle polari.

È stato questo il prezzo della libertà.

Dai semi dell’ombra è fiorita la luce.

Una luce, però, generazionale. E qui torno all’assunto iniziale.

Pasquale Di Domenico è nato nel 1950 ed appartiene alla generazione ed al periodo più fortunati della storia d’Italia: il passaggio dalla società contadina a quella industriale e quindi dalla povertà, o dall’economia di sussistenza, generalizzate e diffuse al benessere altrettanto generalizzato e diffuso.

Un mondo di sacrifici dei padri ripagati dalle conquiste dei figli, anch’essi coltivati a base di utili sacrifici. Un mondo di padri contadini e figli professionisti. Il mondo in cui, appunto, da bambini si doveva sudare nei campi per poter almeno, o al massimo mangiare, e da grandi ci si può permettere di avere ville e terreni da coltivare solo per hobby. Un mondo in cui, dopo una Guerra devastante, per anni sono fioriti la Pace, il Lavoro, perfino le Pensioni. Un mondo non certamente tutto da esaltare, ma che ha permesso conquiste che prima era follia sognare. Un mondo che è passato dalla stalla alle stelle, anche a costo di perdere tutto il benefico odore delle stalle e di non capire fino in fondo la luce delle stelle.

Quel mondo siamo noi, che apparteniamo alla generazione di Pasquale. Noi, che abbiamo conquistato le stelle ed ora piano piano stiamo trascinando le prossime generazioni verso nuove stalle, senza che neppure ci siano abituate. Un cammino a ritroso che ci angoscia e ci spaventa.

Ma almeno possiamo voltarci indietro e guardare i Pasquale che ce l’hanno fatta. E sono stati tanti, non certo uno su mille.

E allora viene spontaneo un sorriso: “Però, comunque sia andata, è stato bello!…è bello! … potrebbe essere ancora bello, anche se in un modo diverso!”

È da questa bellezza, da questa ricchezza, che possiamo trarre gli auspici per un rinnovata speranza. Una di quelle che non vogliono morire.

Perciò, Pasquale e noi siamo uniti in una stessa emozione.

Perciò, Pasquale “è” noi …


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