Cinquant’anni fa moriva Giuseppe Ungaretti, il padre della Poesia Pura

(Con quest’omaggio a Giuseppe Ungaretti riprendono gli approfondimenti di cultura poetica “PoesiadelNovecento-IContempranei” a cura del poeta Antonio Donadio. N.d.R.)


Il Porto sepolto, scritto nell’inferno della prima guerra mondiale quando il poeta era al fronte sul Carso e pubblicato a Udine nel 1916 in soli ottanta esemplari, è senza dubbio il capolavoro di Ungaretti. Elemento chiave è la parola, la purezza della Parola così come sgorga nell’animo del poeta.

Novità per la poesia italiana d’inizio Novecento: la parola come rappresentazione di se stessa e della sua misteriosa esplosione evocativa di un “qualcosa” che l’uomo sente “dentro” ma che difficilmente riesce a decifrare.

E’ questo il compito della “nuova poesia”, di questa “poesia pura”, cogliere di dentro quel qualcosa nella sua essenza primitiva per poter decifrare la misteriosa realtà dell’esistenza umana, esistenza gravata da continue sofferenze e della presenza costante del dolore.

Compito del poeta è di far venire fuori questa “esplosione” così come avviene, senza infingimenti logici, retorici o peggio di maniera.

La “parola” per Ungaretti deve “nascere nella tensione espressiva che la colmi della pienezza del suo significato”. Insomma la Parola nuda così’ come nasce nel profondo dell’animo che diventa canto poetico. Ma per fare questo il poeta deve liberarsi di tutto ciò che gli impedirebbe di portare a termine questa ”operazione”, deve cioè liberarsi dei codificati canoni di “fare poesia” in modo tradizionale, e allora: via la metrica classica, la sintassi rigida e schematica, la punteggiatura tradizionale, la ripartizione dei versi in strofe, per un uso maggiore dell’analogia, della sinestesia, e l’introduzione dello spazio bianco tra verso e verso.

Verso che diventa anche di una sola parola. Esempio la famosissima lirica (nonché splendida sinestesia): M’illumino/d’immenso. Poesia pura quindi che si serve della parola come valore magico-evocativo di qualcosa di misterioso attraverso un linguaggio, spesso, altrettanto misterioso. Poesia che per quest’aspetto venne definita, a parer mio, molto superficialmente, poesia ermetica.

L’ermetismo, in verità, ufficialmente, nascerà molti anni dopo, solo nel 1936. Sarà Francesco Flora a battezzare questa nuova poesia come Poesia Ermetica. Termine derivato dal nome del dio pagano Ermete, divinità dedita ai culti esoterici, misteriosi.

La prima opera che può definirsi a pieno titolo “ermetica” sarà Oboe Sommerso (1932) di Salvatore Quasimodo in cui i canoni poetici assunti dal nascente ermetismo diventano vere e proprie regole da applicare.

La madre

E il cuore quando d’un ultimo battito
Avrà fatto cadere il muro d’ombra
Per condurmi, Madre, sino al Signore,
Come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all’Eterno,
Come già ti vedeva
Quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,
Come quando spirasti
Dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m’avrà perdonato,
Ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d’avermi atteso tanto,
E avrai negli occhi un rapido sospiro.

Giuseppe Ungaretti

(da Sentimento del tempo, Vallecchi 1933)


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