Cava de’ Tirreni (SA). Premio Licurti, la rassegna è bella. E spuntano gli Extravagantes di Gargiulo

Nel mezzo del cammino della rassegna teatrale estiva, stanno emergendo nei fatti le linee guida del lavoro della Direttrice artistica Geltrude Barba. Non voleva lavori semplicistici o dilettanteschi, non voleva fermarsi ai confini della Valle Metelliana e delle sue pur gradevoli compagnie più o meno parrocchiali. E ci sta riuscendo bene: i sei spettacoli finora effettuati sono stati decisamente all’altezza, per qualità e contenuto. Ha emozionato Nel campo delle viole cantando le vittime innocenti della camorra (Simonetta Lamberti in primis), ha entusiasmato la coinvolgente versatilità della magnifica Rosaria De Cicco, star numero uno dell’intera rassegna, hanno fatto riflettere lo smarrimento sociale e lo spirito di lotta di Petruzzi, hanno divertito i pornoconfusionari di Primo aiuto.

Ci piace qui sottolineare quella che finora è stata la scoperta forse più interessante e gravida di promesse: i napoletani Extravagantes, in scena il 7 ed il 9 agosto con Menecmi di Plauto e La felicità comica, viaggio nella cultura napoletana teatrale e letteraria  di stampo pulcinelliano.

Compagnia giovane, fresca ed appassionata, è nata da poco più di tre anni ed ha già toccato livelli professionistici, mostrando una produttività da conigli di scena: quasi quindici spettacoli, su testi codificati oppure rielaborati in proprio, con autori che vanno dai classici antichi fino a Salemme (E fuori nevica…. O Premiata Pasticceria Bellavista) o anche alla Comencini oppure scherzosità parodianti ma non aliene dall’attualità come Le promesse spose.

Merito principale di tanta ricchezza produttiva va al fondatore e capocomico, il giovane Antonio Gargiulo. Cultura classico-liceale alle spalle, passione da innamorato per la scena, talento teatrale nel DNA, cultore, sceneggiatore, attore e soprattutto regista,  ambizioni legittime e ad hoc con colazione mattutina a pane e orgoglio, Antonio, che ha solo ventisei anni e una maturità teatrale di almeno dieci anni superiore, ha dimostrato di avere come capo comico il capo di un comico ed il senso del tragico che a volte insito nel comico.

Gargiulo, che pure ha ancora grandi margini di miglioramento e, speriamo, l’umiltà giusta per raggiungerli, ha comunque dimostrato di saper già allestire una scrittura scenica adeguata coniugando leggerezza e profondità, di poter gestire con sufficiente sicurezza il ritmo dello spettacolo, occupare lo spazio scenico nella sua pienezza, armonizzare il rapporto tra i toni e le singole battute, dare un’anima ed un’unità all’insieme.

Nell’interpretazione delle scene si intravede bene questo lavoro preparatorio, perfezionato dal fatto che, essendo egli stesso un bravo attore, può anche fare il regista in campo. Così alla fine i singoli attori sono portati a dare il meglio di sé, il che, a prescindere dal valore assoluto che varia a seconda del talento dei singoli, è comunque una cifra importante.

Queste capacità si sono evidenziate in forme diverse nei due spettacoli presentati dagli Extravagantes.

In Menecmi di Plauto, è stata creata una traduzione moderna, agile, ricca di venature dialettali, con i classici doppi sensi e giochi verbali del grande drammaturgo latino, ma senza le forzature volgari a cui spesso lo condannano autori ed attori in cerca di effetti speciali per conquistare il pubblico e purtroppo dimentichi che lo special one è proprio Plauto: padre della tecnica comica, che ha tra i suoi figli oltre duemila anni di teatro e di attori. Sulla base del testo, agile e comprensibile, la storia, basata sul doppio, un classico di sempre, è riuscita a catturare gli spettatori nel vortice continuo dell’equivoco e nell’elastico efficace tra la soddisfazione del pubblico che conosce la verità e lo smarrimento dei personaggi che invece la ignorano, almeno fino allo scioglimento finale.

Ne La felicità comica, occorreva invece trovare una sintesi tra la popolarità della maschera di Pulcinella e la necessità di indagare sulle radici più profonde del suo essere l’anima di Napoli, maschio e femmina, uno e centomila. Radici fatte di subordinazione sociale, di contaminazioni amare con la vicinanza del senso di morte, di voglia e capacità di giocare sulle cose e con le cose, di ricerca affannosa della felicità o almeno dei suoi surrogati, di energia scoppiettante nelle scoperte dell’amore e delle speranze, nella compresenza di allegria e tristezza in un perenne malincomico gioco esistenziale.

Il tutto ancora una volta messo in scena con l’intento di evitare le facili furbizie catturaspettatori e di riproporre la figura di Pulcinella attraverso le parole dei letterati antichi che lo hanno fatto vivere nell’immaginario (Fiorilli, Perrucci, Petito, Malaparte e Parlante). Non era facile, anche perché occorreva allontanarsi il meno possibile dalle forme della lingua napoletana del passato. La compagnia alla fine ha vinto la sua battaglia, sconfiggendo anche alcune ritrosie iniziali del pubblico, che si aspettava uno spettacolo più “comodo”.

Dopo un primo tempo vivace ma più concettuale e letterario, e comunque con dialoghi resi al meglio non solo nei momenti di universalità ma anche in quelli di latente inattualità, il secondo tempo si è espanso con piccoli fuochi artificiali scenici, accesi dalla bravura degli attori, tra i quali non possiamo non evidenziare il pirotecnico Biagio Musella, proveniente dalla scuola di Nando Paone, ammirato prima come Pulcinella-Leporello e poi come Pulcinella tritato d’amore e come scatenato e denudato Dottor Nonloseppi.

Alla fine, nello spettatore amante del teatro specchio-cantore dell’uomo senza sfarfallii televisivi o telepubblicitari, è rimasto il sapore della scoperta di giovani a loro modo “alternativi” (se no che extra vagantes sarebbero…) e di un leader  che ha già un bell’avvenire dietro le spalle e un avvenire più bello ancora da venire. Insomma, un piccolo ma significativo sapore di futuro…e di futuro del passato: non è poco in tempi in cui futuro fa rima sempre con oscuro …


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