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Cento anni fa Montale pubblicava OSSI DI SEPPIA

E’  il 15 giugno 1925, a Torino esce “Ossi di seppia” di Eugenio Montale pubblicato da Piero Gobetti per le Edizioni di “Rivoluzione Liberale”. E’ l’anno in cui il Fascismo  firma leggi speciali e di contro Benedetto Croce prepara  il ” Manifesto degli intellettuali antifascisti” cui Montale aderisce.

 “Ossi di seppia” comprende ventisette liriche tra cui alcune  scritte negli anni 1920/25 accanto ad altre anteriori. Sulla genesi del titolo l’ipotesi che appare più verosimile è quella che il poeta si rifarebbe a quei residui calcarei di seppie che il mare trascina sulla spiaggia, essi diventano l’emblema di una vita ridotta a nulla, come cosa da scartare senza alcun valore. Raccolta che tra l’altro contiene, forse la poesia più nota di Montale “Meriggiare pallido e assorto”composta nel 1916, il poeta aveva solo vent’anni. Anno in cui usciva “Porto sepolto”  di Giuseppe Ungaretti.

Ossi di seppia, però, scuote poco l’attenzione della critica più influente. Eppure, in seguito, diverrà un caposaldo della nostra letteratura. Strumento  privilegiato e insostituibile nello stile di Montale, è l’uso del “Correlativo Oggettivo”. Quel “Correlativo Oggettivo” che vede nell’opera poetica di un altro grande della letteratura mondiale, in Eliot, la sua consacrazione.

Il grande poeta drammaturgo americano Thomas Sterans Eliot aveva fatto proprie alcune geniali intuizioni di un mediocre artista, un tale Washington Allston, che gli permisero di formulare il concetto di “Correlativo Oggettivo”. Eliot affermava che poiché nel disegno di un artista importanti non sono i nostri sentimenti, ma il disegno che dei nostri sentimenti facciamo, il solo modo di esprimere l’emozione in forma d’arte è trovare un “Correlativo Oggettivo”, in altri termini, una serie di oggetti, una situazione, un insieme di eventi che saranno la formula di quella particolare emozione, tale che quando siano dati i fatti esterni, i quali devono terminare in esperienza sensoria, l’emozione è immediatamente evocata. 

Il risultato in Montale è perfetto anche se a volte appare duro alla decifrazione. Suggestivo, affascinante, quindi ma difficile per l’uso originale del “Correlativo” attraverso  uno stile originalissimo fatto di  ardite invenzioni ritmiche-lessicali.  La Struttura Montaliana risulta essere un prezioso ordito di trame armoniche per immagini su immagini in una ricchezza evocativa che ha pochi raffronti nel nostro Novecento. Si deve risalire a Dante (accostamenti non solo per la predilezione che Montale aveva per Dante, ma anche per la lezione dantesca che, specie nelle figure “allegoriche” femminili come la Mosca o la Clizia, illumina la poesia Montaliana). 

Ma sono le cose, gli oggetti, che sono rivestiti di nuove significazioni spesso oniriche attraverso una perfezione icastica notevolissima. Montale, in Ossi di seppia, si spinge a una “lettura” ad esempio paesistica, autonoma, sorprendente per felicità di sintesi e acutezza d’indagine allegorica fino al limite di armonie metafisiche. Il lettore è a volte disperso in questo difficile inestricabile disegno Montaliano e finisce col sentirsi “fuori”, confuso in un mare “ermetico”. Da qui il concetto di poesia ermetica in Montale. Ma il suo è un ermetismo tipico, diverso da quell’Ugarettiano o ancor più da quello di Salvatore Quasimodo: ermetismo non di maniera, di stile, ma di contenuto ove per contenuto si deve intendere non astrattezza di contenuti trattati, ma lo “spessore” dell’indagine al limite, come detto, del metafisico, quindi distante da “quotidiano sentire”, attraverso un linguaggio poetico che non può non essere non quello che si conviene a chi partendo, appunto, dal quotidiano, dalle cose più semplici, vede (o riveste) queste ultime di potenzialità tipiche dello specchio, per una realtà che sfugge all’uomo per un disegno di cui nulla sappiamo se non di essere partecipi. Quindi l’oggetto diviene “oggettivo correlativo” di un’immagine avvertita ma non colta nel suo valore escatologico, valore che diventa il motivo della ricerca poetica.


E’ Il Canto della crisi esistenziale dell’uomo contemporaneo, della possibilità di vivere una Realtà di cui si è certi solo “
che non siamo” e di “ciò che non vogliamo“. Rapporto angoscioso tra l’uomo e la Realtà in piena sintonia d’ispirazione con quanto veniva “denunciato” da altri Grandi  della letteratura mondiale; Joyce, Proust, Musil, Pirandello, Svevo. Quest’ultimo, “scoperto” dal giovane Montale in un articolo del 1925, dette il via alla grande critica Sveviana puntando i riflettori sul dramma dei personaggi di Svevo e della loro “inettitudine” esistenziale.  La grandezza artistica di Montale è che lo stile non cede mai nell’improvvisazione, nella casualità: lingua ricchissima ed elegantissima: termini anche   di uso comune assumono vesti nuove e affascinanti, a essi sono affiancati termini eleganti, raffinati, proprio della grande tradizione letteraria italiana che, rivestiti di connotazioni inedite attraverso un Canto personalissimo fatto di originali costruzioni sintattiche, aggettivazioni, si mischiano a inventati neologismi per un risultato ultimo che è un elegante “gioco” perfettamente armonico, anche laddove si canta la disarmonia: ” Avendo sentito fin dalla nascita una totale disarmonia con la realtà che mi circondava, la materia della mia ispirazione non poteva essere che quella disarmonia”. Così il poeta nel 1951 (Confessioni di scrittori: intervista con se stessi).

E da quella “disarmonia ” che lo circonda avrà origine il Canto della Non-Esistenza, della sua “Fenomenologia Negativa”, Poetica del Non. Poetica a cui Montale rimarrà fedele  durante tutto il corso della sua produzione ebbene recuperi (o tenti di recuperare) accenti di speranza (Memoria) che possono se non contrastare almeno lenire il “male di vivere” . La Memoria negli “Ossi” come appiglio,   quindi, come mezzo di sopravvivenza. Nessuna nostalgia di debolezze tardo-romantiche.
Come non citare a questo punto la lezione Proustiana? La realtà per Proust non è più vissuta direttamente, ma nella memoria, nella forza onirica. Nella “
Ricerca del tempo perduto” Proust si dibatte tra due poli: quelli del passato e quello del ritrovato che scandiscono il tempo. Montale vuole, più che “ritrovare” attraverso la Menoria, “trovare”. E in questo suo anelito  gli sono d’aiuto gli oggetti  fondamentali per la demarcazione artistica della sua poetica. Il poeta in questa profonda crisi esistenziale non ha alcuna certezza ontologica nessuna sicurezza escatologica, l’unica certezza la “Metafisica Non”. E gli oggetti diventano l’emblema di questa metafisica. Oggetti così appartenente convenzionali, umili , quotidiani (atmosfere in aria-crepuscolare), prendono vita, danno vita ai suoi temi.  L’affanno  dell’uomo ingarbugliato in queste  trame sconosciute, in questa”Fenomenologia Negativa”, è l’affanno di chi cerca “una maglia rotta nella rete/ che ci stringe, tu balza fuori, fuggi “ (Limine). Tu. Quel “tu” cosi usato da Montale, quel “tu”, quell’altro “io” col quale il poeta dialoga e al quale confida le sue pene e le sue nude speranze,  come quando si augura “talora ci si aspetta/di scoprire uno sbaglio di Natura,/il punto morto del mondo, l’anello che non tiene/il filo di disbrogliare che finalmente ci netta/nel mezzo di una verità “ (I limoni) . Illusione quindi nel momento catartico della Memoria salvifica: in “Ossi di seppia”, attraverso la memoria, i ricordi, di poter “recuperare” una vita vissuta ma solo un attimo . ” Cigola la carrucola del pozzo” e subito “si deforma il passato, si fa vecchio, /appartiene ad un altro…” (Cigola la carrucola).  Neppure  la Memoria può offrire possibilità di scampo e nelle “Occasioni” se ne ha la certezza ” un filo s’addipana “e “Ed io non so ci va e chi resta” (La casa dei Doganieri). L’uomo non sa e procede attraverso il Non, verso il Non , niente conosce se non quello che Non è e nulla vede  o si aspetta se non quello che Non sa e quello che Non si aspetta. Rifiuto quindi di ogni possibilità di salvezza, rifiuto di ogni forma di anelito teologico.
Ma proprio questa che viene chiamata”teologia negativa” di Montale riveste il Canto Montaliano di una forza che va al di là del finito,verso una collocazione metafisica dell’uomo. Una sorta di religiosità laica, ove ad esempio, la tristezza appare come divinità che sostiene il poco legame che Montale ha con la vita (Incontro), oppure la “divinità Saggezza ” come porto sereno ” Triste anima passata/ e tu volontà nuova che mi chiami,/tempo e forse d’unirvi / in un porto sereno di saggezza” (Riviere), Ma il clima di Riviere, su cui tanto si è discusso  come momento positivo Montaliano, non è che un momento. Tutto ricade  nell’abisso della Non -.Esistenza  e anche quegli avvenimenti , tragici e luttuosi che il Fascismo e la Seconda guerra Mondiale (Bufera e altro) che sembrano invitare ad una lettura “storicizzata” della poetica Montaliana, sono sommersi dalla “lettura esistenziale” del” male di vivere” che supera ogni contingenza, ogni respiro immanente.  Affermava Montale ” L’argomento della mia poesia (e credo di ogni possibile poesia) è la condizione umana in sé considerata; non questo o quell’avvenimento storico (Confessioni di scrittori: intervista con se stessi). L’uomo solo davanti allo “specchio” della Non -esistenza nel duro cammino della vita umana.

La Poetica Montaliana appare sostanzialmente unitaria senza un “prima” e un “dopo”, complessivamente fedele al Canto ispiratore laddove lo stile o i temi sembrano diversificarsi dello stile e dai temi generali come avviene per esempio in “Satura”, ove lo stile diventa più prosastico, discorsivo e l’ispirazione si presenta velata d’ironica contemplazione del reale. Ironia questa che non può, ascriversi a elemento “dissacratorio” delle tematiche del Non, ma ancora di più, accentua la drammatica verità della Non- Esistenza che permea tutta l’opera di Montale.

da Italian Poetry, 6 giugno 2025

Cava de’ Tirreni (SA). “Giochi di carta”

Cerimonia di premiazione del progetto firmato da Metellia Servizi nell’ambito della Paper Week  2025  di Comieco.


Cerimonia di premiazione dell’iniziativa “Giochi di Carta”, promossa da Metellia Servizi nell’ambito della “Paper Week 2025”, la campagna nazionale realizzata da COMIECO, in collaborazione con Federazione Carta e Grafica, Unirima e con il patrocinio di Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, ANCI, Utilitalia e la media partnership di Rai Tgr, dedicata all’informazione e alla formazione sulla raccolta differenziata e sul riciclo di carta e cartone. L’iniziativa “Giochi di Carta”, realizzata con il patrocinio del Comune di Cava de’ Tirreni e le partnership di Futura Line Industry srl, Ariete srl e SE.RI. (Centro di Raccolta Ecologica), ha visto la partecipazione di 481 studenti degli Istituti Comprensivi cittadini, di cui 169 delle scuole primarie e 312 delle scuole secondarie di I grado.

Ad introdurre le attività di progetto è stato uno sketch simpatico con protagonisti Cartelio e Cartonella, le mascotte di “Giochi di carta” pensati per sensibilizzare i giovani sul valore del riciclo di carta e cartone.

Dall’8 aprile scorso, data di lancio del progetto, gli alunni delle classi quarte e quinte delle scuole primarie si sono cimentati nella creazione di costumi e accessori ispirati a personaggi fiabeschi e supereroi, utilizzando esclusivamente carta e cartone recuperati secondo il principio del riciclo creativo.

A chiudere la sezione dedicata alla fascia d’età tra i 9 e i 10 anni, è stata la sfilata di questa mattina, nel corso della quale la giuria del progetto, costituita da Metellia Servizi, dal Comune di Cava de’Tirreni e dai partner di progetto, ha decretato il primo, secondo e terzo classificato a cui sono andati in premio buoni da spendere in materiale didattico rispettivamente del valore di 300, 200 e 100 euro.

Di seguito la classifica della sezione della scuola primaria:

  Istituto Comprensivo Soggetto Classe
  1° Classificato Carducci-Trezza Cenerentola abito IV – Plesso S. Lorenzo
  2° Classificato Balzico-Giovanni XXIII Castello Principesse VB – Plesso Della Corte
  3° Classificato Balzico-Giovanni XXIII Cenerentola IV (pluriclasse) – S. Cesareo

Un premio del valore di euro 300 è stato consegnato al primo classificato per la categoria “Video Tutorial” che si è contraddistinto per chiarezza, completezza ed originalità nel raccontare il processo di recupero di carta e cartone e di realizzazione del costume o dell’accessorio prescelto.

         Istituto Comprensivo Soggetto Classe
          1°       Classificato IC Carducci-Trezza Cenerentola Classi IV – Plesso S. Lorenzo

Gli alunni delle classi terze delle scuole secondarie di I grado hanno partecipato, invece, ad una competizione di “Quiz a classi” a tema raccolta differenziata e riciclo di carta e cartone, sfidandosi in gare ad eliminazione diretta fino alla gara conclusiva di questa mattina. La classe vincitrice del Quiz, che si è aggiudicata il primo posto nella competizione, ha ricevuto sempre un buono di euro 300 da spendere per l’acquisto di materiale didattico.

          Istituto Comprensivo Classe
1° Classificato IC Balzico-Giovanni XXIII 3C – Plesso Giovanni XXIII via R. Senatore

Ricordo del regista e attore Alessandro Quasimodo, figlio del grande poeta Salvatore Quasimodo.

Ho incontrato più volte l’attore e regista Alessandro Quasimodo scomparso ahimè, in queste ultime ore. La prima fu nel 1990 quando lo intervistai per il mio spettacolo teatrale: “Ed è subito sera”. Omaggio a Salvatore Quasimodo (Sala Morelli, Palazzo Municipale, Amalfi, 29 dicembre 1990) in occasione dei novanta anni della nascita del padre Salvatore Quasimodo (Modica, 1901), l’ultima volta fu a Palazzago nel 2001.

Alla fine di quell’intervista gli chiesi: “Qual é la poesia di suo padre che ama di più?” Mi citò, inaspettatamente, un poesia che ha come tema la morte, ma una morte che ha nella natura umana la salvezza.

E’ difficile scegliere, ma forse la poesia che amo di più è “ Nessuno”. C’è tutto mio padre lì dentro: questo fanciullo che deve aspettarsi tutto da quello che lo circonda, alberi, insetti, da ogni cosa che ha cuore di tristezza, desiderio quasi di morte pur avendo paura della morte”.

Nessuno

Io sono forse un fanciullo
che ha paura dei morti,
ma che la morte chiama
perché lo sciolga da tutte le creature:
i bambini, l’albero, gli insetti;
da ogni cosa che ha cuore di tristezza.

Perché non ha più doni
e le strade son buie,
e più non c’è nessuno
che sappia farlo piangere
vicino a te, Signore.

(da Acque e Terre (1920-1929), Solaria, 1930)

Ciao Alessandro, che tu sia sciolto “da ogni cosa che ha cuore di tristezza”.

Di seguito, alcuni stralci da quell’intervista (da L’eco di Bergamo, 10 maggio 2001)

Mio padre si era sentito male verso le 10 del mattino e non essendoci ospedale ad Amalfi, si rese necessario trasportalo d’urgenza a Napoli; ma non fu possibile trovare né un ambulanza né un elicottero della Nato o della Marina di Napoli e neppure una staffetta motociclistica per fare strada: caricato su di un’asse da stiro, giù per le scale esterne dell’Hotel Cappuccini, mancante un ascensore tale da poter contenere una barella, fu trasportato a Napoli in taxi. Era il 14 di giugno del 1968, mio padre, Salvatore Quasimodo moriva poco dopo”.

E’ visibilmente turbato Alessandro Quasimodo nel raccontarmi quelle ultime ore di suo padre; ma questo sole della splendida campagna bergamasca, ove Alessandro, da Milano dove vive, viene ogni fine settimana a riposare dalle fatiche d’attore e regista, sembra voler allontanare quei tristi lontani ricordi.

E’ uno strano pomeriggio di uno strano maggio, tra sole già caldo e pioggia all’improvviso; ed è qui a Palazzago tra un verde magnifico, che Alessandro Quasimodo mi accoglie per quest’intervista in occasione del centesimo anniversario della nascita di suo padre, il poeta Salvatore Quasimodo, che cadrà il 20 agosto di questo 2001. Mi viene incontro sull’uscio di questa sua affascinante abitazione, un vecchio convento risalente al primi anni del ‘500. Tutto perfettamente restaurato.

Per prima cosa mi porta a visitare l’annessa Cappella. Sull’altare troneggia una bella tela del ‘700 con l’immagine di Santo Spiridione, a destra della porta d’entrata, mi mostra una piccola urna murata “sono le ceneri di mia madre”. Maria Cumani che il poeta sposò nel 1948, dopo la morte della sua prima moglie Bice Donetti. Alessandro ha voluto fermamente che la madre riposasse lì in quella piccola chiesa, nascosta, come in un perenne abbraccio, in quest’angolo verde di Lombardia dando corpo ad alcuni versi di suo padre: “ ho nascosto il cuore dentro le vecchie mura,/ per restare solo a ricordarti”…” in questa terra/ di pianura, i prati sono verdi/ come nelle valli del sud a primavera”.

Essere figlio di Quasimodo l’ha agevolato o forse le é pesato?

Mio padre ha influito nelle mie scelte professionali, nella possibilità che avevo di leggere molto, di andare a teatro precocemente. Tutto ciò mi ha portato ad amare il teatro e le opere letterarie. Passione che ho cominciato a coltivare da quando avevo cinque o sei anni: mio padre era allora critico teatrale del “Tempo”. Ma è stato ed è ancora molto difficile essere figlio di Quasimodo: nel Teatro, alla Rai, c’è l’idea che basta fare il figlio di… e gli esempi certamente non mancano…, ma io con tutte le mie forze ho cercato di liberarmi di questo: non voglio fare il figlio di nessuno. Io credo di avere un valore mio, personale”.

Alessandro, è da poco tornato dagli Stati Uniti dove presso la “Princeton University” si è tenuto un Convegno sulla Poetica di Quasimodo. Cosa prova lei, attore, a leggere le poesie di suo padre? Una legittima emozione o forse fredda professionalità?

Fredda professionalità, mai; assolutamente. Io sostengo che ho molti padri, non solo Quasimodo: c’è lo stesso impegno, la stessa partecipazione, la stessa emozione anche quando recito Pascoli o D’Annunzio: perché credo in ciò che recito; sono autori che non mi possono lasciare indifferenti, proprio come dei veri padri”

Uno dei più illustri “loci” quasimodiani é senza dubbio, “operaio di sogni” che è anche il titolo di un suo recente, applaudito Recital, in giro per tutta Italia. Suo padre, che poco prima di morire scriveva: ” ascolto volentieri le parole della vita/ che non ho mai inteso, mi fermo/ su lunghe ipotesi”, appare oggi, umile “operaio di sogni” o figura concreta di un uomo che ha ricercato la verità nel reale?

Quasimodo é un uomo inserito nel suo tempo che esprime ansie, aspettative, domande dei suoi contemporanei. Suo pregio maggiore, la coerenza con se stesso, a volte con aspetti contradditori. Quasi se non ci fossero! Sostenere le cose in cui si crede e accettare le sconfitte, le domande che non avranno mai risposta”.

1959, Premio Nobel. Molte critiche ma anche aperti consensi. In primis, quello di Carlo Bo: “Poeta della maturità che ha cantato l’amore dell’uomo e la fedeltà alla vita”

Il Nobel, Quasimodo, l’ha pagato duramente: invidia, faide e nemici che si è creato non volutamente e non appartenendo a clan letterari, non avendo le spalle coperte da nessun giornale … Ma si paga duramente questa tipo di solitudine”.

Quale fu, secondo lei, il rapporto di suo padre con la Fede. Lui comunista …

Quasimodo è stato un cristiano di sinistra sempre, era un uomo che non poteva non essere di sinistra. Nessuna meraviglia: egli ha cominciato molto presto questa sua ricerca religiosa. Fin dalla sua prima produzione c’è questa ricerca molto forte. Gli fu chiesto a chi si rivolgesse con il termine di Signore, Signore con la esse maiuscola: Gesù Cristo. Se c’è un interesse sull’uomo, a maggior ragione su un Dio che si fa uomo. In “Thanatos Athanatos” si domanda: la nostra sola certezza é la morte? La risposta è no: non può finire tutto li! E in un bel discorso fatto ad Assisi, affermava: “la preghiera è sempre poesia ma non sempre la poesia è preghiera”.

Chi è il poeta Salvatore Quasimodo?

Un poeta fedele sempre a se stesso pur se le esperienze della vita non possono lasciare indifferenti: l’incontro con l’amore, la guerra, la sofferenza, la soddisfazione di un premio, cose che possono influire, ma non determinano. Egli ha sentito di esprimere quello che aveva dentro di se, la voce che si levava dentro; non è Quasimodo, poeta che cambia e inizia un nuovo periodo. Semmai, se c’é stata frattura, c’è con le “Nuove Poesie” che risalgono all’incontro con Maria Cumani, mia madre. Nuove rispetto a quelle precedenti, come musicalità interna, come recupero di una classicità. Oreste Macrì parlò della sua poetica come“poetica della parola” e poi giudizi di Anceschi, Bo, o Gianfranco Contini che afferma che Quasimodo é uno dei più grandi poeti del 900”.

Cava de’ Tirreni (SA). Sabato 3 e domenica 4 maggio 2025, Cava de’ Tirreni accoglie l’XI Trofeo Roberto Manzo.

Un fine settimana all’insegna della passione, del ricordo e della spettacolarità. Il 3 e il 4 maggio 2025, Cava de’ Tirreni tornerà ad essere palcoscenico d’eccellenza per l’arte della bandiera con l’undicesima edizione del Trofeo “Roberto Manzo”, organizzato dall’Ente Sbandieratori Cavensi.

Nato nel 2007 in ricordo del giovane sbandieratore Roberto Manzo, il trofeo è oggi un appuntamento fisso per gli appassionati di questa antica arte. La manifestazione si svolgerà nella suggestiva cornice di Piazza Eugenio Abbro, cuore pulsante della città metelliana, che per due giorni si trasformerà in un’arena colorata e vibrante, dove prenderanno vita esercizi carichi di emozione, tecnica e tradizione.

 

Gruppi partecipanti all’edizione 2025:

– A.S.D. Sbandieratori e Musici Città di Oria

– Alfieri del Cardinal Borghese

– Battitori Nzegna

– Casa Normanna

– San Domenico di Guzman

– Sbandieratori Borgo San Nicolò

– Sbandieratori Cavensi

– Sbandieratori delle Torri Metelliane

– Sbandieratori e Musici Città Regia

– Sbandieratori e Musici Rione Lama

– Sestiere Porta Solestà

Sabato 3 maggio 2025

A partire dalle ore 14.30, tutti i gruppi partecipanti si ritroveranno in Piazza Eugenio Abbro. Il pomeriggio sarà interamente dedicato alle competizioni delle categorie assoluti, con l’inizio previsto alle ore 15.00. Il programma prevede le gare nelle specialità singolo, coppia tradizionale, piccola squadra e musici. Le premiazioni dei vincitori di giornata sono previste intorno alle ore 19.00, al termine delle gare. In serata, a partire dalle ore 21.00, si terrà la consueta cena conviviale presso il ristorante “Le Gopi”, occasione informale e festosa per rafforzare i legami tra gruppi e celebrare insieme la passione condivisa per l’arte della bandiera.

Domenica 4 maggio 2025

La seconda giornata sarà dedicata ai giovani sbandieratori, con le gare delle categorie esordienti, giovanili e under 15. Le attività inizieranno alle ore 09.30, subito dopo il raduno dei gruppi previsto per le ore 09.00. Nel corso della mattinata ci sarà anche spazio per l’esibizione dei Piccoli Sbandieratori, momento simbolico e molto atteso, che racchiude il senso più autentico di crescita, trasmissione e appartenenza.

La manifestazione si concluderà intorno alle ore 12.30, con la cerimonia di premiazione delle categorie giovanili.

Il Trofeo si svolgerà sotto l’egida della Federazione Italiana Sbandieratori e sarà valutato da una giuria federale. Nel corso delle due giornate, saranno oltre 80 le esibizioni giudicate.

Il Trofeo “Roberto Manzo” non è solo una competizione: è un momento di comunità, ricordo e condivisione, un’occasione per tenere viva una tradizione che parla al cuore attraverso il ritmo di tamburi e chiarine e il colore delle bandiere. Un modo concreto per onorare il ricordo di Roberto e trasmettere ai più giovani i valori che animano da sempre il mondo degli sbandieratori.

Cava de’ Tirreni (SA). Bicentenario della nascita di Giuseppe Trara Genoino 12 aprile 1825 – 12 aprile 2025

Si terrà sabato prossimo 12 aprile 2025, alle ore 10, presso il Palazzo di Città di Cava de’ Tirreni, la celebrazione del bicentenario della nascita di Giuseppe Trara Genoino, organizzata dall’Amministrazione Servalli e dall’Associazione “Figli di Mamma Lucia”, per ricordare la figura di un protagonista della scena politica locale, regionale e nazionale di quei tempi e di un sindaco che ha profondamente trasformato la città.

La manifestazione verrà aperta da letture teatralizzate di alcuni testi tratti da “Noterelle Cavesi”, di Valerio Canonico (Di Mauro Editore, 1973) e da una lettera inedita della figlia Rachele conservata presso l’Archivio Storico Comunale di Cava de’ Tirreni.

Dopo i saluti istituzionali del Sindaco Vincenzo Servalli, dell’Assessore all’Istruzione Lorena Iuliano, del Consigliere delegato alla Cultura Armando Lamberti, del Presidente dell’Associazione “Figli di Mamma Lucia di Cava de’ Tirreni ODV” Felice Scermino e delle delegazioni dei Comuni di Positano e Sala Consilina, seguiranno gli interventi di alcuni studiosi di storia locali che ricorderanno la figura del “Sindaco per antonomasia”, Giuseppe Trara Genoino.

Nell’occasione verrà presentata al pubblico una cartolina celebrativa, stampata a tiratura limitata nel numero di 1000 copie (in distribuzione presso il Museo di Mamma Lucia), ed una pagina web.

Il giorno scelto non è casuale: Giuseppe Trara Genoino nacque infatti il 12 aprile del 1825. Fu sindaco dal 1861 al 1869 e dal 1876 al 1884. Alcune tra le più salienti opere realizzate durante questo periodo e che trasformarono la città furono: il Teatro Municipale (inaugurato il 6 ottobre 1878 e poi chiamato Verdi nel 1901); la Villa Comunale (il “boschetto di delizie”, che cingeva in un abbraccio di verde l’elegante teatro); la creazione della biblioteca comunale; l’apertura di strade, tra cui quella di Rotolo e la relativa alberatura; diverse infrastrutture pubbliche fondamentali, tra le quali lo sfruttamento delle sorgenti; nonché la repressione del brigantaggio che imperversava sulle montagne del versante occidentale.

Nel corso della mattinata verrà presentato anche il progetto di una mostra dal titolo “Giuseppe Trara Genoino e la città di Cava de’ Tirreni nel bicentenario della nascita”.

La mostra, che ha ottenuto il patrocinio del Centro studi per la storia di Cava de’ Tirreni, dei Comuni di Positano, Sala Consilina e della Provincia di Salerno, si terrà nel prossimo autunno presso la Biblioteca Comunale “Can. A. Avallone” in viale G. Marconi 54, con la collaborazione di storici locali, esporrà documenti originali e pannelli descrittivi.

Diversi saranno i temi trattati, tra i quali aspetti inediti come l’impegno profuso per il Comune di Positano, che gli permise di riceverne la cittadinanza, oltre l’intitolazione di una strada. E ancora, come si evince da numerosi atti conservati presso l’Archivio Storico Comunale di Sala Consilina, la carica di Regio Commissario Straordinario del Comune di Sala Consilina, ricevuta nel corso dell’anno 1889. Durante tale periodo, si interessò di numerose problematiche, tra cui quelle legate alle opere pubbliche, al commercio, all’agricoltura ed all’Archivio.