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Coronavirus. La Voce dei Poeti: Paolo Ruffilli

Questa mini antologia che raccoglie poesie inedite scritte sul Coronavirus, ospita questa volta una lirica del poeta Paolo Ruffilli.

Quarantena

In quarantena

non ha più misura,

il tempo, è sconfinato

e solo si riflette

il suo tracciato,

in ogni modo

qualunque sia mai stato, 

sugli specchi di

ore e giorni 

come ciò che cambia

mentre dura e ha 

in sé la fine e

il suo principio

contro la parete 

nel giro in cui si

mette e che ripete.

Paolo Ruffilli (inedito)

Quarantena”: dettagliata, originale “panoramica d’interno” come specchio dello stato d’animo di chi vive in quarantena o serrato nell’assordante silenzio delle nostre case in questi terribili dolorosi giorni. Rufflli non è certamente nuovo all’indagine sull’uomo attraverso una poetica originale “lettura” delle cose che ci circondano, come testimonia anche il suo ultimo libro di liriche: Le cose del mondo, edito dalla Mondadori a gennaio di quest’anno. Una lirica perfettamente modulata dove l’enjambement dà il tempo al respiro, alla riflessione rapida e allo stesso penetrante, dalla forza quasi subliminale. Versi apparentemente liberi, ma dalla costruzione metrica cadenzata attraverso le rime qua e là con discrezione disseminate (sconfinato/ tracciato/ stato), qualche rima al mezzo (solo/modo) per un ritmo che dapprima quasi mozzato riprende poi, vigorosamente, al verso successivo per poi essere ancora negato, così fino alla fine per una definitiva semantizazione del contenuto di cui Ruffilli è maestro. Al centro, il Tempo da sempre nemico o amico, veloce o lentissimo nel dettare il ritmo del nostro vivere quotidiano, ora non è più quantificabile. Presuntuoso l’uomo che ha sempre creduto di essere il padrone del tempo, di gestirlo a suo piacimento; in questi giorni di pandemia il tempo si mostra in una nuova veste, “non ha più misura”. Eccolo che dagli specchi si riflette e ci riflette e ci controlla e dirige le ore e i giorni, ”sugli specchi di ore e giorni “ e sa essere principio e fine “e ha /in sé la fine e/il suo principio”. E’ lì il tempo tangibile “contro la parete” di una stanza che da giorni ci accoglie, ci difende, ma allo stesso tempo, ci serra prigionieri; e lì pronto a ricominciare ancora, un giorno dopo un altro, “nel giro in cui si /mette e che ripete”, pronto nella sua monotona conta incurante del serrato suo ospite che non sa quanto questa ”prigionia” possa aver fine.

Paolo Ruffilli (Rieti, 1949) è poeta, scrittore, saggista, traduttore. Tra i suoi testi di poesia citiamo: La Quercia delle gazze (Forum, 1972); Piccola colazione (Garzanti, 1987); Camera oscura (Garzanti, 1992); Le stanze del cielo, Marsilio, 2008); Affari di cuore (Einaudi, 2011) Variazioni sul tema (Aragno, 2014). Le cose del mondo, Lo Specchio Mondadori, 2020. Tra romanzi e saggi: Vita di Ippolito Nievo (Camunia, 1991) Vita, amori e meraviglie del signor Carlo Goldoni (Camunia, 1993); Preparativi per la partenza (Marsilio, 2003); L’isola e il sogno (Fazi, 2011). Ha tradotto, tra le altre, opere di Gibran; Tagore; Shakespeare; Milton; Mandel’štam; Kavafis, Vincitore d’importanti premi nazionali e internazionali, i suoi libri sono stati tradotti in molte lingue.

Coronavirus. La voce dei poeti: Fabio Dainotti

Non è più Italia”

Non è più Italia”,

esclama Nadia, la cameriera ucraina alla finestra,

è come da noi, quando la neve è alta

e la gente non esce di casa”.

Fabio Dainotti  (inedito)

Un flash, come una foto dell’anima. Pochi versi ma fortemente suggestivi. Solo un poeta come Fabio Dainotti, uomo riservato e “di poche parole”, ma poeta noto e gratificato da premi e riconoscimenti, poteva regalarci questa istantanea che ben fotografa questi giorni che affliggono mortalmente l’uomo senza distinzione di aree geografiche o latitudini. Pochi versi, dicevo, ma che nascondono un ordito ritmico ben avvertibile: il secondo lungo verso impone al lettore la “durezza” di quanto si esclama, durezza data dall’uso ripetuto della sillaba ” r” + la vocale forte “a” :cameriera ucraina finestra contrapposta alla dolcezza degli ultimi versi nell’iterazione dell’uso della “e” (neve/ gente /esce) nonché assonanze al mezzo e in fine (alta/casa).

L’uomo nel suo essere animale, si scopre fragile fragile e in pochi istanti vede svanire la sua superiorità di genere, tutta la sua forza, quasi una sua presunta imbattibilità. Fragile fragile in balia di un nemico piccolo piccolo, tanto da non poter essere visto neppure a occhi nudi. Dainotti ci regala un frammento da veloce battuta teatrale (la mente corre al mai dimenticato Achille Campanile). Non sappiamo molto della “voce narrante” solo che trattasi di una donna: “Nadia, la cameriera ucraina” e sappiamo di altri due protagonisti: l’Italia e la neve. Sembra vederla la donna ucraina affacciarsi alla finestra di una qualsiasi città o paese italiano (oppure a una finestra mediatica) e sgomenta, ritrovare davanti ai suoi occhi il deserto in un silenzio innaturale che incombe con voce d’assordante terrore ” Non è più Italia”. Non è più “quell’Italia” che lei ha imparato a conoscere e amare, quell’Italia fatta di suoni, colori, profumi, quell’Italia che pullula di gente, di giovani rumorosi a volte, ma che sprizzano energia, vitalità, gioia di vivere. E’ come neve, questo virus, che tiene lontano gli uomini e le bestie. Come quella neve alta, inesorabile che nella lontana ucraina, tiene per mesi la gente chiusa in casa, proprio come noi in questi lunghi interminabili giorni di quarantena volontaria e doverosa per decreto governativo. E’ l’Italia, oggi, sommersa dalla “neve”. E’ l’ Italia a soffrire. Originale descrizione icastica: un elemento naturale come la neve a dar forma all’invisibile Covid-19 (naturale anch’esso o partorito dalla mente dell’uomo che più che a costruire, si adopera ad abbattere, a uccidere? ). Ma la neve sa essere gioiosa, incantevole nel suo “apparire”, sembrare un bianco regalo del cielo o forse degli angeli che si spogliano del loro candore, porta silenzio indescrivibile e incantevole luce nelle notti lunari, ma è passeggera, dopo poco “si dilegua” o ostinatamente permane per offrire di sé un altro aspetto: poltiglia grigia divenuta fango e melma. Che sia nella neve il senso vero del misterioso vivere?

Fabio Dainotti, nato a Pavia nel 1948, vive a Cava de’ Tirreni, poeta e critico letterario. Ex docente d’italiano e latino nei licei è presidente onorario della Lectura Dantis Metelliana e condirettore dell’annuario di poesia e teoria “Il pensiero poetante”. Dalle sue pubblicazioni, citiamo: L’araldo nello specchio, prefazione di Francesco D’Episcopo, Avagliano, 1996; La Ringhiera con nota di Vincenzo Guarracino, Book Editore, 1998; Sera, con un disegno di Salvatore Carbone, Pulcinoelefante, 1999; Ragazza Carla Cassiera a Milano con disegni di Valerio Gaeti, Signum, 2001; Selected poems, Gradiva, 2015; Lamento per Gina e altre poesie, prefazione di Sandro Gros-Pietro, Genesi Editrice, 2015. Ha collaborato e collabora a quotidiani e riviste culturali.

In porto la XIII edizione del Concorso “Maria SS. Dell’Olmo”, targata Solidarietà

CAVA DE’ TIRRENI (SA). È stata caratterizzata da una fusione calda di tradizione, di novità e di batticuore della memoria, la XIII edizione del Concorso Nazionale di Poesia e Prosa Mariana “Maria SS. Dell’Olmo”, indetto dal Convento dei Padri Filippini della Basilica dell’Olmo di Cava de’ Tirreni, la cui premiazione si è svolta domenica 3 settembre all’interno della Chiesa.

La tradizione è nel radicamento stesso del Concorso, ancora una volta arricchito da opere di qualità provenienti da varie parti d’Italia, non solo dalla Campania. Non a caso, dei sette premi del podio (tre per la Sezione “Prosa” e quattro per la Sezione “Poesia”) uno è andato alla calabrese Stefania Serpe e ben quattro hanno varcato lo Stretto. E tra i tre segnalati c’è Elio Marini, di Fondi (Latina), che tra l’altro fu a suo tempo il vincitore della seconda edizione. È un radicamento extraregionale che nasce innanzitutto dall’argomento mariano (che conserva per i credenti un fascino incrollabile e quest’anno, legato al tema Maria Madre dell’Ascolto, aveva un ulteriore e attuale appeal), ma ha un suo logico fondamento anche nell’azione dinamica del Parroco Padre Giuseppe Ragalmuto e nella scia luminosa che oltre vent’anni fa lasciarono in Sicilia i cari e compianti Padre Silvio Albano e Padre Raffaele Spiezie, prima di essere trasferiti alla Basilica dell’Olmo di Cava.

Le novità sono state varie e succose. Per la prima volta il primo premio nella Sezione Poesia è stato assegnato, sia pur ex aequo, ad un testo in vernacolo, Tu me siente, del vietrese Alessandro Bruno, un brillante e pimpante talento emergente, che per di più con i suoi trent’anni è il più giovane vincitore di sempre ed è il primo maschio “medaglia d’oro” dopo undici edizioni. La sua poesia è una appassionata e sommessa preghiera, un dialogo interiore col divino che crea un suggestivo ponte con l’umano, sia nel ricordare le sofferenze infinite che Maria come donna e come madre dovette affrontare, sia nel proporre Maria come modello di altruismo e di ascolto nonostante i suoi dolori, in alternativa alla terrena concentrazione intorno al nostro ombelico che ci avvolge quando abbiamo un cruccio forte che ci tormenta.

L’altra vincitrice ex aequo è la siciliana Palma Civello, una campionessa ormai abbonata alle palme mariane, tra cui la vittoria nelle ultime quattro edizioni del Premio. Ha prevalso con la lirica Ascoltando sussurri d’amore, un’invocazione a tinte calde ricca di fede tenera e intensa e nello stesso tempo di un occhio evangelico a protezione dei dannati della terra. La Civello non si è fermata alla poesia, ma ha anche vinto, da sola, il primo premio nella Sezione “Prosa”, proponendo il racconto Un diverso ascolto, storia di un sacerdote in depressione per il montare di una pesante sordità fisica, che ritroverà energia d’amore nell’opera di accoglienza e assistenza ai migranti, in un incontro che non ha bisogno di parole, ma di sguardi solidali e mani tese di fratellanza.

In questa sezione “Prosa”, en plein dei siciliani. Seconda, Maria Rita Campobello, new entry lo scorso anno e confermatasi alla grande con Shemà Israel, un intenso e appassionato viaggio nel cuore di Maria al momento della scelta di maternità. Terzo, con Perché dire di no? (un vivace parallelo tra la scelta genitoria di una coppia e quella di Maria) Toti Palazzolo, palermitano di residenza, cavese di adozione per l’amicizia a suo tempo con Padre Silvio e Padre Raffele in Sicilia e ora con la Basilica dell’Olmo a tempo pieno, qui in loco o semplicemente nel cuore.

Nuove entrate nella Sezione “Poesia” anche la seconda e la terza classificata, la calabrese Stefania Serpe (con Ecco tua madre, un ricamo poetico sulla maternità universale di Maria e sulla delicatezza della sua anima “cosmica”,) e la nocerese Carla D’Alessandro (con Maria madre dell’ascolto, una lirica meditazione poetico sulla sacrale presenza di Maria nel cuore dei fedeli). Segnalati, oltre al già citato Elio Marini (con “Ascoltaci madre, non ci abbandonare!, per un titolo che è tutto un programma…), Lucia Plateroti di Casoria (con una preghiera-ballata, Maria Madre dell’Ascolto, un cui verso, Maria madre del Sorriso, sarà utilizzato come tema del concorso il prossimo anno), Stefania Siani (emergente talento cittadino, che nel suo anno di debutto sta ottenendo successi al galoppo e che con L’ultimo vestito ha tracciato un intrigante e “conflittuale” ritratto di sua madre), Giuseppe Siani, già vincitore della prima edizione del Concorso, che con “Il viaggio” ha dipinto le vibrazioni dell’anima sospesa tra i ricordi della vita e l’attesa dell’eterno.

La consegna del Premio Silvio Albano, dedicato a testimoni attivi del Vangelo e dedicato all’indimenticabile sacerdote che tanto segno ha lasciato nella vita della Basilica, è stata l’occasione anche per commemorare la figura di Padre Raffaele Spiezie, scomparso improvvisamente quasi un anno fa, dopo anni di presenza forte e paterna all’interno della comunità filippina. Un suo ricordo, incisivo e pregnante come nello stile dell’autrice Lucia Avigliano, è stato pubblicato sull’opuscolo riepilogativo del Concorso.

Il Premio Silvio Albano quest’anno per la prima volta è stato assegnato non a singole persone, ma a due associazioni, Pietre vive e Eugenio Rossetto, di marchio “cappuccino” la prima, di origina laica la seconda, accomunate oramai da quasi vent’anni da un’azione concreta di fraternità e solidarietà a difesa degli ultimi e dei bisognosi, che ancora una volta dimostra come i valori legati alla dignità dell’uomo siano sempre portatori di ponti capaci di trapassare ogni muro. Pietre vive, diretta da Rita Cardone e fondata a suo tempo con Padre Giuseppe Celli, dopo un’azione pionieristica in Africa dell’Architetto Carmine Timpone, rivolge la sua opera, oltre che sul territorio metelliano e dintorni, anche e soprattutto in una provincia del Congo a sostegno dell’azione missionaria della Comunità cappuccina e di Padre Giuseppe Caso, costante “ponte” di riferimento nel corso dell’anno. L’Associazione Eugenio Rossetto è da sempre attenta ai problemi degli stranieri sul territorio ed all’accoglienza dei migranti, per iniziativa del Presidente Ferdinando Castaldo D’Ursi e di un gruppo di famiglie, ha cominciato la sua opera circa vent’anni fa promuovendo l’ospitalità di profughi, soprattutto bambini, provenienti dai campi profughi della Croazia in guerra. Insieme, le due associazioni stanno partecipando, sotto la guida della comunità cappuccina, ad una cordata di sostegno all’accoglienza ed all’integrazione di una famiglia siriana, anch’essa profuga dalla guerra.

Alla fine della premiazione, abbraccio generale con i giurati-lettori di VersoCava presenti o assenti (Maria Alfonsina Accarino, Lucia Antico, Lucia Criscuolo, Maria Teresa Kindjarsky D’Amato, Emanuele Occhipinti, Rosanna e Teresa Rotolo, Anna Maria Violante e lo scrivente Franco Bruno Vitolo, che ha fatto anche da conduttore). Quindi, tutti uniti prima intorno alle classiche foto ricordo, e poi accanto a un succulento buffet.

A detta di tutti i presenti, è stata una serata “bella dentro”, baciata dall’amore, dall’amicizia e dalla solidarietà. Una serata ricca di quel sorriso del cuore al quale sarà dedicata la prossima edizione. Attendiamolo allora con un sorriso, quel sorriso del 2018. Con l’augurio naturalmente che per i turbolenti accadimenti della vita ci sia tanto da sorridere e poco da piangere …

Successo per la quinta edizione del Concorso “Sant’Alfonso”, conclusa con una bella serata di premiazione e la pubblicazione di un opuscolo

Un gruppo di organizzatori e concorrenti  dopo la premiazione

Un gruppo di organizzatori e concorrenti dopo la premiazione

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Cinque anni e centinaia di poesie, racconti, saggi originali provenienti da tutta Italia. Il Concorso di poesia e prosa religiosa indetto dalla Parrocchia di Sant’Alfonso di Cava de’ Tirreni, dinamica e fiorente sotto la guida di don Gioacchino Lanzillo, ha felicemente “battuto il cinque” con un’edizione ricca di lavori di buon qualità culturale e di tematiche stimolanti, come il cammino per vivere la fede anche nella vita quotidiana o l’ascolto del cuore e dei silenzi interiori o la vicinanza al divino attraverso la solidarietà umana.

Questo traguardo è stato consacrato con la pubblicazione di un elegante opuscolo, curato da Emanuele Occhipinti, segretario fondatore – poeta e scrittore (oltre che scultore di simpatici legnetti-premio) econtenente le opere premiate e gran parte delle segnalate al merito in tutto l’arco del quinquennio.

L’organizzazione del Concorso ha brindato al successo nazionale ed al radicamento nel territorio il 23 maggio, con una bella serata di gala ed una manifestazione “a caminetto letterario”, in cui gli autori, oltre ad essere premiati, hanno avuto anche la possibilità di farsi conoscere e di aprire il cuore e le porte dell’anima. C’è stata anche una premiazione, è vero, ci sono stati applausi particolari per il vincitore dello scorso anno, Giuseppe Capone, un asso delle quartine in vernacolo, e per la vincitrice di quest’anno, la savonese Rita Muscardin, già al suo secondo successo ed al terzo podio, ma possiamo dire tranquillamente che hanno vinto tutti, perché ognuno ha condiviso un pezzo di anima e di fede o sulla pagina oppure nella sala, aprendo fecondi ponti del cuore.

Anche per questo riteniamo cosa buona e giusta elencare tutti i protagonisti ed i segnalati di quest’anno, giudicati come sempre dalla giuria dell’Associazione VersoCava, composta da Maria Alfonsina Accarino, Lucia Antico, Lucia Criscuolo, Maria Teresa Kindjarsky D’Amato, Rosanna e Teresa Rotolo, Anna Maria Violante, e presieduta da Franco Bruno Vitolo, che ha anche condotto la manifestazione finale

Sul podio, nell’ordine: Rita Muscardin (Savona), prima classificata con Scrivimi che stai bene, tenera e delicata fiaba d’amore nata dal dolore per la perdita di un bambino al settimo mese di gravidanza; Alberto Cerbone (Casoria – Na), con Il silenzio, uno stimolante saggio sulla necessità di saper ascoltare il silenzio per poter vedere meglio e volare “oltre”; Tiziana Monari (Prato), con La collina delle croci, un’addolorata poesia di riflessione sulle croci del mondo e della storia, segno e fonte di sofferenza ma anche potenziale opportunità di redenzione.

Segnalazioni speciali sono state assegnate a: Antonio Armenante (Cava de’ Tirreni), Vincenzo cantalupo (Bellizzi – Sa), Vincenzo Cerasuolo (Marigliano – Na), Eduardo de Biase (Secondigliano – Na), Rosario La greca (Brolo – Messina), Patrizia Macchia( Savona), Paolo Marino (Salerno), Pina Mascolo (Napoli), Antonietta Memoli (Cava de’ Tirreni), Verardo Moscariello (Salerno), Giovanna Renga (Santa maria Capua Vetere), Valentina Sanmartino (San Giuseppe di Cairo – Savona), Mario Senatore (Salerno), Angelov Svilen (Savona).

Segnalazioni semplici a Alfonso Apicella, Dolores Barbalinardo, Claudio Beccalossi, Rita Cappellucci, Manuela Capri, Raffaele Cerasuolo, Pasquale Cusano, Carla D’Alessandro, Lucia Della Rocca, Antonio Di Riso, Bruno Fiumara, Anna Maria Forte, Antonella Ingenito, Michele Lombardi, Gilda Mele, Irene Memoli, Giovanni Migliorisi, Franco Nappo, Elia Nese, Ennio Orgiti, Alfonso Penza, Giovanna Piraino, Giuseppe Siani, Emilia Stavolone, Barbara Tesauro, Elvira Verzellesi, Giuseppe Zagami.

Poemetti per Negrura, ultimo libro in versi di Arnaldo Ederle

Poemetti per Negrura di Arnaldo Ederle

In un’epoca di messaggi dai caratteri limitati e limitanti, Arnaldo Ederle coraggiosamente, sfrontatamente- come solo dei poeti- ci regala con questo suo ultimo lavoro, ben dieci poemetti. Sembrerebbe una mossa ardita, ed è invece mossa vincente. Tema, la Bellezza. Un libro caldo, palpitante di vita, di sole, di armonia: scritto da un autore veronese con tocco, sorprendentemente, da uomo mediterraneo (in alcuni versi si ritrovano atmosfere Sinisgalliane). Si racconta una storia d’amore. Lei, di pelle scura, raccontata, spiata, accarezzata, ma soprattutto scoperta, -o forse chissà persa e poi ritrovata in antiche ancestrali culture onnipresenti- nel suo grido di giovane donna. Il lettore assiste a un rito, un rito che solo la parola, fattasi poesia, può intendere. E il poeta è lì come antico aedo a testimoniare, parte, egli stesso, del tutto: la donna alla fine finirà decapitata¸ma è un catartico rito, un sacrificio di salvezza. Il mondo non è degno della Bellezza, di Negrura-Bellezza. Poemetti questi da forza teogonica laddove l’uomo, il creato intero, partecipa all’evento del farsi, del divenire verso un mondo sognato, dove:

Le stelle buone vedono tutto, ma
non possono muoversi, sono
incastrate nel cielo, punti fermi,
guardano, ogni tanto qualche lacrima
di stella sfregia l’aria cadendo
sulla terra. Più di così le stelle
non fanno, non possono.

Arnaldo Ederle

Da “ Poemetti per Negrura” CFR Edizioni, Piateda (SO) 2013

 

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Solo alcuni versi, dal poemetto “Fabula”. Versi dal respiro lirico. Laddove un’armonia circolare, data dal costante e sapiente uso dell’inarcature (ma/non possono; sono/ incastrate; lacrima/ di stella; cadendo/sulla terra; le stelle/ non fanno) ci regala l’immagine- sonora e visiva- di una danza di stelle. Sono le “stelle buone”. Proprio nel raccontarsi della e nella loro immobilità: (non possono muoversi) si scoprono -esse, emblema del creato – artefici di un ritmo vitale per noi umani, distratti e terribilmente privi di Bellezza. 

Arnaldo Ederle è nato a Verona nel 1936, dove vive. Poeta, narratore, critico e traduttore, ha insegnato Fonologia delle lingue romanze presso l’Istituto di Glottologia dell’Università di Padova in Verona. Corposa la sua bibliografia. In poesia, tra l’altro, ha pubblicato: Le pietre pelose ben osservate (Ferrari, 1965); Partitura (Guanda, 1981), Il fiore d’Ofelia, introd. di G. Raboni (Società di Poesia-Bertani, Milano, 1984), Varianti di stagione prefaz. di S. Verdino, (Empiria, Roma 2005), Stravagante è il tempo (Empiriria Roma, 2009). Molti i riconoscimenti e i premi. E’ stato tradotto in spagnolo, inglese, olandese.