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Cava de’ Tirreni (SA) – Lombardia. Il volo di Giovanna Di Domenico, violoncello alle nozze di Federica Pellegrini ed al Gran Premio di Moto GP

Ha solo ventisei anni e già un bell’avvenire dietro le spalle, Giovanna Di Domenico, operativa in Lombardia ma cavese doc per residenza e origine (è figlia del dottor Maurizio Di Domenico e della cara Amanda P. Bough, purtroppo precocemente scomparsa poche settimane fa).

Suona da quando aveva dieci anni, ha fatto il suo primo concerto a dodici (da pianista), per specializzarsi poi nel violoncello sotto la guida di maestri coi fiocchi ( Maria Cristina Tortora dell’Accademia “Jacopo Napoli”, Silvano Fusco, Valeriano Taddeo, Ilie Ionescu…). Diplomatasi presso il Conservatorio “Domenico Cimarosa” di Avellino, ha intrapreso la via dell’insegnamento, in Lombardia, tra le province di Como e Milano (attualmente insegna a Saronno).

La sua passione però rimane la musica suonata. In questo campo sta prendendo il volo, e che volo, dopo un 2022 dorato che l’ha vista, tra l’altro, esibirsi in manifestazioni di risonanza nazionale e internazionale, come il matrimonio della “divina” Federica Pellegrini, supercampionessa di nuoto, e il Gran Premio di Motociclismo a Misano. Roba da squagliarsi di emozione. Ne parliamo direttamente con lei.

  • Quali immagini ti porti nel cuore, dopo questi due eventi esaltanti?

  • Impossibile dimenticare l’atmosfera del matrimonio di Federica Pellegrini, in quella magica serata. L’Isola delle Rose a Venezia, una location elegante, emozioni profonde, gioia diffusa in ogni angolo, la divina Federica più splendente che mai, la sposa sul palco a ringraziarci per aver animato la sua festa, il coinvolgimento di tutti in un’atmosfera assolutamente amicale…. E tanta musica nel cuore, oltre che dai nostri strumenti. Ci siamo sentiti anche noi degli invitati come gli altri…. Quasi una fiaba….

  • E a Misano?

  • Una storia completamente diversa, anche se altrettanto affascinante. Immaginate, nell’esecuzione, puntati direttamente su di noi gli occhi delle autorità e degli atleti e delle decine di migliaia sugli spalti e nel prato, senza contare i milioni in televisione. E noi in pista con gli strumenti pronti a suonare, con il cuore che correva come un treno.

  • Tra l’altro, avete intonato l’inno di Mameli…

  • È stato il momento più emozionante. Il cuore continuava a scoppiarci. Ma alla fine ce l’abbiamo fatta… e non nascondo che, per la gioia e lo sfogo della tensione, ci è anche scappata la lacrimuccia…

  • Chi erano i tuoi partner?

  • A Venezia ho suonato con la Arechi band, che, come dice il nome, è di origine salernitana. A Misano con il quartetto d’archi, guidato dal manager Davide Bulega, in cui mi sono inserita nel corso della mia esperienza di insegnamento in Lombardia. Con me al violoncello, c’erano ai violini Caterina Coco (milanese di residenza, siciliana di origine) e Silvia Beatrice Pagano, milanese, alla viola Matteo Lipari (comasco), alla chitarra elettrica Giulio Maceroni (comasco).

  • E ora, continuerai a fare il gabbiano…

  • Sì, ma pur sempre un gabbiano coi piedi per terra, con le spalle coperte dall’attività dell’insegnamento nelle scuola pubblica. E, pur proseguendo l’attività in Lombardia, rimango, nel cuore e nella residenza, una cavese doc. A Cava c’è la mia famiglia, che per me è un mondo d’amore. A Cava e nel territorio ci sono le mie radici forti, di affetti e formazione, sociale e musicale.

  • Da queste radici verrà ancora la linfa che darà forza alle tue ali.

  • Certamente, ed è bello sapere che ci sono state… e ci sono.

Campania. Poesie dal mondo, in napoletano, per un mondo d’Amore: il canto di Salvatore Esposito

Tutte nella versione in lingua italiana e nella rispettiva traduzione, o traslitterazione, in lingua italiana: cinquantanove poesie di circa cinquanta poeti dei cinque continenti, dai grandissimi del Novecento a scoperte o riscoperte di stimolante suggestione. Ne deriva un esperimento originale, un’ariosa e musicale passeggiata nel mondo globale delle “emoriflessioni” in versi e della parola che ne rappresenta il colore e il sapore. Ne deriva un tuffo a spruzzi fecondi nella nostra lingua madre di Napoli , a conferma della sua forza espressiva ricca di intime armonie, dell’intreccio di correnti identitarie che ne caratterizzano l’anima, della sua capacità di assorbire dimensioni altre e come tale di farsi ponte di culture, così come in passato è stata la città che ne è depositaria.

È tale la sostanziosa sostanza di Abbraccianno ‘o munno (Spring Edizioni), quarto libro di Salvatore Esposito, poeta e scrittore casertano, componente di spicco dell’ANPOSDI (Associazione Nazionale Poeti e Scrittori d’Italia), da oltre cinquant’anni impegnata nella promozione e diffusione delle lingue dialettali. Questa raccolta rappresenta anche un significativo e produttivo esempio dello spirito “anposdino”, uscendo fuori dall’ambito della pura vernacolarità per diventare fruibile e formativa per chiunque ami la poesia. Infatti anche chi è estraneo al napoletano si può tuffare comunque a pesce in questa antologia di poesie comunque al top e comunque in gran parte già tradotte da altre lingue, quindi già distaccate dall’originale suono “etnico”. E ne apprezzerà la fondo lalto livello della dimensione letteraria.

Consapevole del fascino e delle difficoltà di questa piccola impresa, Esposito si è dovuto avventurare in una scelta certamente non facile e immaginiamo che avrà prima selezionato le liriche da lui più amate o stimate, poi ne avrà ponderato la compatibilità con la musicalità della lingua napoletana e avrà effettuato la sua “traduzione inclusiva”, con minuzioso rispetto dei ritmi interni di ogni opera. Se questo è un particolare tecnico, nelle considerazioni sull’intero lavoro ci hanno intrigato, accanto al risultato finale, proprio il cammino interiore e le implicazioni non solo linguistiche e poetiche ma anche esistenziali ed emozionali che hanno animato Esposito.

Anche lui, forse, con questo lavoro, si è chiesto con Machado: Che ccirche, pueta, ‘int’ ‘o tramunto? Forse, oltre a donare versi e napoletanità, nell’operare le scelte ha anche cercato di riannodare i fili delle “sue” vite, e nel farlo si è piacevolmente raggomitolato nei fili dei mondi che ha conosciuto al Nord e al Sud dell’Italia, dell’ammirazione per la cultura nazionale e internazionale, dell’orgoglio profondo e sentito per la sua ”cultura terrona”.

Il risultato di quest’operazione è un libro che tocca nel profondo, perché ci mette a contatto diretto con la vita, con il suo senso e soprattutto con la sua gestione, compresa quella troppe volte scellerata che ne fanno gli uomini, sciupandone nell’odio, nell’oppressione e nella trascuratezza emozionale le lumiinose potenzialità di amore e di bellezza.

Che non siano affermazioni astratte lo possiamo dimostrare anche percorrendo uno solo dei sentieri aperti dai testi nella loro successione, utilizzando volutamente nelle citazioni solo la lingua napoletana, che è la chiave portante dell’esperimento.

Se andiamo già a spulciare nei versi chiave delle prime poesie scelte, pur messe in ordine alfabetico secondo i cognomi dei poeti, ci troviamo sciorinate le principali problematiche che compongono la visione del mondo di Esposito e che lui del resto spesso ha inserito nelle sue precedenti raccolte, dove però in più a volte c’erano un’ironia e una ludicità che qui sono messe in disparte, data la dimensione a volte “sublime” della ricerca.

Si apre con l’invito alla ponderazione per sentire al meglio la vita (hê ‘a essere appusato, core, dalla Achmatova), per proseguire con la malinconia esistenziale in quanto tale (e na voglia ‘e chiagnere senza pecché, da Bertolucci), e con l’invito alla reattività e all’energia necessarie per affrontare il tutto (Nfino a quanno sì vviva, sientete viva, da Madre Teresa). E poi l’alternativa del sorriso ai “giochi di guerra” che fanno i ragazzi e adulti (Ce sta n’atu juoco ‘a nventà: fa ridere ‘o munno, nun farlo chiagnere, da Brecht), alle problematiche complicate connesse all’umanità dell’amore (Quanno Ddio criaje ll’ammore, nun c’ha aiutato assaje, da Bukovsky), fino ad arrivare, ultimo ma non meno importante, al senso profondo della natura e alla percezione del tutto e dell’infinito, nell’abbandono del silenzio e nellì ascolto mistico di quelle voci interiori che non sempre ci arrivano dentro fino in fondo. In questa chiave si spiegano la meritoria riscoperta di un “infinito silenzio” del D’Annunzio paradisiaco (Nun me vene a mmente ca ‘e nu silenzio ca nun ferneva maje, addo nu pàrpeto sulo, debbole, oh accussì debbole, se senteva.), il lorchiano cuore ca se sente n’isula d’ ‘o firmamento, la dolcezza caproniana del silenzio di una spiaggia di sera (nu rincresciuso scummà ianco ncoppa all’aleghe, e nu viento frisco che ssala ‘a faccia.), l’addore ‘e ll’univerzo mentr’ ‘e stelle mannano signale della Symbovska

In collocazione quasi centrale, troviamo le due frasi più alte, più universali e forse anche più “espositiane”: quel tenerissimo e ripetuto Tieneme pe mmana di Hesse, unaspirante boccata d’amore lunga una vita e lunghissima al tramonto e nei momenti di smarrimento (Tieneme pe mmana ô tramunto, quanno ‘a luce d’ ‘o juorno se stuta la dint’ ‘e juorne ca me sento sbaculiato) e lo stupendo, metaforico auspicio del poeta palestinese Mahmud Darwish (ammacaro fosse ‘na cannela dint’ ‘o suro), che richiama quel suo canto esistenzial popolare in cui riusciva a trasformare “la sua ferita in una lampada ad olio”.

Proseguendo nella lettura, che a questo punto avviene a ciliegia, perché una poesia tira l’altra,, noteremo che proprio sull’Amore, in tutte le sue forme, si concentra l’attenzione priimaria del nostro critico-traduttore-poeta. E si crea un arco radicale di tematiche che parte dalla sopportazione dell’idea di morte grazie al pensiero dell’amata nel Levi di Ausschwitz, quando combatteva con l’idea che ca ‘o munno era nu sbaglio ‘e Ddio e i’ nu sbaglio d’ ‘o munno. L’arco procede poi dall’ungarettiano attaccamento alla vita che nasce nella notte di guerra passata accanto ad un compagno massacrato quando cu ‘a cranatura d’ ‘e mmane soje trasuta dint’ ‘o silenzio mio aggio scritto lettere chiene d’ammore. E, lirica dopo lirica, perviene fino al coinvolgente, emozionante, avvolgente invito di Alda Merini a fare l’amore, non a fare sesso, sublimando l’unione fisica come l’unione totale di corpo e anima nel momento in cui avviene, a prescindere dai ruoli e dalle situazioni degli amanti, pecché ll’ammore è arte, e nnuje ‘e capulavore

Insomma, ce ne sono di passeggiate emozionali e meditative da fare in tutto il libro, ma l’emozione più forte, per chi è di lingua napoletana, diventa la consapevolezza di aver parlato e letto nella nostra lingua versi provenienti da altri mondi con la stessa disinvoltura con la quale potremmo citarli in lingua italiana, anzi forse con maggiore intensità e corrispondenza. È un ulteriore riprova che la lingua napoletana può… e c’è, e forse anche più di altre, che non con altrettanta facilità potrebbero travasare il napoletano nel loro idioma.

E allora teniamolo sul comodino, questo libro, e godiamocelo come ciliegina quotidiana, che addolcirà non solo il nostro orgoglio partenopeo, ma ci darà anche lo spunto per sentire meglio la vita e poi magari, spenta la luce, pensare con la Symboska che Dint’ ‘o scuro me cunosco nu poco ‘e cchiù, parte piccerella ‘e chist’infinito.

E poi addormentarsi nella culla della vita senza paura, perché a sciulià ‘nfunno è ddoce dint’ a stu mare d’ ‘o munno….

Cava de’ Tirreni (SA), Bacoli (NA), Cuba. Cuba e la Pompei sommersa di Bacoli per il debutto di Ester Cherri, neo Presidente Rotary – Cuba y la Pompeya sumergida de Bacoli para el debut de Ester Cherri, nueva presidenta de Rotary de Cava de’ Tirreni

Scienza e arte, personale e globale, relazioni amicali e istituzionali, Cava e il mondo e, in fondo, la poesia insita negli occhi e nel cuore… è stato un mix saporito a sfoglie volanti, il debutto della neopresidente della sezione cavese del Rotary Club, Ester Cherri, già Dirigente Scolastica e a suo tempo personaggio di spicco della politica cittadina alla fine del secolo scorso, eletta per l’Anno sociale 2022 – 2023, succedendo a Salvatore Russo.

Infatti, con ospitalità personale a casa sua, relazione associativa e un gustoso incontro gastronomico chez Liberti dopo un Direttivo, ha fiancheggiato l’iniziativa “Arte sotto le onde: dal Mediterraneo al Caribe – Italia-Cuba-Spagna”, promossa dall’Associazione cavesesalernitana Italia-Cuba, operativa da tempo grazie al dinamismo del superatleta-sognopedalatore di Pace Emilio Lambiase. Emilio, vale la pena rinfrescare la memoria,. è il recordman mondiale 2000 della distanza percorsa su ventiquattro ore in bicicletta, oltre che il ciclista politico-solidale che tracciava con le sue ruote percorsi fortemente simbolici, come gli ipotetici confini dello Stato palestinese che non c’è oppure il percorso rivoluzionario della Cuba e del Fidel che facevano sognare una generazione… e, robetta non da poco, ha più volte fatto venire a Cava Alberto Granado, amico del Che e motociclista con lui nei famosi giri in America latina con susseguente diario.

Insomma, nel rapporto con Italia- Cuba la Presidente Cherri ha rispolverato un bel po’ di scintille sociopolitiche che non hanno mai smesso di covare sotto la cenere. Ma le scintille sotto la cenere si smuovono anche per accendere nuovi fuochi e perciò l’iniziativa in questione è nata moderna, un opportuno ponte culturale sposato con la realtà turistico culturale del nostro territorio e con la nostre secolari radici, oltre che con le potenzialità offerte dalla società globale. Infatti è stata patrocinata ufficialmente non solo dalla Repubblica di Cuba, ma anche dall’UNESCO, ed è stata supportata dal Comune di Bacoli, dal Parco Archeologico Campi Flegrei, dal Museo Archeologico di Napoli e dai Centri Sub di Bacoli e Cuba.

È una rete che ha suscitato l’interesse dei media (è stato anche realizzato un bel servizio da RAI 3) e che da sola fa comprendere il respiro potenziale del progetto. Questo consiste in un’esplorazione multimediale subacquea nella “Pompei sommersa” di Baia e dintorni, dove sott’acqua si possono ammirare pavimenti, mosaici, colonne, ambienti di due mila anni fa (ma anche lo spettacolo a terra non è da poco). L’obiettivo finale è una serie di esposizioni dei dipinti e delle foto prodotti, da proporre in luoghi prestigiosi, a cominciare dalla sede parigina dell’UNESCO, dove già è stata realizzata un’esperienza analoga nel 2017..

La troupe operativa ispano-cubana è stata composta da Vicente Gonzales Diaz, cubano, archeografo e fotografo subacqueo (capo delegazione), Alfonso Cruz, spagnolo, pittore subacqueo e “poeta del mare”, Noel Lopez Fernandez, domatore di squali e fotografo sottomarino, Reinaldo Villamil, artista plastico e spettacolare pittore.

Quattro “top personalità”, che sono ben emerse nel corso dell’incontro post-Direttivo.

Vicente come leader di riferimento ha già di suo il fisico autorevole e affidabile del ruolo ed è di fatto un hombre vertical completo, perché alla dimensione personale artistica e culturale, ricca di umanità e partecipazione unisce la determinazione nella voce e negli atteggiamenti, come del resto si addice ad uno che ha curato la Sicurezza nazionale in occasione delle visite a Cuba sia di Papa Giovanni Paolo II che di Papa Francesco.

Villamil è l’artista che guarda, scopre, immagina e rappresenta più che parlare, ma fa parlare i suoi dipinti, dove su luoghi storici con colori forti e quasi esplosivi raffigura battaglie altrettanto storiche o simboleggia episodi di attualità, spesso legati proprio alle onde del mare. Impressionante ed emozionante la sua allegoria dell’emigrazione: un mare aperto, una barchetta di carta di giornali, in piedi un marinaio rematore ricoperto di carta di giornali con titoli di protesta,con le mani non ai remi, ma legate a due corde opposte puntate altrove (paese di origine e di arrivo?) come imprigionanti legacci….

Noel è un altro col fisico del ruolo, imponente e muscoloso: e non potrebbe essere altrimenti, uno che ha trascorso una vita nell’acqua a domare pesci non proprio leggerini e non sempre tranquilli ed a fare fotografie nel fondo dei mari, con la forza di affrontare le profondità e postare scenari dall’angolazione giusta e con tutta la pazienza di tempi giusti. Una forza che da tempo è utilizzata anche nell’organizzazione e nella gestione di una importante Parco Nazionale Acquatico, Los Jardines de la Reina.

E poi c’è Alfonso, che colora di poesia tanti lampi di osservazione e di immagine. Già, perché girare il mondo, esplorare gli oceani, fermarsi anche a trenta metri sott’acqua, sia pure con lo scafandro e il gabbiotto, e lì scegliere lo scenario da rappresentare e ridiscendere anche più volte, in condizioni di luce e visibilità sempre mutanti, oltre che una fatica non da poco, cos’altro è se non la ricerca della poesia di una “dimensione altra e oltre”? Sarebbe più facile scattare la fotografia dell’istante, ma quell’istante non trasmette il flusso della vita, che lì, in fondo al mare, nelle vaghezze e nelle variazioni continue della luce, delle immagini e delle situazioni ci appare in tutta la sua avvolgente energia e nel suo travolgente mistero. È questo che fa Alfonso Cruz e con lui pochi al mondo, esploratori e ricreatori delle profondità. In tale ricerca, in tale serie di percezioni a volte anche visionarie c’è un riflesso della poesia complessiva “que està en la diaria”, cioè insita nella vita di ogni giorno, in ogni istante e perciò sublimata in certi momenti dalle sfide degli sguardi da postazioni “uniche”, a scoprire una dimensione alta dell’Anima e dell’Amore, da elaborare e trasmettere. È questo che poi Cruz fa con i suoi lavori non solo pittorici ma anche poetici (lui stesso si considera prima di tutto poeta), con le sue mostre e anche con la sua presenza nel sociale, fatta di comunicazioni e anche di attività solidali, oltre che di continua rielaborazione personale in una cammino intriso di spirito evangelico.

Da quanto detto, si comprenderà quanto sia stata stimolante la serata, che ha meritato, nel momento della foto di gruppo, il “sottotitolo” di Cultivo una rosa blanca, dalla famosa propositiva poesia di José Martì, il grande poeta e patriota di Cuba, figura ideale per Emilio, che di rose bianche ne ha coltivate non poche con Italia Cuba… e continua a coltivarne, insieme con i suoi sogni…

Forse, però, la rosa più profumata, e anche la più spinosa, l’ha coltivata la neo presidente Ester Cherri: in un angolo del suo cuore ha dedicato l’incontro al marito Salvatore Calderazzo, che, ai tempi ruggenti della politica e prima della prematura scomparsa, tanto sognava un viaggio a Cuba con lei. Beh, a Cuba non ci sono andati ma almeno lei ha fatto in modo che Cuba andasse a lei, anche nella sua casa, che ora, chissà, ha un profumo diverso: di passato… e di futuro…

Buon anno di Presidenza, Presidente!


Cuba y la Pompeya sumergida de Bacoli para el debut de Ester Cherri, nueva presidenta de Rotary de Cava de’ Tirreni

La ciencia y el arte, lo personal y lo global, las relaciones amistosas y las institucionales, el Cava y el mundo y, al final, la poesía inherente a los ojos y al corazón… fue una sabrosa mezcla de pastelería voladora,en el debut de la nueva presidenta de la sección Cavese del Rotary Club, Ester Cherri, ex directora de escuela y en su momento, figura destacada de la política de la ciudad a finales del siglo pasado, elegida para el año social 2022 – 2023, sucediendo a Salvatore Russo.

De hecho, con una hospitalidad personal en su casa, un informe de la asociación y un sabroso encuentro gastronómico chez Liberti después de una reunión de la junta directiva, flanqueó la iniciativa “Arte bajo las olas: del Mediterráneo al Caribe – Italia-Cuba-España”, promovida por la Asociación Cavesalernitana Italia-Cuba, que funciona desde hace tiempo gracias al dinamismo del superatleta-caminante por la paz Emilio Lambiase, conviene refrescar la memoria, es el plusmarquista mundial del año 2000 de la distancia recorrida en veinticuatro horas en bicicleta, así como el ciclista político-solidario que utilizó sus ruedas para trazar rutas altamente simbólicas, como las hipotéticas fronteras del Estado palestino que no existe, o la ruta revolucionaria de Cuba y Fidel, que hizo soñar a una generación… y, cosa no menor, llevó repetidamente a Cava a Alberto Granado, amigo del Che y motociclista en las famosas giras por América Latina y posterior diario.

En resumen, en la relación entre Italia y Cuba, el Presidente Cherri ha desempolvado un montón de chispas sociopolíticas que nunca han dejado de arder bajo las cenizas. Pero las chispas bajo las cenizas también arden para encender nuevos fuegos, y así nació la iniciativa en cuestión, moderna, un oportuno puente cultural casado con la realidad turística cultural de nuestro territorio y nuestras raíces milenarias, así como con el potencial que ofrece la sociedad global. De hecho, fue patrocinado oficialmente no sólo por la República de Cuba, sino también por la UNESCO, y contó con el apoyo del Ayuntamiento de Bacoli, el Parque Arqueológico de Campi Flegrei, el Museo Arqueológico de Nápoles y los Centros de Buceo de Bacoli y Cuba.

Se trata de una red que ha despertado el interés de los medios de comunicación (incluso hubo un bonito reportaje de la RAI 3) y eso ya da una idea del alcance potencial del proyecto. Consiste en una exploración multimedia submarina de la “Pompeya sumergida” de Baia y sus alrededores, donde bajo el agua se pueden admirar suelos, mosaicos, columnas y villas de hace dos mil años (aunque el espectáculo en tierra tampoco es desdeñable). El objetivo final es una serie de exposiciones de las pinturas y fotografías producidas, que se mostrarán en lugares de prestigio, empezando por la sede de la UNESCO en París, donde ya se realizó una experiencia similar en 2017.

La tropa operativa hispano-cubana estaba compuesta por Vicente González Díaz, cubano, arqueólogo y fotógrafo submarino (jefe de la delegación), Alfonso Cruz, español, pintor submarino y “poeta del mar”, Noel López Fernández, domador de tiburones y fotógrafo submarino, Reinaldo Villamil, artista plástico y pintor espectacular.

En la reunión posterior a la reunión del Director, salieron reconocidas estas cuatro “personalidades”.

Vicente como líder de referencia ya tiene el físico autoritario y confiable del rol y es de hecho un hombre vertical completo, pues a su dimensión personal artística y cultural, rica en humanidad y participación, une la determinación en su voz y actitudes, como corresponde a quien ha cuidado la Seguridad Nacional durante las visitas a Cuba tanto del Papa Juan Pablo II como del Papa Francisco.

Villamil es el artista que mira, descubre, imagina y representa más que habla, pero deja que hablen sus cuadros, en los que representa batallas igualmente históricas con colores fuertes, casi explosivos, o simboliza episodios de actualidad, a menudo vinculados precisamente a las olas del mar. Su alegoría de la emigración es impresionante y conmovedora: un mar abierto, un pequeño barco hecho de papel de periódico, de pie un marinero remando cubierto de papel de periódico con titulares de protesta, sus manos no en los remos, sino atadas a dos cuerdas opuestas que apuntan a otra parte (¿país de origen y país de llegada?) como lazos de aprisionamiento….

Noel es otro con el físico del papel, imponente y musculoso: y no podía ser de otra manera, uno que se ha pasado toda la vida en el agua domando peces no muy ligeros y no siempre tranquilos y fotografiando en el fondo de los mares, con la fuerza de enfrentarse a las profundidades y a los escenarios de los postes desde el ángulo adecuado y con toda la paciencia de los tiempos adecuados. Una fuerza que también ha sido utilizada durante mucho tiempo en la organización y gestión de un importante Parque Acuático Nacional, Los Jardines de la Reina.

Y luego está Alfonso, que pinta con poesía tantos destellos de observación e imagen. Sí, porque viajar por el mundo, explorar los océanos, detenerse incluso a treinta metros bajo el agua, aunque sea con escafandra y jaula, y allí elegir el escenario a representar y volver a bajar una y otra vez, en condiciones de luz y visibilidad siempre cambiantes, además de un esfuerzo nada despreciable, ¿qué otra cosa es sino la búsqueda de la poesía de una “dimensión otra y más allá”? Sería más fácil fotografiar el instante, pero ese instante no transmite el flujo de la vida, que allí, en el fondo del mar, en la vaguedad y las variaciones constantes de la luz, las imágenes y las situaciones se nos presenta en toda su energía envolvente y su misterio abrumador. Esto es lo que hace Alfonso Cruz, y con él pocos en el mundo, exploradores y recreadores de las profundidades. En esa búsqueda, en esa serie de percepciones, a veces incluso visionarias, hay un reflejo de la poesía global “que está en la diaria”, es decir, inherente a la vida cotidiana, a cada instante y, por tanto, sublimada en ciertos momentos por los desafíos de las miradas desde posiciones “únicas”, para descubrir una alta dimensión del Alma y del Amor, para ser elaborada y transmitida. Eso es lo que hace Cruz con sus obras, no sólo pictóricas sino también poéticas (él mismo se considera ante todo un poeta), con sus exposiciones y también con su presencia en el ámbito social, hecha de comunicaciones y también de actividades solidarias, así como de continua reelaboración personal en un camino impregnado de espíritu evangélico.

Por lo dicho, se comprenderá lo estimulante de la velada, que mereció, en el momento de la foto de grupo, el “subtítulo” de Cultivo una rosa blanca, del famoso poema propositivo de José Martí, el gran poeta y patriota de Cuba, figura ideal para Emilio, que ha cultivado bastantes rosas blancas con Italia Cuba… y sigue cultivándolas, junto a sus sueños…

Pero quizá la rosa más fragante, y también la más espinosa, la cultivó la nueva presidenta Ester Cherri: en un rincón de su corazón dedicó la reunión a su marido Salvatore Calderazzo, que en los tiempos de la política y antes de su prematura muerte tanto soñó con un viaje a Cuba con ella. Bueno, no fueron a Cuba, pero al menos hizo que Cuba fuera a ella, incluso a su casa, que ahora, quién sabe, tiene un aroma diferente: a pasado… y a futuro…

¡Feliz año presidencial, Presidente!

Traduzione: Dott.ssa Indira Pineda Daudinot (Assistente Stampa)

Cava de’ Tirreni (SA). Il libro di storia che non c’era: la battaglia di Cava del 1943 …

Nel corso dell’incontro ufficioso, tenutosi nel Complesso di San Giovanni di Cava de’ Tirreni il 18 giugno u.s., di un’équipe di ricerca storica proveniente da Roma con il Comitato Figli di Mamma Lucia per il Museo, le autorità cittadine e i Dirigenti della Biblioteca, in cui era prevista una relazione sulle recenti ricerche relative alle battaglie combattute nel nostro territorio durante lo sbarco degli Alleati, sono state anche mostrate e donate le copie fresche di stampa del volume contenente proprio queste risultanze e realizzato dai ricercatori dell’équipe. Intitolato Salerno, Settembre 1943 – I combattimenti al caposaldo “San Liberatore” (Ed. Jovene), è stato curato da Francesco Lamberti, con la presentazione del prof. Lutz Klinkhammer, Vicedirettore dell’Istituto Storico Germanico di Roma, e la prefazione di Fabio Mini, generale e saggista. Hanno collaborato alla realizzazione il Dott. Antonio Cantoro, l’avv. Giuseppe Fienga, il prof. Nello Tesauro, il dott. Emilio Cafaro, il prof. Giampietro della Monica.

Il libro attualmente non è in vendita sul territorio, ma può essere ordinato direttamente presso le edizioni Jovene, oppure consultato in Biblioteca Comunale. Significative le dediche del curatore: ai suoi docenti delle scuole medie (Sigismondo Somma) e del liceo classico (Anna Di Donato), semi fecondi della sua formazione culturale, agli amici Gerardo Trezza e Guido Gambone, ai soldati caduti al caposaldo “San Liberatore” che ancora giacciono dispersi, a Mamma Lucia, Madre di Pietà, ai forti e ai coraggiosi di ogni tempo, alle giovani vittime delle guerre, all’amore per cui siamo nati, nonostante l’odio che purtroppo emerge dalle violenze delle guerre. Un raggio di ampio respiro che ben rende l’anima di un volume che sa unire la cura attenta e minuziosa degli aspetti militari alla dimensione umana, che va dalla passione vibrante per le tracce della storia alle testimonianze ed alle emozioni di chi la storia e la guerra l’ha vissuta sulla propria pelle fino all’alone della presenza comunque viva di chi dalla guerra non è tornato ed alla scia di pietà che ha lasciato.

Si tratta di un libro di altissimo profilo storico e documentario, perché con le sue seicentocinquanta pagine, risultato anche di accuratissime ricerche sul campo, analizza nei minimi dettagli scenari, situazioni, strategie, persone e personaggi, testimonianze di quei venti giorni che contribuirono a cambiare la storia, dallo sbarco a Salerno fino allo sfondamento verso Napoli.

Per certi versi è anche un libro “epocale”, per la ricchezza di dati e le prospettive diverse da cui analizza l’evento. Il punto di vista e la documentazione provengono non dalla parte degli Alleati vincitori, ma in particolare da quella degli sconfitti, cioè dei Tedeschi, il che non toglie obiettività storica, ma arricchisce di molto lo sguardo d’insieme. Vengono poi usati termini nuovi, che non sono forma ma sostanza e che influiranno in futuro sulla definizione stessa dell’evento. Quello che è stato sempre chiamato “Lo sbarco di Salerno” nel sottotitolo diventa “I combattimenti al caposaldo San Liberatore”, ad indicare il punto critico di riferimento, che riguardava proprio la punta estrema della Valle Metelliana. E poi, il capitolo introduttivo si intitola chiaramente “La Battaglia di Cava”, perché è da Cava e per Cava, punto fortemente strategico, che tanto si è combattuto. Con questa definizione sarà presentata la sezione specifica del nascente Museo per Mamma Lucia, con questa definizione, del resto avallata da uno studio e da studiosi di livello internazionale, speriamo che ora passi alla storia l’evento presso gli studiosi futuri.

In questa breve nota ne annunciamo la nascita, ma ci riserviamo un’analisi più articolata a breve termine, verso il mese di settembre, quando si ricorderà l’anniversario dello Sbarco… e naturalmente della Battaglia di Cava.

Cava de’ Tirreni (SA) – Roma. “Elvira”, la prima donna regista del cinema italiano. E vola alto la biografia di Flavia Amabile.

Il 16 giugno, a Palazzo di Città di Cava de’ Tirreni, si è concluso il primo ciclo di presentazioni editoriali della Rassegna “Un libro (quasi al giorno)”, promosso dall’assessore alla Cultura Armando Lamberti e coordinato dal sottoscritto scrivente Franco Bruno Vitolo. Bilancio positivo sia per il numero e la qualità delle opere presentate (circa venti tra fine 2021 e prima metà 2022), sia per i rapporti stabiliti con creativi e associazioni non solo del territorio, sia anche per il format originale (da sottoporre comunque a verifica), che prevede la presenza non solo istituzionale dell’Assessore e l’introduzione attiva del conduttore.


Di alto profilo e prospettive l’ultimo della serie preestiva, incentrato su “Elvira” (Einaudi edizioni), di Flavia Amabile, giornalista e scrittrice de “La Stampa”, nonché originaria di Cava. Elvira è Elvira Coda Notari, la prima donna regista del cinema italiano e una delle prime del cinema mondiale, nata a Salerno nel 1975, operativa a Napoli, morta a Cava de’ Tirreni dove visse dal 1930 al 1946, autrice di oltre cinquanta film, alcuni dei quali diventati molto popolari anche negli Stati Uniti tra gli emigranti italiani.

Nel momento in cui andiamo on line apprendiamo con grande piacere che dopo Cava è prevista una presentazione mercoledì 22 giugno a Roma, alla Casa del Cinema, in cui dialogheranno con l’autrice il Ministro delle Pari opportunità Elena Bonetti e la regista Cristina Comencini. Un decollo di assoluto prestigio che apre splendide prospettive al personaggio, al libro ed alla scrittrice. Buon viaggio, Elvira!

Sottoposta ad un’ingiusta “damnatio memoriae” fino alla fine del secolo scorso (anche perché documentariamente di lei erano rimasti solo due film o poco più e foto che si contano sulle dita di una mano), ad Elvira Coda Notari dagli anni Novanta in poi è stato riconosciuto quello che le spettava di diritto: è lei la pioniera assoluta del cinema italiano, la prima regista donna, non Lina Wertmuller, come si pensava prima. E sulla scia, per quanto riguarda Cava de’ Tirreni, il merito di riscoperta delle sue “tracce metelliane” va tutto a Patrizia Reso, che ha pubblicato nel 2011 un libro assolutamente illuminante, diventato poi una delle sorgenti primarie di questa produzione di Flavia Amabile.

Elvira” non è un saggio storico o critico o una ricostruzione giornalistica, ma un’ampia biografia romanzata, con il giusto mix di documentazioni inoppugnabili e di personaggi e situazioni vere o verosimili. La narrazione parte dalla scoperta del cinema da parte della giovane Elvira, contestuale all’incontro con Nicola Coda, l’uomo della sua vita, padre dei suoi figli, socio con lei della Dora film, la Casa di produzione con cui “spaccò” in società. Termina col buen retiro a Cava de’ Tirreni, dove Elvira ha vissutogli ultimi sedici anni della sua vita, amareggiata per l’emarginazione e la censura con cui l’aveva schiacciata il regime fascista, che non voleva sentire parlare dei temi sempre cari ad Elvira, cioè di panni sporchi, vicoli malfamati, poveri disoccupati o emigrati, violenze contro le donne, donne in cerca di autonomia e libertà….

La vicenda è raccontata come in un film, con una successione rapida e accattivante di episodi che si sviluppano nel tempo, infiorati di scene d’ambiente e montati con cambi secchi, ma chiarissimi di tempi e di luoghi. In questo “film” Flavia Amabile ricrea intorno a lei dei personaggi a tutto tondo capaci di “bucare la pagina”, , . a cominciare dalle persone di famiglia, padre e marito in testa. Tuttavia nei fatti e nei dialoghi in modo molto convincente fa emergere dalla cintola in su la personalità fortissima e geniale, ribelle e tenace, di Elvira, scavandola fin dove è plausibile: dalla vita sociale, intensissima, fino alle zone più profonde del cuore e dei sentimenti.

Ed è questa ampiezza di sguardo, oltre che una scrittura scorrevole e coinvolgente, che permette alla scrittrice di innalzare una biografia ad opera letteraria. Questo, detto per inciso, non è una sorpresa, perché, con la varietà delle sue opere precedenti (a pupille aperte sulle tensioni e le ribellioni internazionali o sulle collettività emarginate in Italia o anche sulla “filosofia” dei limoni della Costiera), Flavia Amabile non ha certo bisogno di dimostrare le sue qualità di giornalista e scrittrice e l’acutezza del suo occhio capace di scavare nella società ed anche nell’animo umano.

Nella forza emozionale della sua narrazione concorrono e fanno effetto varie situazioni e fattori convergenti.

Innanzitutto, il flusso di magia che inonda il cuore di Elvira di fronte alle prime immagini in movimento del cinema e nella scoperta dell’amore, un amore che nel tempo si scontra con le necessità pratiche della vita quotidiana e soprattutto con la concretezza da dare alla produzione e al flusso degli affari. Scintille di questa magia sprizzano a tratti anche dalla descrizione dell’ambiente napoletano di inizio Novecento, alimentato da una vitalità estrema, ricchissima di fermenti culturali ed umani, (non dimentichiamo anche il fiorire della canzone napoletana classica….). Un ambiente poi purtroppo compresso dalla crisi internazionale e alla fine mortificato dal regime fascista.

La tensione narrativa cresce poi in parallela convergenza quando esplode in Elvira il conflitto sempre più forte, quasi divorante, tra la dimensione di madre e moglie e la scelta di non rinunciare alla sua professione, che la porta a rompere tanti schemi e sacrificando pressoché in toto l’amore di una figlia, e non solo di lei. Ed è qui che il racconto tocca le sue vette più alte, uscendo dal puro ventricolo biografico per scandagliare i muri e le crepe del cuore…

Alla radice di tante tensioni, la battaglia intrapresa fin dall’inizio da Elvira con determinazione assoluta per farsi largo come imprenditrice in un mondo di casalinghe, come donna in un mondo di uomini, come cantrice del popolo in un mondo in cui alla cultura ufficiale non manca certo la classica puzza al naso. Ma la tempra di Elvira, nella rappresentazione molto plausibile della Amabile, è tale che Lei fa scendere in campo la sfida esistenziale per l’affermazione di se stessa e della sua autonomia e libertà, con la conseguente induzione verso scelte anche castranti, eppure alla fine appaganti, perché non sono dipese da nessun altro. Quel sapore della libertà che alleggerisce anche dolori e sofferenze… e perfino il suo “autoesilio” a Cava. ..

Tutto questo, ed altro, è venuto fuori già dalla prima presentazione, ma verrà sempre più abbondantemente a galla in futuro, in quel futuro in cui ci auguriamo che decolli anche nell’immaginario collettivo la conoscenza di Elvira Notari, fino a farne magari una fiction televisiva, di quelle così buone e giuste dedicate alle donne mattone dell’identità collettiva. E se non lo è Elvira Notari, un mattone…

Ora, nel nostro piccolo di Cava de’ Tirreni, ci auguriamo che venga finalmente collocata la lapide sulla sua casa dove ha chiuso i suoi giorni e ci si decida anche a consacrarle la via già decisa, in un quartiere popolare, di quel popolo di cui lei è stata parte e voce. I primi frutti si sono già visti. Infatti la targa sarà apposta a spese della Famiglia di Patrizia Reso, con l’intento di un duplice, sacrosanto omaggio a due donne-luce che provengono dal ventre di Cava.

Il cammino è partito, anzi ripartito, intanto. E la ripartenza si è mostrata già tanto “amabile” …