Dalla musica al trapianto, fino al lungo addio. Storia di Antonio Iannone, pianista dalle ali tarpate
CAVA DE’ TIRRENI (SA). Al centro dell’elegante salotto di casa sta ancora lì, come in un trono lucente d’affetto e d’amore, il pianoforte al quale Antonio, e con lui la sua famiglia, avevano affidato i sogni di una vita. Quel pianoforte su cui aveva preparato le note di speranza dei suoi primi concerti, da solista e col fratello Ivan al violoncello. Quel pianoforte dove aveva registrato la sua prima “intervista” televisiva, realizzata per Quarta Rete dal compianto Raffaele Senatore, che era venuto a scoprire un talento emergente di cui già aveva sentito tessere le lodi. Quel pianoforte che aveva chiuso, senza più riaprirlo, dal momento in cui aveva scoperto la grave malformazione cardiaca che gli stava tarpando le ali e che poi, progressivamente, lo ha strappato a questa vita, fino alla scomparsa, avvenuta il 24 febbraio scorso, a soli quarantanove anni. Quando aveva scoperto il problema al cuore, ne aveva solo diciannove!
Dopo la formazione privata, prima con la mamma poi col Maestro Massimo Bertucci del Conservatorio di Musica “S. Pietro a Maiella”, aveva già maturato ampiamente il decimo anno di pianoforte,che però non ha mai voluto ostentare né completare, in parte per l’acuirsi dei problemi di salute, in parte per una lacerante ripicca verso quella vita che stava rifiutando l’amore che lui le donava.
“E dire che al momento della malattia era al massimo della gioia: aveva terminato brillantemente il corso degli studi superiori al Liceo Scientifico “Genoino”, frequentava con merito l’Università degli studi di Bologna, e al Conservatorio stava completando la prima fase della sua scalata al monte dei sogni. Trasmetteva le sue emozioni non solo nelle note musicali ma anche nei versi intensi delle poesie che amava scrivere e che gli avevano dato anche la bella soddisfazione di un podio ad un Concorso Nazionale giovanile. Era fidanzato, molto innamorato di una ragazza, che poi lasciò per amore, per non costringerla a sacrifici duri accanto a lui. E godeva del calore di una famiglia unita e ricca di valori.”
Con poche, ma significative parole, ci rievocano così l’inizio dell’odissea di Antonio Iannone, lunga trent’anni, Papà Gregorio Iannone, originario di Botricello in Calabria, direttore amministrativo della Scuola Media Giovanni XXIII di Cava, Mamma Annamaria Santoriello, pensionata, insegnante di pianoforte e già docente di educazione musicale presso la stessa Scuola Media “Giovanni XXIII”, ed Ivan, il fratello minore, violoncellista, docente di violoncello presso il Liceo Galdi-De Filippis di Cava e primo ed unico partner di Antonio.
Mamma Annamaria, con un gesto dolce e delicato, come una reliquia dell’anima, ci porge il biglietto che il Maestro Bertucci ha inviato in occasione della scomparsa di Antonio.
Nella mia lunghissima carriera didattica, ho sempre considerato i miei allievi come figli. Antonio era sicuramente uno di questi, anzi, ancora di più, considerando le vicissitudini per la sua salute.
La sua improvvisa, immatura, terribilmente ingiusta scomparsa ha lasciato in me un immenso, indescrivibile dolore, mettendo sempre più in rilievo la fragilità umana. Ho avuto il piacere di seguire questo ragazzo sin da piccolo ed in questo lungo percorso didattico ho riscontrato una grandissima maturazione sia tecnica che musicale che gli hanno permesso di raggiungere altissimi livelli ed affrontare e dominare importanti composizioni di enormi difficoltà. Il suo ricordo rimarrà sempre vivo, indelebile nei miei pensieri.
Lo legge con amorosa lentezza: è il segno doloroso di ciò che poteva essere e non è stato.
Dopo la lettura, il silenzio del rimpianto …
E poi ritorna, come è giusto, la memoria viva di Antonio.
C’è ovviamente una tristezza profonda nei toni della rievocazione di Papà Gregorio e Mamma Annamaria, vissuta però con la dolorosa serenità di chi ha donato tutto l’amore, il tempo e il cuore possibili per sostenere la lunga lotta per la sopravvivenza di Antonio.
“Appena avemmo la certezza della diagnosi e la consapevolezza della sua gravità, lo facemmo ricoverare al Policlinico di Napoli, dove ci suggerirono di farlo operare in un grande istituto specializzato. Fummo indirizzati a Houston: si prese cura di lui niente meno che il Dottor Denton Cooley, il celebre chirurgo che era stato protagonista dei primi trapianti negli anni ’60, dopo le esperienze pionieristiche di Christian Barnard. Non ci fu bisogno del trapianto. Anzi, Gli interventi e le cure avevano ottenuto un effetto stupefacente: Antonio sembrava rinato e stava accarezzando di nuovo la speranza di riprendere il cammino dei suoi sogni. In fondo, aveva solo ventiquattro anni.
Purtroppo, la ripresa non durò molto. La cardiomiopatia tornò ad imperversare, ma stavolta ci accorgemmo che non era necessario tornare negli Stati Uniti, perché in Italia si era formato un Centro specializzato di altissima qualità, a Pavia, guidato dal dottor Viganò. E qui, nel febbraio del 1996, si sottopose al trapianto. L’operazione alla fine riuscì come doveva, ma dopo un duro travaglio e la necessità di interventi ulteriori dovuti a problemi emorragici ad un polmone. Anche il decorso successivo non fu privo di problemi, perché l’organismo era comunque minato, troppo per accogliere completamente e senza problemi un cuore nuovo. Si sviluppò così una forma di rigetto cronico, che rendeva necessario un controllo permanente e una nuova attesa per un ritrapianto di cuore. Ci trasferimmo allora a Pavia, padre, madre e figlio.
E ci siamo rimasti quasi dieci anni.”
Avendone la possibilità, sia Papà Gregorio che Mamma Annamaria anticiparono il pensionamento. Ed affrontarono la nuova odissea, sempre con il cuore aperto verso il cuore traballante di Antonio.
“Lui si sottoponeva di buon grado a tutte le cure e tutti i controlli. Lo chiamavano affettuosamente “il paziente Antonio”… Nel 2008 arrivò un’altra mazzata: un pesante infarto che portò poi alla necessità di un intervento di angioplastica. Ma anche a questo i dottori seppero mettere una pezza. E nel 2014, relativamente rassicurati, siamo tornati qui a Cava, supportati dall’amore della famiglia del fratello Ivan e degli amatissimi nipotini. Ma negli ultimi tempi l’organismo ha ceduto di nuovo: un aneurisma ascendente dell’aorta, una nuova crisi, il ricovero all’Ospedale di Salerno. E….”
E in quella sospensione di parole si sente il vuoto della mancanza, il sale su una ferita destinata a sanguinare.
Non è facile riprendere il discorso…
Eppure riprende.
“Comunque, ci teniamo a dire che in tutta questa odissea non ci sono mai mancate la vicinanza e l’assistenza della sanità pubblica, che ci ha sostenuti anche quando siamo andati negli USA. E la qualità degli interventi e delle cure è sempre stata all’altezza. In fondo, hanno regalato ad Antonio trent’anni di vita non facilmente ipotizzabili al momento della diagnosi. Ed a noi hanno regalato la possibilità di goderci un figlio dolcissimo, intelligente, sensibile. Un figlio d’oro…”
Un nuovo, leggero silenzio, poi ci indicano un armadio.
“Ecco: lì dentro c’erano vestiti eleganti: giacche, pantaloni, maglioni, tutti di alta qualità. Antonio soprattutto negli ultimi tempi si era lasciato un po’ andare, avendo difficoltà oggettive e soggettive a costruirsi una quotidianità alternativa. Ma aveva continuato a comprare capi di abbigliamento di lusso. Che non ha mai indossato. Mai. Sempre vestito casual, quasi francescano. Diceva che li avrebbe indossati, un giorno. Una scaramanzia, una seconda vita tutta immersa nel sogno, il segno di quella vita che avrebbe voluto vivere e che gli è stata negata …”
Arriva la telefonata che a Botricello, paese natio di Gregorio, è stata celebrata una Messa per Antonio, con la chiesa piena. Così come era piena la chiesa il giorno delle esequie, qui a Cava.
“Ci vogliono bene…. Gli volevano bene… Gli vogliono bene…”
Ci salutano con un silenzioso sorriso malinconicamente sereno. Con la consapevolezza di aver fatto tutto e di aver comunque ricevuto tanto, ma anche con il necessario silenzio della mancanza. In fondo, se esistono termini per definire come orfano chi perde un genitore e come vedovo chi perde un coniuge, per chi perde un figlio non ci sono parole …
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