Sant’Alfonso: una domenica col grembiule, nel segno della Speranza. Incontro con Casa Rut e Suor Rita Giaretta, gli angeli delle prostitute schiave

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Una domenica che resterà nel cuore, quella del sei aprile, per coloro che frequentano la Chiesa di Sant’Alfonso di Cava de’ Tirreni. Una domenica che ha lasciato il segno, per la forza e l’intensità dei segni che l’hanno caratterizzata. La ricorderemo affettuosamente come la domenica del grembiule.

Era un grembiule vero, quello che don Gioacchino Lanzillo ha indossato per la celebrazione delle messe mattutine, con un gesto lungimirante, coraggioso perché inusuale, ma naturale per l’invito implicito a rimboccarsi le maniche ed a lavorare duro per realizzare la Chiesa vicina a tutti, a cominciare dagli ultimi, anche a costo di “sporcarsi” le vesti. La Chiesa del Grembiule, appunto, quella sognata da don Tonino Bello, quella che sta cercando di far rivivere Papa Francesco, cogliendo il cuore stesso del Cristianesimo.

Era un grembiule pregno di solidarietà, quello del 6 aprile, perché a donarlo, durante le Messe e nell’ambito di un incontro di gemellaggio promosso dal Punto Pace Pax Christi di Cava, è stata Suor Rita Giaretta, responsabile di Casa Rut di Caserta, associazione che da circa un ventennio è impegnata nel recupero delle prostitute schiave delle strade, alle quali offre calore, sostegno e la possibilità di rifarsi una vita libera dalla violenta oppressione dei papponi e delle organizzazioni criminali.

Era un grembiule pregno di vita e di speranza, perché a cucirlo sono state proprio alcune delle ragazze salvate, che lavorano nel laboratorio di artigianato e sartoria etnica della Cooperativa Sociale fondata circa dieci anni fa all’interno di Casa Rut: New Hope, cioè Nuova Speranza, un nome emblematico e benaugurante.

La consegna del grembiule è avvenuta dopo il discorso pronunciato da Suor Rita al momento dell’omelia. È stato un discorso avvolgente, coinvolgente, stimolante, emozionante. Suor Rita, con l’impeto espressivo che le è proprio, ha raccontato la storia di casa Rut, nata quando lei ed un gruppo di sorelle decisero di “indossare il grembiule” e lanciarsi sulla strada per consegnare messaggi di fiore e di calore e ponti di liberazione alle tante ragazze, soprattutto straniere, che costellano le strade del casertano, di notte e spesso anche di giorno. Un ponte rischioso, per la sfida umana che lanciava contro le armi della malavita con la sola arma dell’amore e della solidarietà.

Nonostante i rischi, e grazie al sostegno progressivamente ricevuto dalla popolazione e dalle forze di polizia e dalle istituzioni, la scommessa è stata vinta: in circa un ventennio sono state salvate quasi trecento ragazzee sono nati, all’interno di casa Rut, cinquanta bambini.

Si potrebbe scrivere un romanzo, con tutte le storie vissute. Per certi versi, Suor Rita lo ha già scritto, pubblicando due libri sull’esperienza di casa Rut: ma non è un romanzo, sono storie reali di offesa alla dignità femminile e di carezze di speranza verso nuove prospettive di vita.

Dal pulpito, Suor Rita ha ricordato il bigliettino recentemente ricevuto dall’Africa, scritto da una giovane che solo un anno fa era sulla strada e che ha ritrovato la speranza grazie a Mamma Rita ed alle sue sorelle. In altri momenti, ne ha raccontate altre, di storie, che fanno accapponare la pelle. Come il pianto angosciosamente liberatorio di una quindicenne già venduta più volte, che a casa Rut aveva ricevuto per la prima volta in vita sua un bacio della buona notte. O come l’avventura di una sedicenne albanese, costretta a vendersi e poi anche derubata del figlio appena nato, venduto ad una coppia lontana. La ragazza è stata recuperata ed ha anche ritrovato il figlio rubato, riabbracciato nel corso di un incontro che è impossibile descrivere a parole.

Dalle parole di Suor Rita in chiesa è emersa nella sua pienezza l’anima di casa Rut: un luogo di salvezza, di speranza, la riscoperta di una femminilità liberata dove c’è il profumo della dignità, una finestra aperta su un futuro che sembrava perduto.

La sua presenza era finalizzata ad una testimonianza forte di solidarietà attiva, ma anche alla richiesta di un sostegno concreto. Nessuna offerta, nessun’elemosina, ma semplicemente l’acquisto di uno dei tanti manufatti “danzacolori” della New Hope. Un sostegno che non è mancato: intorno al banchetto sul sagrato si è creato un festoso capannello di persone che sceglievano chi una borsa, chi un borsellino, chi un grembiule, chi un portacellulare chi altro, aggiungendo al colore degli oggetti il colorito del loro sorriso e della loro disponibilità.

Alla fine, un affettuoso arrivederci. Non solo verso Suor Rita, che a Cava è di casa, avendo già a suo tempo ricevuto il Premio Mamma Lucia alle donne Coraggio e portato in varie circostanze la sua testimonianza, ma verso l’intera Casa Rut. Anche grazie alla mediazione del Punto Pace Pax Christi di Cava, guidato da Antonio Armenante e che da tempo ha aperto un ponte con Suor Rita, è nato un gemellaggio forte, pronto a crescere, soprattutto se continuerà ad essere accompagnato da segni e persone di buona volontà.

È un legame dal sapore cristiano, ma è un sapore che può essere gustato anche con spirito laico di fraternità ed umanità. Papa Francesco, quando ha ricordato che se è vero che non ci può aprire agli altri senza aprirsi allo spirito divino, è anche vero che non ci può sollevare verso lo spirito divino senza avvicinarsi agli altri, non parlava solo ai fedeli, ma lanciava un messaggio d’amore ed un invito alla coscienza della responsabilità che comunque coltiva la luce che è dentro di noi.

Del resto, la triade rabbia-coraggio-impegno sociale, tanto cara a Suor Rita, è un valore che accomuna, non divide. E, per dirla con lei, non dimentichiamo che il futuro che sogniamo dipende da come ci impegniamo oggi …


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