“Sogno mundial”, di Fabrizio Prisco – Il romanzo della Coppa del mondo di calcio, raccontata con la precisione del giornalista e la passione dell’innamorato

Prisco-Fabrizio-vivimediaCAVA DE’ TIRRENI (SA). Non è importante cosa si sogna. L’importante è farlo sempre. Bisogna dare spazio alla fantasia

Che l’epilogo del libro Sogno mundial – Storia sociale dei mondiali di calcio del giovane giornalista Fabrizio Prisco (Edizioni Area Blu), opera basata su una ricerca giornalistica e su fatti veri, si apra con queste parole, non è un caso né una contraddizione.

È infatti il sogno l’anima profonda del volume, potremmo dire quella più reale, che va al di là delle storie stesse di sport e di vita, che pure sono coinvolgenti, affascinanti, emozionanti… e per un calciofilo eccitanti come la farfalla di Belen lo è per una persona con gli ormoni che fanno aerobica.

Il sogno infatti non è solo la visione notturna più o meno legata agli eventi del giorno, ma è il colore stesso che diamo alla nostra esistenza, ora perseguendo l’Itaca dorata dei nostri desideri, ora dando luce al personale vissuto, ora arricchendolo di aloni per noi magici, ora immaginando l’altro da noi come facente parte della nostra vita stessa a titolo di lussuoso contorno.

Il sogno in questo libro esplode subito, fin dal titolo e dall’immagine di copertina. La vittoria, o la semplice partecipazione ai campionati del mondo di calcio, il maggior evento di portata planetaria insieme con le Olimpiadi, sono la stella polare non solo di chiunque cominci a dare calci ad un pallone ma anche di chi vede tirare calci e si sente in qualche modo parte della squadra che rappresenta il suo Paese e che spesso lo unifica molto più della politica. E quel mundial, di spagnolesca più che sudamericana memoria, è per un italiano il segno stesso del sogno raggiunto: la meravigliosa vittoria del 1982 contro la Germania, in un Bernabeu di Madrid superazzurrato, in un’Italia tutta imbandierata e incredibilmente festante per i goal di Pablito Rossi, la corsa pazza di gioia di Marco Tardelli, le ubriacanti avanzate di Bruno Conti, la solida spettacolarità di una squadra già bellissima quattro anni prima in Argentina e costruita ad immagine e somiglianza della professionalità e dell’umanità di Enzo Bearzot. E quell’illustrazione di Achille Beltrame, tratta da La Gazzetta dello Sport del 1934, con la sua forza evocativa del passato e dell’arte del disegno, cos’altro è se non uno stimolo all’immaginazione? Un’immaginazione potente e fremente in un tempo in un cui le partite si vedevano solo con la voce di Niccolò Carosio ed ogni figura evocava miti di sport e di vittoria, quella vittoria che non mancò negli anni Trenta bimondiali e olimpici e che dall’Italia repubblicana, giustamente o ingiustamente, fu poi sentita sempre poco sua perché marcata e marchiata dalla firma del ventennio fascista. Anche per questo la vittoria mundial dell’82 scatenò un piacere liberatorio illuminato d’immenso, a cui quello pur altissimo scatenato dalla vittoria di Berlino nel 2006 (in un’Italia del resto già incrinata dalle ombre paurosi della crisi) non è certo paragonabile.

Ma torniamo al sogno del libro di Fabrizio Prisco. Citare nella quarta di copertina la frase di Borges, “Ogni volta che un bambino dà un calcio ad un pallone, lì ricomincia la storia del calcio”, significa automaticamente creare un elastico planetario attraverso uno dei gesti e dei giochi più comuni del mondo ed i sogni che lo attraversano, dal gol immediato alla vittoria più grande. Se poi il tutto è inserito su uno sfondo azzurro shocking, l’azzurro di quegli azzurri che tante volte ci hanno fatto sognare, esultare per aver esaudito i nostri sogni, arrabbiare per averli “uccisi”, beh, c’è bisogno di parole?

Anche l’interno è dipinto di sogno. Ogni capitolo è dedicato ad un’edizione della Coppa del Mondo, è ricchissimo di dati documentati e precisi, corredato di frammenti di articoli di giornali dell’epoca, pullulante di chiare e coinvolgenti descrizioni di tattiche, di schemi, di formazioni, di situazioni sociali contingenti all’evento, di episodi gustosi, di arbitraggi e di polemiche relative, di partite combattute all’arma bianca, personaggi e luoghi evocati con un invitante grassetto. Insomma, è storia pura. Eppure, dopo la lettura di un capitolo rimane l’alone indescrivibile dell’emozione. Ora la festa dell’attesa della gente del posto e non solo, ora la citazione del grande scrittore descrittore di atmosfere calcistiche (Galleano e Soriano in testa), ora l’esplosione con “la gioia che si fa una capriola” per un goal atteso e sperato e sognato o per un successo recuperato in supertensione (ah, quell’Italia-Germania 4-3, quando anche i bambini nelle pance si misero a danzare….), un’esplosione che anche nel più strapagato dei calciatori ha pur sempre un impeto spontaneamente bambinesco. Ora i cortei imbandierati e vocianti per l’arrivo della Vittoria sognata, ora il silenzio della disperazione per una scioccante delusione (e il Maracanazo e il Mineirazo di Brasile ’50 e 2014 ne sono il più classico emblema), ora il pomodoro della rabbia per una sconfitta colpevole o colpevolizzata (e l’Italia, da Brasile ’50 alla Corea del ’66 e perfino al pur glorioso secondo posto di Messico ’70, di pomodori se ne è fatta una sporta e una scorta), ora i pugni chiusi a serramanico per una pastetta o un arbitraggio miope o “assassino” (le indecenze antitaliane di Aston in Cile ’62 e di Moreno in Seul 2002, il famoso goal di Hurst nella finale di Wembley nel 1966, il rigore affrettato della finale milanese Germania-Argentina, lo scandaloso 7° 0 di Argentina-Perù), e perfino gli sguardi del dittatore argentino Videla al momento della premiazione, terrorizzato dall’eventuale esplosione contro di lui del sogno della libertà degli argentini oppressi. E così via…

E così via… il libro è una miniera. Si scopre, si riscopre, si palpita, si ripalpita. E si trovano costantemente piccoli episodi recuperati dalla memoria oppure mai conosciuti eppure comunque da comunicare, ricomunicare e commentare nelle conversazioni leggere con gli amici. Qualche esempio per tutti? Il Presidente della Federazione USA che in Uruguay ’30, arrabbiato con l’arbitro, scaglia la valigetta del pronto soccorso, che si apre e fa rompere una boccetta di cloroformio, le cui esalazioni fanno svenire il protestatario… Oppure i palloni persi e caduti in mare durante gli allenamenti in nave dei calciatori italiani, rinunciatari rispetto all’aereo ma poi smollati dalla navigazione e dalla perdita dei palloni e subito eliminati in Brasile ’50…E che dire degli amuleti strani di Vittorio Pozzo, degli straniti e misteriosi svenimenti di Ronaldo il fenomeno, dei retroscena gialli del miracolo di Berna del ’54?

E poi, e poi, e poi… E poi lasciamo al futuro lettore il piacere di scoprire tutta la costellazione dei mille episodi che arricchiscono il libro e che sono raccontati con chiarezza e con gusto dall’autore, Fabrizio Prisco.

Anche lui è figlio e padre di un sogno (oltre che figlio d’arte, di Papà Alnfonso il “mago delle cartoline antiche”, di çLadY Cava&Co.).

Fabrizio èfiglio del sogno del calcio, esploso quando faceva il raccattapalle della Cavese e fiorito davanti alla televisione ed alle storiche galoppate di Maradona in Messico ’86 e poi coltivato da telecronista e da giornalista. Un sogno da innamorato di uno sport, di cui, pur consapevole delle ombre e delle sporcizie che lo macchiano continuamente, vuole assaporare fino in fondo la fisicità più naturalmente energetica, la parte più pulita ed esaltante, la potenzialità più gioiosa ed esultante.

Fabrizio è padre di un sogno: questo libro. Un libro forse sognato da sempre, ma concepito concretamente solo negli ultimi anni, quando ha sfruttato in pieno la ricchissima documentazione raccolta per la sua tesi di laurea sulla storia delle tattiche calcistiche ed un momento di tregua rispetto alla sua frenetica attività di docente mobilitatore e motivatore di giornalismo e di passioni. Sostenuto dalla disponibilità dell’Editrice “Area blu”,Gerardo Di Agostino in testa, ha poi partorito quest’opera a sua immagine e somiglianza. Ha raccolto con professionalità, ha raccontato con passione, ha comunicato con chiarezza da cronista, ha emozionato con il cuore di un appassionato.

Ed ha lasciato un’opera giustamente ambiziosa, che può legittimamente guardare a tutto il territorio nazionale.

Sarebbe una bella conquista. Un bel sogno, appunto, che ha tutte le premesse per diventare realtà…


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