Si è spento Raffaele Bellucci l’ultimo superstite del treno della morte di Balvano. Fu salvato da un pugno di neve
CAVA DE’ TIRRENI (SA). Raffaele Bellucci, spentosi a 89 anni il 28 ottobre nella “sua” Cava de’ Tirreni, era l’ultimo superstite e testimone vivente della spaventosa tragedia avvenuta il 3 marzo del 1944, quando il treno a vapore Potenza-Napoli si ingolfò nella Galleria delle Armi, presso Balvano, causando con le esalazioni del carbone la morte di quasi seicento passeggeri. Questi erano quasi tutti cittadini dell’asse Napoli Battipaglia, ancora sofferente per la guerra, in cerca di provviste alimentari per loro e le loro famiglie. Tra loro ben trentasei provenivano da Cava de’ Tirreni.
Allora Raffaele Bellucci aveva 17 anni ed andava spesso a Potenza e dintorni prima per il suo lavoro di boscaiolo, poi per necessità alimentari. Quel giorno sul treno stava con il fratello Giuseppe. Nel convoglio, pieno fino all’inverosimile, si sistemarono alla meno peggio tra un vagone e l’altro, ma in posizione tale da poter scendere e salire anche col treno in movimento. Prima di ogni galleria, infatti, erano soliti slanciarsi a terra per prendere un pugno di neve e creare così una sacca di ossigenazione durante l’attraversamento, che era sempre pericoloso proprio per le esalazioni di ossido di carbonio. La neve, in quell’occasione, salvò la vita ai due giovani, mentre il grosso rimase intrappolato e fu intossicato fino alla morte.
Raffaele Bellucci era diventato una pagina vivente di storia. L’ultima uscita pubblica è avvenuta nel marzo scorso, quando, in occasione dell’anniversario dell’evento, aveva incontrato a Palazzo di Città gli allievi delle scuole di Cava de’ Tirreni per raccontare la sua vicenda, emblematica di una condizione di disagio e di povertà tipica di quei tempi drammatici. E lo ha fatto come era suo solito, con un’affabulazione chiara, comunicativa, coinvolgente, ricca di costruttivo spirito civico, di fermenti emotivi e positivi valori di vita. La sua testimonianza, calda e stimolante, è rimasta incisa nella memoria di tutti i presenti, così come il calore trasmesso dalla vicinanza della sua famiglia (di cui fa parte anche Dina, popolare e “storica” dipendente del Comune), in cui lui per una vita intera ha trasmesso in pieno la sua “carica innamorata” di marito e di padre.
Sue testimonianze dirette si ritrovano in réportage di televisioni locali ed in alcuni volumi, tra cui “Senza ritorno” di Patrizia Reso, che rievoca la tragedia e dettaglia le singole storie dei cavesi che erano sul treno.
Diversamente che altri Comuni, Cava de’ Tirreni non ha ancora dedicato nemmeno una targa alla tragedia in ricordo dei suoi caduti, anch’essi considerabili di guerra. Ci si augura che almeno dopo la scomparsa dell’ultimo testimone ciò possa avvenire, e in forma solenne. Allora sì che il quaderno con le pagine vive di storia rimarrebbe “sul tavolo” e non finirebbe colpevolmente chiuso in un cassetto.
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