Campania. Poesie dal mondo, in napoletano, per un mondo d’Amore: il canto di Salvatore Esposito

Tutte nella versione in lingua italiana e nella rispettiva traduzione, o traslitterazione, in lingua italiana: cinquantanove poesie di circa cinquanta poeti dei cinque continenti, dai grandissimi del Novecento a scoperte o riscoperte di stimolante suggestione. Ne deriva un esperimento originale, un’ariosa e musicale passeggiata nel mondo globale delle “emoriflessioni” in versi e della parola che ne rappresenta il colore e il sapore. Ne deriva un tuffo a spruzzi fecondi nella nostra lingua madre di Napoli , a conferma della sua forza espressiva ricca di intime armonie, dell’intreccio di correnti identitarie che ne caratterizzano l’anima, della sua capacità di assorbire dimensioni altre e come tale di farsi ponte di culture, così come in passato è stata la città che ne è depositaria.

È tale la sostanziosa sostanza di Abbraccianno ‘o munno (Spring Edizioni), quarto libro di Salvatore Esposito, poeta e scrittore casertano, componente di spicco dell’ANPOSDI (Associazione Nazionale Poeti e Scrittori d’Italia), da oltre cinquant’anni impegnata nella promozione e diffusione delle lingue dialettali. Questa raccolta rappresenta anche un significativo e produttivo esempio dello spirito “anposdino”, uscendo fuori dall’ambito della pura vernacolarità per diventare fruibile e formativa per chiunque ami la poesia. Infatti anche chi è estraneo al napoletano si può tuffare comunque a pesce in questa antologia di poesie comunque al top e comunque in gran parte già tradotte da altre lingue, quindi già distaccate dall’originale suono “etnico”. E ne apprezzerà la fondo lalto livello della dimensione letteraria.

Consapevole del fascino e delle difficoltà di questa piccola impresa, Esposito si è dovuto avventurare in una scelta certamente non facile e immaginiamo che avrà prima selezionato le liriche da lui più amate o stimate, poi ne avrà ponderato la compatibilità con la musicalità della lingua napoletana e avrà effettuato la sua “traduzione inclusiva”, con minuzioso rispetto dei ritmi interni di ogni opera. Se questo è un particolare tecnico, nelle considerazioni sull’intero lavoro ci hanno intrigato, accanto al risultato finale, proprio il cammino interiore e le implicazioni non solo linguistiche e poetiche ma anche esistenziali ed emozionali che hanno animato Esposito.

Anche lui, forse, con questo lavoro, si è chiesto con Machado: Che ccirche, pueta, ‘int’ ‘o tramunto? Forse, oltre a donare versi e napoletanità, nell’operare le scelte ha anche cercato di riannodare i fili delle “sue” vite, e nel farlo si è piacevolmente raggomitolato nei fili dei mondi che ha conosciuto al Nord e al Sud dell’Italia, dell’ammirazione per la cultura nazionale e internazionale, dell’orgoglio profondo e sentito per la sua ”cultura terrona”.

Il risultato di quest’operazione è un libro che tocca nel profondo, perché ci mette a contatto diretto con la vita, con il suo senso e soprattutto con la sua gestione, compresa quella troppe volte scellerata che ne fanno gli uomini, sciupandone nell’odio, nell’oppressione e nella trascuratezza emozionale le lumiinose potenzialità di amore e di bellezza.

Che non siano affermazioni astratte lo possiamo dimostrare anche percorrendo uno solo dei sentieri aperti dai testi nella loro successione, utilizzando volutamente nelle citazioni solo la lingua napoletana, che è la chiave portante dell’esperimento.

Se andiamo già a spulciare nei versi chiave delle prime poesie scelte, pur messe in ordine alfabetico secondo i cognomi dei poeti, ci troviamo sciorinate le principali problematiche che compongono la visione del mondo di Esposito e che lui del resto spesso ha inserito nelle sue precedenti raccolte, dove però in più a volte c’erano un’ironia e una ludicità che qui sono messe in disparte, data la dimensione a volte “sublime” della ricerca.

Si apre con l’invito alla ponderazione per sentire al meglio la vita (hê ‘a essere appusato, core, dalla Achmatova), per proseguire con la malinconia esistenziale in quanto tale (e na voglia ‘e chiagnere senza pecché, da Bertolucci), e con l’invito alla reattività e all’energia necessarie per affrontare il tutto (Nfino a quanno sì vviva, sientete viva, da Madre Teresa). E poi l’alternativa del sorriso ai “giochi di guerra” che fanno i ragazzi e adulti (Ce sta n’atu juoco ‘a nventà: fa ridere ‘o munno, nun farlo chiagnere, da Brecht), alle problematiche complicate connesse all’umanità dell’amore (Quanno Ddio criaje ll’ammore, nun c’ha aiutato assaje, da Bukovsky), fino ad arrivare, ultimo ma non meno importante, al senso profondo della natura e alla percezione del tutto e dell’infinito, nell’abbandono del silenzio e nellì ascolto mistico di quelle voci interiori che non sempre ci arrivano dentro fino in fondo. In questa chiave si spiegano la meritoria riscoperta di un “infinito silenzio” del D’Annunzio paradisiaco (Nun me vene a mmente ca ‘e nu silenzio ca nun ferneva maje, addo nu pàrpeto sulo, debbole, oh accussì debbole, se senteva.), il lorchiano cuore ca se sente n’isula d’ ‘o firmamento, la dolcezza caproniana del silenzio di una spiaggia di sera (nu rincresciuso scummà ianco ncoppa all’aleghe, e nu viento frisco che ssala ‘a faccia.), l’addore ‘e ll’univerzo mentr’ ‘e stelle mannano signale della Symbovska

In collocazione quasi centrale, troviamo le due frasi più alte, più universali e forse anche più “espositiane”: quel tenerissimo e ripetuto Tieneme pe mmana di Hesse, unaspirante boccata d’amore lunga una vita e lunghissima al tramonto e nei momenti di smarrimento (Tieneme pe mmana ô tramunto, quanno ‘a luce d’ ‘o juorno se stuta la dint’ ‘e juorne ca me sento sbaculiato) e lo stupendo, metaforico auspicio del poeta palestinese Mahmud Darwish (ammacaro fosse ‘na cannela dint’ ‘o suro), che richiama quel suo canto esistenzial popolare in cui riusciva a trasformare “la sua ferita in una lampada ad olio”.

Proseguendo nella lettura, che a questo punto avviene a ciliegia, perché una poesia tira l’altra,, noteremo che proprio sull’Amore, in tutte le sue forme, si concentra l’attenzione priimaria del nostro critico-traduttore-poeta. E si crea un arco radicale di tematiche che parte dalla sopportazione dell’idea di morte grazie al pensiero dell’amata nel Levi di Ausschwitz, quando combatteva con l’idea che ca ‘o munno era nu sbaglio ‘e Ddio e i’ nu sbaglio d’ ‘o munno. L’arco procede poi dall’ungarettiano attaccamento alla vita che nasce nella notte di guerra passata accanto ad un compagno massacrato quando cu ‘a cranatura d’ ‘e mmane soje trasuta dint’ ‘o silenzio mio aggio scritto lettere chiene d’ammore. E, lirica dopo lirica, perviene fino al coinvolgente, emozionante, avvolgente invito di Alda Merini a fare l’amore, non a fare sesso, sublimando l’unione fisica come l’unione totale di corpo e anima nel momento in cui avviene, a prescindere dai ruoli e dalle situazioni degli amanti, pecché ll’ammore è arte, e nnuje ‘e capulavore

Insomma, ce ne sono di passeggiate emozionali e meditative da fare in tutto il libro, ma l’emozione più forte, per chi è di lingua napoletana, diventa la consapevolezza di aver parlato e letto nella nostra lingua versi provenienti da altri mondi con la stessa disinvoltura con la quale potremmo citarli in lingua italiana, anzi forse con maggiore intensità e corrispondenza. È un ulteriore riprova che la lingua napoletana può… e c’è, e forse anche più di altre, che non con altrettanta facilità potrebbero travasare il napoletano nel loro idioma.

E allora teniamolo sul comodino, questo libro, e godiamocelo come ciliegina quotidiana, che addolcirà non solo il nostro orgoglio partenopeo, ma ci darà anche lo spunto per sentire meglio la vita e poi magari, spenta la luce, pensare con la Symboska che Dint’ ‘o scuro me cunosco nu poco ‘e cchiù, parte piccerella ‘e chist’infinito.

E poi addormentarsi nella culla della vita senza paura, perché a sciulià ‘nfunno è ddoce dint’ a stu mare d’ ‘o munno….


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