CAVA DE’ TIRRENI (SA). I mostri del vuoto accanto, di Anna Di Vito: un viaggio nei nostri inferni

Sarà presentato in Comune venerdì 3 gennaio.


Nell’ambito delle iniziative in programma a Cava de’ Tirreni per le festività natalizie e di fine anno, spicca un interessante incontro con il viaggio nell’inferno reale proposto dal libro I mostri del vuoto accanto – Storie di ordinarie follie” di Ripley Free, pseudonimo di Anna Di Vito, giovane scrittrice “nostrana” emergente, che già qualche tempo fa si era fatta notare per gli spiazzanti racconti delle sue “Cronache psichedeliche.”

Alla presentazione del volume, il 3 gennaio p.v., nella Sala di rappresentanza del Palazzo di Città, interverranno il Sindaco Vincenzo Servalli, il Vicesindaco e Assessore alla Cultura Armando Lamberti, il prefatore del libro e già Sindaco di Cava de’ Tirreni Luigi Gravagnuolo, Anna Cristina Pentone, Dirigente Scolastica, Tonino Scala, scrittore, l’autrice Anna Di Vito, lo scrivente Franco Bruno Vitolo, insegnante in pensione e giornalista per passione, che farà anche da conduttore.

L’opera, vivificata da una scrittura chiara e diretta e coinvolgente, con un titolo che “buca la pagina”, significativamente introdotta in copertina da una “tsunamica” immagine del visionario Jeronimus Bosch, è composta da tre racconti, il cui titolo è già tutto un programma: I mostri del vuoto accanto, La spartizione dell’ingiustizia, I feti di Ratonta. Ognuno di questi racconti, introdotto da illuminanti versetti dell’autrice stessa, è concluso da note di postprefatori di qualità (Annalisa Montalbano, Tonino Scala, Paolo Gradi). Alla fine, troviamo delle piccole ed emozionate Novelle di Appendice, in cui alcuni personaggi dei tre racconti, segnatamente vittime delle vicende narrate, si presentano in prima persona, in un’originale evocazione della celeberrima “Antologia di Spoon River”, di Edgar Lee masters.

Non è l’unico richiamo a stelle polari della cultura e dello spettacolo. Il nome d’arte stesso, Ripley, richiama, per dichiarazione dell’autrice, la coraggiosa e protagonista della serie Alien; e, aggiungiamo noi, Il talento di Mr. Ripley, famoso film di Anthony Minghella, in cui il Ripley in questione è attore di uno stravolgente sdoppiamento, come succede ad alcuni personaggi dei racconti, segnatamente alla protagonista del primo, eponimo del libro, cioè Elisabetta Nuoro, trasformata in un’ “altra se stessa”.

Hanno i denti aguzzi, i tre racconti, per quanto mordono l’attualità più drammatica e scarnificano a sangue alcune zone buie dell’animo umano portate alla luce soprattutto dall’inferno sociale e personale.

La violenza familiare sulla donna, la svangante avventura dei barconi, i muri sociali e politici di fronte all’inserimento dei migranti (con evidenti riferimenti alla “persecuzione” subita dal Sindaco di Riace), l’inquinamento devastante in una immaginaria Ratonta di un futuro da fine del mondo, con chiara evocazione della Taranto di oggi), queste le principali tematiche legate al nostro mondo di oggi. Al nostro mondo di sempre è legato lo scavo sulla violenza, in parte minore connaturata al genere umano e alla sua storia, in massima parte generata dalle violenze e dalle ingiustizie subite, una violenza che può scatenarsi contro terzi, come in Elisabetta nel primo racconto, o contro se stessi, come l’autodistruttiva tossicodipendente Alexia, corpo senz’anima vittima di una società malata e indifferente, oltre che di genitori sbagliati.

Già per questo, oltre che per la sua scrittura chiara e diretta, il libro può catturare e stimolare l’attenzione del lettore. L’elemento più accattivante rimane la visione globale sul mondo di oggi e le stravolgenti e a volte divergenti emozioni che esso può suscitare.

È un libro pieno di mostri, innati e indotti, pieno di speranze svuotate, ma non vuoto di speranze. C’è il mostro maschilista, anaffettivo, “con la scimmia sulla schiena”, che uccide l’amore possibile e genera nella sua donna un nuovo mostro per evitare che l’orco divori il suo cuore. C’è il mostro della politica razzista ed emarginante che colpisce anche il bisogno elementare dello straniero, nonostante egli sussurri “Non voglio toglierti nulla di tuo, non togliermi nulla di mio”. C’è il mostro dei bambini schiacciati, poveri cristi di seconda mano sbattuti nel labirinto degli inesistenti, in un mondo di vittime più o meno innocenti e bagnato dalle lacrime della storia. C’è il mostro della Taranto 2050 presidiata dall’Esercito e dalla Marina in attesa di essere evacuata per eccesso di inquinamento.

Ma ci sono anche bambini che sopravvivono o aiutano a sopravvivere, ci sono servizi sociali accoglienti, giornalisti intellettualmente onesti (una di queste si chiama Anna De Vitiis, guarda un po’…), ci sono geniali ideatori di rigenerazioni genetiche, embrioni purificabili di un futuro dopo il diluvio…

Nella visione pessimistica dell’autrice e utilizzando la bellissima metafora di Luigi Gravagnuolo nella sua prefazione, il male è connaturato all’uomo e alla società come i fili in un arazzo.

Ma c’è un varco “dantesco”… Nel cammino tripartito del libro, se il primo racconto, a nostro parere il più bello e originale, fa precipitare il lettore in un inferno disperato, il secondo apre delle prospettive purgatoriali proprio attraverso l’individuazione di frammenti di società meno contaminati, il terzo biforca in due il Paradiso: quello dove si va dopo la morte e quello che si può conquistare da vivi dopo un adeguato cammino di purificazione dal male. Sarà anche genetica, ma capace di liberare la luce che comunque è nell’uomo.

Non è un ordine casuale. Perciò, se ci togliamo la scimmia dalla schiena, se seguiamo dal profondo il filo rosso della sua ricerca d’amore e di un “paese innocente”, nonostante il suo “sapore tossico”, questo libro in fondo spinge a reagire, ad andare avanti.

Del resto, l’autrice stessa ci tiene a chiamarsi “Free”, cioè libera. Lei stessa ci dice che va avanti chi mentre crea il futuro già lo vive…

E allora si può… Allora, conoscendo i bubboni da combattere, dove sta scritto che il futuro debba essere per forza la fine del mondo?


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