“E la città” di Sofia Genonino
Diciamolo subito, ci son altre poesie più belle di questa, ma la mia scelta è stata motivata dall’oggetto divenuto motivo poetico, (esplicitato anche nel titolo del libro ““poesie alla città”): Cava di ieri e di oggi, o meglio dei primi anni 90, anno di pubblicazione. Della Signora Sofia Genonio, tra i miei circa settemila volumi, ho quattro testi di poesie, questo e “Ho dato un nome al silenzio”, “ i luoghi del tempo” e “la poesia ha gli occhi stanchi; della sua vita so solo che discende dall’antica famiglia dei Conti Genoino, già docente di lettere e che ha sempre coltivato l’amore per la poesia. E tutto ciò mi basta. Dalla lettura delle sue liriche si evince in modo chiaro che la Signora Sofia Genonio è un poeta. Non è che non ci siano liriche meno felici e riuscite (cosa che capita anche ai “poeti laureati”), ma la sua scrittura è scrittura poetica: ritmica o artimie funzionali e non casuali, stilemi e grafemi, figure retoriche, … insomma un buon ordito che fa di un insieme di versi, una poesia. Non mancano evidenti richiami pascoliani e atmosfere crepuscolari, ma, ho potuto ritrovarvi, anche echi novecenteschi di un neorealismo come da “Scuola Lombarda”, di quell’intimismo, di quel “cosismo” che ha avuto in Luciano Erba uno dei più importanti rappresentanti.
E la città
Spesso ritorno alla mia vecchia casa
al mio paese:
la basilica bianca, l’antico olmo
brunito dell’altare
richiamano alla mente luminarie
fiori e festoni di settembri chiari.
Il convento di suore, San Francesco
il campanile alto sulla piazza
la strettoia dei portici
fioriti ad ogni arcata
lo spiazzo con la chiesa ed il sagrato.
Poi giuliva la città si apre
con i portoni ampi dell’ingresso
dove i giardini folti dell’estate
danno silenti l’ombre della sera.
E la piazza più nuova, il duomo austero
mentre volano rapide colombe
e i gradini di pietra
e i delfini nel gorgoglio dell’acqua.
D’improvviso la città riprende
aspetti e forme di perdute infanzie
il castello si apre a età vissute
ai fuochi nelle sere
e un accenno di pioggia
riporta agli attoniti dinieghi
quando a frotte scendevano le donne
dall’ombre della Serra; poi la festa
tra il risuonar di mille scoppi al cielo.
Granelli caldi di rosate sabbie
filtra ogni cosa, scendono i ricordi
e clessidra si fa la mano
mentre tramonti freschi come albe
segnano il tempo d’ieri
fermano quello d’oggi
sopra lontane lunghe primavere.
Sofia Genoino
da “poesie alla città”, Avagliano Editore, 1992
“E la città”. Rivedere Cava con gli occhi del passato, ma anche con la lucidità del tempo presente che “magicamente“ si ferma come per un fermo immagine. Il poeta ritorna a Cava, rivede quanto del borgo antico elegantemente enumera: dalla basilica della Madonna dell’Olmo “ la basilica bianca, l’antico olmo/ brunito dell’altare/”…. via via attraverso “la strettoia dei portici/ fioriti ad ogni arcata “ fino a giungere in piazza Duomo “ il duomo austero / mentre volano rapide colombe “ (da notare: colombe e non colombi, nella comune terminologia). Ed è lì che avviene l’incantesimo: ecco che la città d’improvviso riprende “aspetti/e forme di perdute infanzie “ e il ricordo va ai giorni della festa di Castello e allo storico leggendario grido che allontana le donne dal maniero: ”attoniti dinieghi”. Ed il poeta diviene artefice dei tempi, del suo tempo storico, emozionale, intimo: le sue mani si fanno clessidra e il tempo si ferma come dono di “lontane lunghe primavere”. Una traccia di lettura testuale? Suggeriamo : l’uso degli aggettivi. Vediamoli: “settembri chiari, granelli caldi, tramonti freschi, primavere lontane lunghe”. Chiari, caldi, freschi, lontane, lunghe. Non inganni il “lontane”, non lontane da noi come cose passate ma che vengono da lontano come qualcosa di nostro che si ripropone come eterne “lunghe “ ovvero interminabili. Aggettivi che danno la valenza all’intera lirica: non persa in errante nostalgia, ma presa dall’incanto di un eterna renovatio, come da sempre è giusto che siano le primavere. In ogni stagione della vita, e forse anche oltre.
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