Coronavirus. La voce dei poeti: Fabio Dainotti

Non è più Italia”

Non è più Italia”,

esclama Nadia, la cameriera ucraina alla finestra,

è come da noi, quando la neve è alta

e la gente non esce di casa”.

Fabio Dainotti  (inedito)

Un flash, come una foto dell’anima. Pochi versi ma fortemente suggestivi. Solo un poeta come Fabio Dainotti, uomo riservato e “di poche parole”, ma poeta noto e gratificato da premi e riconoscimenti, poteva regalarci questa istantanea che ben fotografa questi giorni che affliggono mortalmente l’uomo senza distinzione di aree geografiche o latitudini. Pochi versi, dicevo, ma che nascondono un ordito ritmico ben avvertibile: il secondo lungo verso impone al lettore la “durezza” di quanto si esclama, durezza data dall’uso ripetuto della sillaba ” r” + la vocale forte “a” :cameriera ucraina finestra contrapposta alla dolcezza degli ultimi versi nell’iterazione dell’uso della “e” (neve/ gente /esce) nonché assonanze al mezzo e in fine (alta/casa).

L’uomo nel suo essere animale, si scopre fragile fragile e in pochi istanti vede svanire la sua superiorità di genere, tutta la sua forza, quasi una sua presunta imbattibilità. Fragile fragile in balia di un nemico piccolo piccolo, tanto da non poter essere visto neppure a occhi nudi. Dainotti ci regala un frammento da veloce battuta teatrale (la mente corre al mai dimenticato Achille Campanile). Non sappiamo molto della “voce narrante” solo che trattasi di una donna: “Nadia, la cameriera ucraina” e sappiamo di altri due protagonisti: l’Italia e la neve. Sembra vederla la donna ucraina affacciarsi alla finestra di una qualsiasi città o paese italiano (oppure a una finestra mediatica) e sgomenta, ritrovare davanti ai suoi occhi il deserto in un silenzio innaturale che incombe con voce d’assordante terrore ” Non è più Italia”. Non è più “quell’Italia” che lei ha imparato a conoscere e amare, quell’Italia fatta di suoni, colori, profumi, quell’Italia che pullula di gente, di giovani rumorosi a volte, ma che sprizzano energia, vitalità, gioia di vivere. E’ come neve, questo virus, che tiene lontano gli uomini e le bestie. Come quella neve alta, inesorabile che nella lontana ucraina, tiene per mesi la gente chiusa in casa, proprio come noi in questi lunghi interminabili giorni di quarantena volontaria e doverosa per decreto governativo. E’ l’Italia, oggi, sommersa dalla “neve”. E’ l’ Italia a soffrire. Originale descrizione icastica: un elemento naturale come la neve a dar forma all’invisibile Covid-19 (naturale anch’esso o partorito dalla mente dell’uomo che più che a costruire, si adopera ad abbattere, a uccidere? ). Ma la neve sa essere gioiosa, incantevole nel suo “apparire”, sembrare un bianco regalo del cielo o forse degli angeli che si spogliano del loro candore, porta silenzio indescrivibile e incantevole luce nelle notti lunari, ma è passeggera, dopo poco “si dilegua” o ostinatamente permane per offrire di sé un altro aspetto: poltiglia grigia divenuta fango e melma. Che sia nella neve il senso vero del misterioso vivere?

Fabio Dainotti, nato a Pavia nel 1948, vive a Cava de’ Tirreni, poeta e critico letterario. Ex docente d’italiano e latino nei licei è presidente onorario della Lectura Dantis Metelliana e condirettore dell’annuario di poesia e teoria “Il pensiero poetante”. Dalle sue pubblicazioni, citiamo: L’araldo nello specchio, prefazione di Francesco D’Episcopo, Avagliano, 1996; La Ringhiera con nota di Vincenzo Guarracino, Book Editore, 1998; Sera, con un disegno di Salvatore Carbone, Pulcinoelefante, 1999; Ragazza Carla Cassiera a Milano con disegni di Valerio Gaeti, Signum, 2001; Selected poems, Gradiva, 2015; Lamento per Gina e altre poesie, prefazione di Sandro Gros-Pietro, Genesi Editrice, 2015. Ha collaborato e collabora a quotidiani e riviste culturali.


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