CAVA DE’ TIRRENI (SA). Storie di donne che hanno preferito il parto all’aborto in “Abbiamo detto sì” di Angela Pappalardo

Premetto, per correttezza, che appartengo non al mondo di quelli che ritengono la legge 194 sull’interruzione di gravidanza una catastrofe sociale e un’istigazione al delitto, ma a quelli che la ritengono una conquista di civiltà per uno stato laico. Tuttavia con altrettanta chiarezza premetto che apprezzo comunque l’azione di coloro che, senza fare crociate, si avvicinano alle donne in predicato di aborto per convincerle a non farlo ed eventualmente anche per offrire un sostegno materiale per la gestione del parto. Le apprezzo per due motivi di fondo: perché sono comunque coerenti con l’interpretazione cattolica dell’inizio-vita già al momento della fecondazione e perché, contrariamente allo stereotipo mentale diffuso, l’aborto è quasi sempre un trauma anche per chi sceglie di farlo. Non a caso uno dei primi slogan delle donne al tempo della battaglia per la legge era: “Noi non vogliamo abortire, ma vogliamo l’aborto”. Un conto è la scelta individuale, che è scientifica ed etica, un conto il diritto alla maternità consapevole e accettata.

Questo lungo mio preambolo mi sembrava necessario per sottolineare con piacere l’uscita del libro Abbiamo detto sì (Edizioni Punto Famiglia), curato da Angela Pappalardo, già operatrice sociale del Comune di Cava de’ Tirreni, esperta di Bioetica (di cui è docente all’Università della Terza Età) e da molti anni attivista del Movimento per la Vita.

Il libro, che tra l’altro contiene una prefazione di Marina Casini, Presidente nazionale del Movimento per la Vita, e la postfazione di Mons. Orazio Soricelli, Arcivescovo di Cava e Amalfi, è una raccolta di storie vere di donne che, alle soglie dell’interruzione di una gravidanza non voluta, un po’ per la tormentata inquietudine che l’accompagna e un po’ per l’azione di persuasione della Pappalardo stessa oppure di altre compagne del Movimento, un po’ per la spinta morale e i complessi di colpa suscitati dalla fede cattolica, hanno privilegiato la maternità e sono state gratificate dagli esiti della loro scelta. 

E così con lei impariamo a conoscere tante donne e con loro i figli germogliati dalla scelta. Federica, due volte recuperata alla gravidanza e poi per fortuna anche all’agiatezza economica … , Caterina, cattolica e col convivente ebreo …, Tatiana, che col Progetto Gemma viene aiutata sia a far nascere e sostenere non solo il figlio in gestazione ma anche i figli rimasti in Ucraina …, Filomena, che deve sostenere anche l’opposizione capricciosa della figlia contro il nascituro e alla fine viene sostenuta da una squadra di volontari e da un sogno con Padre Pio … , Maria, che grazie all’offerta di un alloggio accetta di partorire e poi avrà anche altri cinque figli …, Luca, figlio di Lucia, recuperato alla vita “per una ciocca di capelli” e poi felicemente riconosciuto da grande … e così via.

Queste storie sono raccontate con pacata ma intensa partecipazione di emozione e di fede da Angela Pappalardo, che, a suo dire, le ripropone per creare un argine alla corrente abortista maggioritaria, proponendo situazioni compensative rispetto ai buchi e alle offerte della legge 194, e anche presentando dei paradigmi positivi. Infatti ricorda che esistono organizzazioni pronte a dare una mano alle ragazze in bilico (Le difficoltà non si risolvono eliminando la vita, ma eliminando le difficoltà: è il motto del Movimento), sollecita le persone di buona volontà a diventare volontari per la vita, e, nel parlare di storie vere, evidenzia il calore che nasce dal sorriso anche di una sola vita salvata.

D’altro canto, Mons. Soricelli nella sua postfazione, oltre ad incoraggiare l’opera di Angela e del Movimento, richiama una figura carismatica come Madre Teresa di Calcutta, che nel discorso per il ricevimento del Nobel lasciò uno spazio importante per la condanna dell’interruzione di gravidanza, scelta equiparata da lei ad un omicidio.

Nell’insieme, questo è un libro che, per la sua decisa scelta di campo, potrebbe non essere amato da tutti, eppure è interessante e costruttivo, pienamente organico all’etica e alla bioetica cattolica e altrettanto pienamente dialettico rispetto alle altre visioni del mondo che e della scienza che circolano in questo campo. Oltre ad accoglierlo con piacere, salutiamo con altrettanto piacere il ritorno alla scrittura di Angela Pappalardo, che dopo esordi interessanti seguiti da anni di silenzio, ha ripreso in mano penna e tasti. E in pochi mesi ha già vinto il Concorso “Maria SS. Dell’Olmo” e pubblicato le sue storie, che guardano ben oltre i confini della nostra Città. Anche questa è una scelta di Vita …


Egregio signor Direttore della rivista Vivimedia,

sono Angela Pappalardo, esperta di Bioetica , responsabile di un “Centro di aiuto alla vita” , autrice del libro “Abbiamo detto sì”, che sulla Vostra rivista è stato recensito il 3 aprile 2019 dal vostro Redattore Franco Bruno Vitolo.

Le scrivo per chiederle di inserire sulla Sua rivista una precisazione relativa proprio a quell’articolo.

In esso, infatti, la presentazione ed il commento del libro sono stati preceduti da un preambolo in cui, per correttezza intellettuale, il giornalista manifesta il suo parere personale riguardante la legge 194 (che non gli sembra catastrofica come invece appare agli antiabortisti) e le politiche relative all’interruzione della gravidanza, che gli sembrano comunque un’opportuna protezione della donna, fermo restando che l’aborto non può e non deve essere inteso come un meccanismo di contraccezione, tanto è vero, afferma Vitolo, che le stesse femministe dicevano di volere l’aborto, anche se non volevano abortire.

Egli lo presenta come un necessario preambolo prima di presentare il libro, che ovviamente è di tutt’altro tenore, il che non dispiace allo stesso Vitolo, che apprezza comunque l’impegno sociale ed umano in esso sotteso, anche se non ne condivide la tesi di fondo.

Purtroppo, la veste grafica con cui l’articolo è stato impaginato (il preambolo in corsivo, introdotto da due virgolette, sotto la mia fotografia) ha generato un imbarazzante equivoco, in seguito al quale sembra che il pensiero del giornalista sia il mio, essendo invece la mia concezione della legge 194, e dei suoi effetti a livello individuale, sociale e culturale, completamente diversa, e quindi di tenore alquanto negativo.

Io non metto minimamente in discussione la buona fede del giornalista e della rivista. Le chiedo però di pubblicare questa mia precisazione, o allegata all’articolo ripubblicato, oppure come semplice lettera personale, in modo da ristabilire il giusto equilibrio per me e per il mio rapporto con gli interlocutori e soprattutto con le interlocutrici.

Sono sicura che Lei capirà pienamente la mia esigenza e mi auguro che possa procedere al più presto alla soddisfazione della mia richiesta.

In attesa di un riscontro, cordialmente la saluto e La ringrazio per l’attenzione mostrata nei miei confronti.

Cava de’ Tirreni, 6 luglio 2020        Angela Pappalardo


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