Cenni sulla Poetica di Alfonso Gatto “il glauco dai grandi occhi lunari …” a 40 anni dalla scomparsa

L’opera poetica di Alfonso Gatto “ il glauco dai grandi occhi lunari …” (Augusto Hermet, 1937) copre un periodo che va dagli anni ’30, nascita dell’ermetismo, fino alla metà degli anni settanta, passando attraverso l’esperienza dolorosa e fondamentale della Resistenza.

Nel 1932 esce a Napoli il suo primo libro di versi “Isola” con giudizi molto positivi sia di Ungaretti sia di Montale. Il giovane poeta salernitano ha solo 23 anni. E’ un Gatto ermetico, ma di un ermetismo molto originale: la coscienza critica svetta e s’impone come cifra inalienabile. Coscienza che convive e lotta osmoticamente con la meraviglia dell’esistere in assonanza, ora armonica ora conflittuale, con l’empirica testimonianza dei sensi. Nell’opera poetica di Gatto appaiono, oltre a talune appartenenze: dall’insostituibile Leopardi, alla sofferenza interiore del primo Ungaretti, anche riflessi del suo grande corregionale Salvatore Di Giacomo, esponente fondamentale della lirica meridionale, e del divertente, a volte “irriverente”, Vincenzo Cardarelli. Anche Gatto, infatti, amò, accanto all’asciutto linguaggio ermetico, la poesia dalle rime facili, dal gusto burattinesco da vecchia filastrocca, atavica testimonianza delle storie fantastiche della nobile novellistica meridionale del Basile fino alle libere contaminazioni personali di eserciti di mamme meridionali legate ai loro figli come alla loro terra. Ben presto, come tanti intellettuali meridionali prima e dopo di lui, il poeta emigra a Milano ove entra in contatto con gli ambienti artistici lombardi. Il suo dichiarato antifascismo, il suo comunismo “romantico”, lo porterà nel 1936 a essere rinchiuso nel carcere di San Vittore per circa sei mesi. Il tempo, poi, della guerra, della Resistenza. Con “La storia delle vittime”1966 (Premio Viareggio), Gatto con slancio e passionalità conduce il lettore nei dolori di quegli anni con struggente vis poetica tesa al recupero di una realtà sofferente, ma terribilmente vera. Per lui lo spiritualismo e il populismo nell’” umile accordo di voci e parole”, si allineano perfettamente per cercata, difficile ascesi dell’umano nell’esistere quotidiano.Sofferenze mai dimenticate pur se con “ La forza degli occhi” 1954, sembra che l’inventio poetica si stacchi dalle esperienze precedenti per divenire sicura arma di speranza, mai doma e fortemente sentita, alla luce di migliori prospettive di futuro; lontano ormai dalle angolose strutture ermetiche attraverso un linguaggio che perfettamente si adegua all’estro del fantastico, del semplice bozzetto: “ Le ragazze moderne/ Non sono eterne./ Oh, che bella novità/ ma danno fresco alla città” (Canzonetta). Un altro libro fondamentale e tra i più belli di Gatto è “Osteria flegrea” (1962) che ha la morte come tema. La figura materna si erge come figura centrale del libro in cui meditazione e sentimento trovano un perfetto idilliaco equilibrio. Equilibrio tra vita e poesia come testimoniato dall’epitaffio di Eugenio Montale posto sulla sua “pietra tombale” presso il cimitero di Salerno dove il poeta riposa a seguito di un incidente d’auto che lo uccise all’età di 67 anni: “ Ad Alfonso Gatto/ per cui vita e poesia/ furono un’unica testimonianza/ d’amore”.

tomba-alfonso-gatto-vivimedia


Commenti non possibili