Da Cava al mondo con colore. Venticinque artisti di cinque nazioni in esposizione a Santa Maria del Rifugio

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Una mostra ad ampio respiro ha inaugurato l’inserimento felice nella vita di Cava de’ Tirreni dell’Accademia Internazionale Arte e Cultura Michelangelo Angrisani di Castel San Giorgio. Venticinque artisti di cinque nazioni (Italia, Romania, Spagna, Brasile, Israele) hanno esposto le loro opere nel complesso di Santa Maria del Rifugio dall’11 al 25 maggio. L’Accademia da venti anni promuove l’attività territoriale, scopre talenti, lancia corsi di formazione, stabilisce contatti con artisti di altre nazioni, ma per vari motivi solo quest’anno ha aperto un canale strutturale con Cava, che è la città dove da tempo vive il Presidente Michelangelo Angrisani, artista di vaglia, recentemente insignito a Cortona di un Premio alla carriera dedicato al grande Gino Severini.

Nell’esposizione, significativamente intitolata Le voci del segno e del colore, sono varie le tecniche, le scelte cromatiche e figurative, le tematiche, anche la qualità (l’Accademia è inclusiva per definizione di tutti i livelli di abilità), ma comune è la passione, comune è la voglia di parlare e poetare con pennelli e colori.

In viaggio, dunque, alla scoperta di un mondo, anzi, di tanti mondi.

Accolgono il visitatore le sensuali volute di Giuseppe Di Mauro, che stavolta rinuncia alle amate e chiaroscurali sensualità in bianco e nero per abbandonarsi alle colorate suggestioni di atmosfere comunque sensualmente chiaroscurali. Spicca, tra i tre lavori, La lettura, che descrive una donna mollemente concentrata con un libro su un divano: un gioiellino di semplicità che mette a nudo più dei nudi la magistrale padronanza del disegno dell’artista cavese.

Accanto alle mollezze di Di Mauro, i volti femminili torniti e baroccheggianti del brasiliano Carlos Queriros. Scuola sudamericana, senza la luce dei colori forti ma con la figura che emerge netta dalla tela e trasmette il senso di una voluttuosa ricerca della bellezza.

Di tutt’altro genere le tele della casertana Paola Paesano: due pecore in primo piano, una finestra rustica. Suggestiva l’espressività dei due volti animali, a testimonianza di una mano ferma nel disegno. Più vaga l’apertura della finestra rustica, e forse per questo maggiormente in grado di stimolare l’immaginazione verso un mondo più slow.

Nella sala grande d’ingresso, sono di forte impatto visivo le tele della lanzarese Adriana Ferri. A parte un intimo paesaggio ed un plastico gruppo angelico, spicca in particolare la triade tutta dedicata alla donna, in cui l’emersione di volti ora dolcemente ben torniti, ora pensosamente avvolti su se stessi, ora mascherati dal colore rosso delle labbra si fonde con il gioco pensante della concentrazione sul sé, intrisa di conflittuali ingombri e di sognanti fantasie, ingombranti e catartiche nello stesso tempo.

Intenso è anche l’impatto con le dense cromie delle ceramiche di Rosa Salsano, pregne di una luce propria, in una varietà avvolgente di forme e di riflessi che trova la sua migliore espressione nel blu di un magnifico piatto, in cui si intravede il discreto intreccio delle inquiete stilizzazioni e delle figure (ali, uccelli, pesci, alberi) che hanno caratterizzato le recenti ricerche dell’artista e che qui si fondono in una sintesi di composta e nello stesso tempo turbinosa eleganza.

Sfumata è invece l’eleganza degli scenari naturali della ravennate Liliana Scocco Scila, che coniugano con delicata armonia l’apparizione di forme ben precise e la loro quasi contemporanea sparizione attraverso l’emarginazione ai lati e la sognante destrutturazione dello sguardo. Il tutto crea evanescenze di turneriana memoria, in un effetto di straniamento visivo, che genera leggere onde dell’immaginario.

Solo in apparenza più pietrificate le donne mosaicate della toscana di Cortona Marzia Dottarelli, raffigurate con una tecnica raffinata che evoca antichità bizantine o pompeianeggianti, ma poi vivificate, attraverso l’integrazione del vetro con il tassello siliceo, da coloriture semicalde e da una postura del corpo staticamente vitale, che evoca un plastico rovello interiore, rivelato dalla vivezza degli occhi, vagamente contrastante con l’amara disarmonia delle labbra.

Vaga lontano invece la doppia figura femminile del cosentino Marcello La Neve, che, forte di una mano ferma e “morbida”, è un cultore della ritrattistica e del volto in primo piano. Nell’opera presentata alla mostra, la polarità contrastante del colore e del bianco e nero crea un intrigante e intercambiabile flusso tra ideale e reale, in cui il volto della ragazza sembra prigioniero di un sogno, in una prigione non lacerante ed anche un po’ ambigua, perché non è chiaro quale delle due parti sia effettivamente il sogno e quale il reale.

La stanza intermedia è tutta scultura, con le interessanti e gradevoli opere del cavese Angelo Spatuzzi, artigiano marmista, che ama andare oltre il suo mestiere ed immergersi artisticamente nella modella zione di plastiche figure classicheggianti o ben tornite composizioni religiose, comunque espressioni di una mente, e di una mano, che vuole ancora volare e sognare.

Nel grande salone interno spiccano nell’angolo le vivaci e colorate danze di colori organizzate da Rosanna Ferraiuolo, che nei momenti migliori, come nella grafica di uno sfavillante gioco marino di pesci, riesce a trasmettere con l’intreccio delle tinte forti un’armonica energia esistenziale.

Un’intensa sensibilità di cromie tonali emerge dalle deliziose figure semiottocentesche dell’israeliana Dina Zilberberg, ispirate alla tradizione impressionistica e vivacizzate dai baluginii di un’intrigante sfumato di sfondo.

Se la Zilberberg è impressionata dall’impressionismo, la sorrentina Anna Esposito risente di echi del surrealismo, con una rosa rosso shocking che fa da centro di gravità visivo su uno scenario deserteggiante, in un’elettrica accoppiata che ha il sapore esistenziale della reattività e dell’energia, che per essere spesa ha bisogno di essere percepita e assaporata.

Energia che viene riproposta a pieno pennello anche dalla laziale di Velletri Daniela Conti con le sue figure puntillate a macchie policrome colte nella magmatica dinamicità di uno stato d’animo elettrico. Vi si associa la salernitana Anna Orilia in tre acrilici con tematiche diverse, ma con la comune ricerca di un quid potenziale offerto dai colori forti e dall’elettricità che nasce nel tentativo di conciliare il dominio delle geometrie con l’ansia delle linee rotonde (che non è un fatto solo formale).

Interessanti le proposte della rumena Liliana Lubescu e della calvanichese Anna Sessa. La prima emerge con una locusta stilizzata con la tecnica del monotipo, cioè dell’unica stampa su base dipinta a mano: un’immagine suggestiva, una finestra su uno dei gruppi internazionali dell’Accademia più originali, stimolati e stimolanti nella loro ricerca di sperimentazioni tonali e strumenti alternativi. La seconda, che si mostra attenta al corpo delle donne ed alle loro espressioni, si fa notare per un volto coperto dal velo rosso, ma con due occhi sporgenti che bucano la tela, ad esprimere la sensibilità interiore e, crediamo, a polemizzare contro la vitalità velata ed imprigionata.

In questa galleria quasi tutta al femminile spiccano gli scenari naturali della spagnola Pilar Segura Badia, in cui il realismo complessivo dell’immagine si stempera in un incantato e sfumato gioco di ombre e di luci, per cui il dipinto riescono a cogliere il silenzioso incanto visivo di un istante ed a trasmetterlo con poetica emozione narrativa.

Pregni di meditata emozione sono i dipinti della cavese Maria Raffaele, che da anni vive e raffina se stessa in un cammino progressivo di ricerca e di maturazione: dall’originario figurativo in vivaci ma accademiche spatolate alle attuali forme vaghe, leggermente increspate e materizzate, ricche di tonalità cromatiche delicate, attraversate da leggeri geometrici recinti che mettono ordine e nello stesso tempo aprono nuovi spazi, in un gioco di specchi che alleggerisce e fa lievitare le sognanti e soggioganti contraddizioni dell’anima.

Tra tante donne alle prese con le vibrazioni dei colori, un uomo, il sangiorgese Giuseppe Citro, con due istallazioni vagamente inquietanti e provocatorie: un cerchio con un equilibrista in forte bilico ed una scritta inneggiante al made in Italy, ma con le lettere decisamente gualcite. Forse, e senza forse, è un intrigante riflesso di una crisi sociale e morale: una giusta presenza, a ricordarci che l’arte può essere anche denuncia.

Nell’ultima stanza con semplicità e sensibile umiltà il battipagliese Felice La Sala si avvicina agli scenari della natura, foreste tropicali o file di alberi che siano. Di rimando, non rinuncia al gioco di penetrazione nel paesaggio, non alieno dalla possibilità di immergervi dei volti, la cavese Francesca Vitagliano, che, con sensibilità e progressiva maturazione nei contrasti di colore, si sforza di dare corpo alle personali vibrazioni di fronte ad uno scenario naturale e all’interrogazione degli sguardi: la magia rimane un vagheggiamento, ma lascia la scia leggera di un sogno ad occhi aperti.

Le fanno compagnia i giochi visivi di Cristiano Verde, appassionato cultore di scenari urbani, in particolare delle stazioni, che descrive con spontanea semplicità e ponderata ingenuità, cogliendole nel movimento che evocano e nei sogni che suscitano.

Di tutt’altro genere, le figure religiose di AntonioSantucci, di tradizionale impianto figurativo, ma intrise di una moderna vitalità che le umanizzano negli slanci della vita quotidiana, come è dimostrato soprattutto dalla risata aperta di un San Pio per una volta non misticheggiante.

Tra i tanti adepti dell’Accademia non poteva mancare la presenza del Presidente fondatore, Michelangelo Angrisani, che ha esposto una dozzina delle sue opere più significative e si è finalmente fatto conoscere nella sua compiutezza anche dai concittadini di quella che è oramai da quindici anni la “sua” Città. Tanta la curiosità, notevoli gli apprezzamenti per le sue opere, in particolare per l’originalità del colore del colore del legno e per la sua “pittura-messaggio”. Angrisani infatti crea dal disegno stesso e dalle increspature materiche, specificamente del legno, le linee, le sfumature e le vaghezze capaci di esprimere le sue permanenti inquietudini e la sua ricerca di una religiosità che vada oltre le forme rituali, dolorosamente gioiosa e pacatamente egualitaria. Al riguardo, spiccano opere come La famiglia, con il senso del Padre, della Madre e del Figlio germogliati in un ovale di legno ad esprimere unità ed amore, o la Crocifissione, con il Cristo che è Uomo tra gli uomini e Dio per l’intera umanità, vista in un cammino di riscatto dal dolore attraverso la fraternità ed il senso di uguaglianza (con volti non belli, perché davanti a Dio non ci sono i belli ed i brutti).

Molti di questi artisti torneranno in scena tra un mese circa, in occasione della prima edizione del Concorso Arte e Cultura, sempre organizzato dall’Accademia, che quest’anno per la prima volta si svolgerà a Cava.

Insomma, non solo una vita nuova per l’Accademia, ma anche linfa nuova per la nostra Città. E senza tagli significativi al portafoglio, ma semplicemente uno scambio opportuno di disponibilità: della serie kennediana non chiedere solo quello che la collettività può fare per te, manche quello che tu puoi fare per la collettività …


Commenti non possibili