E Cappuccetto non si fece sbranare dal lupo. “Le stelle di crema”, del salernitano Luigi Crescibene, è il romanzo di una ragazza in carriera in cerca della sua identità
SALERNO. Luigi Crescibene, noto e prestigioso docente e critico d’arte salernitano, oltre al tavolino dello studio ama anche il caminetto dell’affabulazione, dei racconti, dei romanzi.
Gli piace avventurarsi in storie dal sapore agrodolce, in cui ora si solleva dal caos della vita quotidiana per osservarla con occhio più distaccato e criticamente disincantato, ora si avventura nel guazzabuglio del cuore umano (privilegiando quello femminile) per evidenziarne battiti, frustrazioni e complessità, ora socchiude gli occhi per filtrare la nebbia e cercare dentro la propria identità il filo di Arianna per uscire dai labirinti esistenziali e respirare con leggerezza la sostenibile pesantezza dell’essere.
Così anche nel suo ultimo romanzo, Le stelle di crema (Ed. Mursia).
L’ardito accostamento del titolo evoca brillio, gusti, sapori, ma anche sospirate lontananze. E l’incipit (Flo, con la sua solita grazia, entrò in classe, affannata) ci dipinge subito uno schizzo della protagonista: nome Flo, studentessa, bella ragazza, aggraziata nei movimenti, affannata nello spirito.
Sono indizi sfumati eppure chiari, che offrono la chiave per entrare nel plot della vicenda. Si racconta degli agi cercati e dei disagi psichici e psicofisici (comprese le crisi ipoglicemiche da superdieta e le quasi conseguenziali crisi anoressiche) incontrati dalla giovane campana Flo nella sua esperienza a Milano come modella in carriera. Qui corre il rischio che la sua identità e la sua freschezza adolescenziale siano stritolate dai meccanismi di quel mondo della moda in cui la strumentalizzazione della persona è un’abitudine consacrata, unita alla logica del compromesso ed alla creazione della maschera necessaria per vendersi bene. Da aggiungere, a questo, la pressione dei genitori di Flo, cinicamente più realisti del re e ben disposti non solo a sopportare che la figlia si comprometta, ma anche a sollecitarla perché ciò succeda, purché favorisca il successo.
Da questo breve accenno al plot della storia si possono intuire gli elementi di critica, o anche di semplice rappresentazione sociale presenti nel romanzo e del resto conformi ai gusti dell’autore, che privilegia lo storico realismo russo e le punte della letteratura realistica americana moderna, in testa Caldwell ed i suoi bastardi di periferia, figli di semi sociali già bastardi.
Noi crediamo però che la qualità del racconto risieda non tanto nella non originalissima storia di base, quanto nelle sfaccettature con cui vengono tratteggiati episodi e personaggi. In particolare, l’animo di Flo, tutt’altro che piatto e scontato, viene scomposto e messo a fuoco nelle sue varianti e nelle sue contraddizioni.
Mandata allo sbando in un mondo più grande di lei, la ragazza subisce ed elabora una forma di passivizzazione attiva: è indotta a scegliere quello che altri scelgono per lei (i genitori e il manager-amico -amante Ivano in testa), ma col passare dei giorni sceglie lei stessa di sceglierlo e poi alla fine farà anche le sue scelte autonome di vita e di professione. Le hanno insegnato a concedere anche il suo corpo pur di perseguire il successo, e lei ora cede tout court, anche alle avance della tuttofare Mia, ora ci mette il suo concedendolo “con amore”, e ad un certo punto anche amando e frequentando alla pari due persone molto diverse tra loro, il manager ed un amico napoletano stile genero di mammà.
In altri momenti, paradossalmente, lei, che sembrava una vittima sacrificale in posizione down, si pone nella condizione dell’opportunista in posizione up. Come un Cappuccetto rosso che prende a morsi il lupo… E nel formarsi della sua nuova identità, riesce a fare un mix tra i valori delle radici di paese e le opportunità di guadagno della metropoli. Un mix imperfetto, ma in fondo la sua foto più riuscita sarà proprio quella meno costruita…
Alla fine, la mangiata a papille danzanti di quei bigné alla crema che le erano sempre stati vietati è la torta sulle ciliegine di una storia di formazione interiore che in fondo rappresenta uno degli obiettivi del narratore.
Abbiamo preso in esame la figura di Flo, sia perché è la protagonista sia perché può essere un esempio significativo. Ma fattori di cubismo introspettivo non mancano neppure negli altri personaggi. Ivano, il manager, in primis: cinico quanto basta e serve, aria da padrone che non ama opposizioni, inserito a pieno titolo nel meccanismo perverso degli interessi commerciali, eppure rispettoso e non possessivo amante di Flo e della sua adolescenza, eppure “padre” affettuoso e consapevole nei momenti chiave, capace perfino di di slanci infantili, coraggioso nell’ammettere le fragilità emotive.
Senza contare il rapporto controverso di Flo con i genitori, fatto di timori, ribellioni, abbandoni e abbracci, o la maschera grottesca della madre, donna dalla femminilità a brandelli che cerca compenso alle sue delusioni nella costruzione dei sogni di Flo e quando ne sente le resistenze prova insieme sgomento, tenerezza e rabbia.
Crescibene ama calarsi nelle esplorazioni delle persone, ma nello stesso tempo, come uno speleologo sempre sul chi va là, appena sfiora il centro del cuore, si fa tirare su per respirare aria meno magmatica. Ama creare situazioni che includono scene di amore fisico, ma, appena i protagonisti entrano nella stanza, lui ne esce, con discrezione. Ama presentare situazioni articolate, eppure privilegia una narrazione pronta all’ellissi, forse per lasciare spazio adeguato all’immaginazione.
Per lo stesso motivo egli solletica il lettore quando, tra spasmi di insicurezze e di aridità, inserisce frammenti lirici come il respiro di una siepe di gelsomino, consoni alle sue radici intrise di silenzi naturali. Sono però flash, perché a lui piace lasciare l’alone.
Forse, questo alone è quello della mancanza di certezze, dell’inafferrabile cuore della verità, del mistero con la faccia di luna. Vaghezze da avanguardie pittoriche, ma mai tali da cancellare il piacere, sia pur fulmineo e contingente, di un bigné alla crema divorato col gradito sudore di una scalata verso la propria stella più lucente…
Commenti non possibili