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Splendido itinerario d’ambiente a Santa Lucia, tra religione, cultura, storia, poesie, pane, vino, sorrisi e canzoni

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Religione, storia, cultura, tradizione, economia, paesaggio: Il secondo Itinerario d’Ambiente 2014-2015, del 9 novembre, obiettivo Santa Lucia e Sant’Anna, come sempre guidato dal Cai (con Lucia Avigliano a far da Guida ed il Presidente Ferdinando De Rosa) e dall’Azienda di Turismo e Soggiorno (col Commissario Carmine Salsano ed il Presidente Mario Galdi in testa) è stata una passeggiata in più mondi, uno più stimolante dell’altro.

Partenza, come da tradizione, dalla storica ed artistica chiesa di Santa Lucia, il cui primo nucleo è dell’XI secolo: non una novità per le frazioni di Cava, una delle pochissime città al mondo dove la periferia è più antica del centro, per cui è particolarmente ricca di perle e di testimonianze di un passato lontano eppure ancora tanto vicino.

Tra i policromi marmi dell’altare, la pala della Madonna del Rosario (XVI secolo, attribuita al fiammingo Mijtens), gli stucchi leggiadri sulle pareti e sulle arcate, l’antico pulpito di legno, lo spettacolare soffitto cassettonato con le vicende di vita della Santa e le decorazioni pittoriche di un pittore come Michele Ragolia, uno dei più prestigiosi del XVI secolo (autore tra l’altro dei magnifici dipinti della Basilica della Madonna dell’Olmo), senza contare le altre preziosità del tempio (statua di Santa Lucia in testa), gli itineranti hanno potuto riscoprire un piccolo grande tesoro d’arte. Tesoro che nello stesso tempo è testimone di una storia antica, quella di una collettività operosa e produttiva, che ha saputo ben sfruttare le opportunità del territorio e la felice collocazione in un punto nevralgico della Via Maggiore che collegava Nocera con Cava e Salerno.

Non dimentichiamo che qui, accanto ad una campagna rigogliosa e fertile, per secoli, fin dai primi anni del Secondo Millennio, si sono prodotte a mano corde “firmate”, validissime per l’attività artigianale ma anche per quella marittima, tanto è vero che sembra quasi certo che le caravelle di Cristoforo Colombo fossero consolidate dalle corde di Santa Lucia.

Ed è proprio intorno a queste due attività che si è incentrata la seconda parte dell’itinerario. Prima, la visita al Museo della Civiltà Contadina, frutto dell’azione benemerita di un gruppo di innamorati del loro paese come Ciro Mannara, Filippo Gigantino e Franco Lodato, con quest’ultimo a fare da guida sapiente ed anche da vate emozionato ed emozionante, attraverso la recitazione delle sue incisive poesie di vita contadina e luciana, o semplicemente di vita. Poi, breve passeggiata con vista sul futuro, alias la struttura nascente e polivalente che conterrà il Museo, e non solo. Infine, le dimostrazioni dal vivo della produzione manuale della corda, non ancora del tutto soppiantata da quella industriale, infine, la passeggiata tra le stradine del Borgo e della campagna (infiorate da ceramiche con poesie dell’eclettico Lodato), per arrivare su all’Asproniata, a godersi lo splendore del panorama luciano, che dalle terre della frazione spazia fino alla campagna napoletana ed alle maestose erte del Vesuvio.

Passeggiata distesa, sotto un cielo che tanto ha minacciato in precedenza ma poi ha voluto anch’esso brindare agli itinerari con gli squarci di sereno; pronto comunque a brontolare pioggia alla fine, ma gentilmente proteso a risparmiare gita e gitanti.

Chiusura, come già due anni fa, nella felicità della vista, nei felici gusti dell’odorato e nella gloria del palato, a Villa Trezza, accompagnati da un salame, un capicollo un pane ed un vino da meditazione e da benedizione, targati “La Selva”, offerti con gioiosa, sorridente ed amichevole generosità dai simpaticissimi padroni di casa don Giovanni Trezza e donna Lina Lamberti, che hanno reso ancora più allegra l’accoglienza attraverso le fascinose melodie di un amico fisarmonicista ed il canto corale di un inno a Santa Lucia su parole di Lucia Avigliano.

Poi, discesa verso Santa Lucia per il ritorno a casa ed il pranzo casalingo. Ma, come due anni fa, l’appetito, anzi i tanti appetiti di tutti i tipi, erano oramai soddisfatti …

“Io non sono ipocondriaca”, il romanzo Mondadori della cavese Giusella De Maria, approda alla Mediateca Marte, presentato dall’Assostampa “Lucio Barone”

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CAVA DE’ TIRRENI (SA). Sorrisi ed emozioni, malattie e magoni, freschezza e riflessioni di scena venerdì 21 novembre, alle ore 18, alla Mediateca Marte di Cava de’ Tirreni. Sarà infatti presentato il romanzo Io non sono ipocondriaca, di Giusella De Maria (Ed. Mondadori).

La presentazione sarà condotta da Franco Bruno Vitolo, con la collaborazione di Imma Della Corte, vicepresidente dell’Associazione Giornalisti Cava e Costa d’Amalfi “Lucio Barone”, che organizza l’incontro insieme con la Mediateca Marte.

Nel corso della serata i delegati della Mediateca MARTE Davide Speranza e Matilde Nardacci presenteranno il progetto “ScavaCava”, di cui questa manifestazione è il numero zero, e che consisterà in una serie di iniziative miranti a “scavare” significativi personaggi, episodi ed immagini della Cava di ieri, di oggi… e di domani (alias giovani emergenti).

Giusella De Maria è una pimpante gabbiana trentenne, emergente già da tempo ed emersa nel 2014 con la pubblicazione del suo romanzo con la Mondadori: è il primo autore metelliano ad avere questo onore.

Da ragazza è stata vincitrice del Premio “Badia” come studentessa del Liceo Scientifico “A.Genoino” di Cava, poi si è affermata in campo nazionale con il primo romanzo,Suona per me(Ed. Avagliano – Roma),quindi è salita nel 2011 sul podio dello stesso Premio Badia come scrittrice, infine è approdata al prestigioso regno della Mondadori, che è un po’ la sognata “Nazionale” degli scrittori.

Io non sono ipocondriaca (Ed. Mondadori) è la storia di Nina, nevroticamente ipocondriaca (cioè terrorizzata dalla paura di prendere malattie di tutti i tipi e quindi in costante difesa igienica e farmaceutica), ma, per compensazione, cuoca-imprenditrice di un’“autoazienda” di catering della Costiera Sorrentina, specializzata in grandi eventi e cibi raffinati. Le fanno compagnia il suo kit-coperta di Linus, che si chiama Mai senza e contiene tutte le medicine pronte per emergenze e affini, e gli amici collaboratori, la pasticciera Lucy, l’anglosfiziosa convivente Carol, il tuttofare Gigi simpatico ed empatico.

A farle compagnia, ma lo scopriremo solo con lo scorrere delle pagine, sono anche le sue paure, le sue insicurezze, le ferite del cuore, che verranno a galla quando il lavoro e la maschera imprenditoriale e i cofanetti “mai senza” non basteranno più a proteggere Nina dalla vita, dalle malattie temute, dal contatto con la sofferenza e con la morte, dalla scoperta-riscoperta dell’amore, grazie all’incontro “psichedelico” con il Dott. Marcus, illuminato scienziato ed illuminante ostetrico delle sue emozioni.

È un romanzo vivace e divertente, che si legge con piacere e coinvolgimento e che, oltre il sorriso, dona il piacevole stimolo di serie riflessioni ed il calore di appassionate emozioni.

Chi conoscerà il libro non lo eviterà… e cercherà di non rimanere “mai senza”, fino alla fine. E alla fine avrà anche messo in un cantuccio l’ipocondria che ci si annida dentro, comprendendo quanta vita ci toglie il trascorrere la vita a difenderci dalla vita

Tra le ombre, un sorriso di cielo: gli “Equilibri scomposti” della pittrice cavese Rosanna Di Marino in mostra al Palazzo Genovesi

SALERNO E CAVA DE’ TIRRENI (SA). Dodici quadri, ognuno di per sé completo, ognuno però legato all’altro, a formare un’ opera unitaria, composta e scomponibile. Un grande puzzle del colore, della materia e dell’anima. Un’unica opera, un’opera unica in mostra, un’opera che da sola vale la mostra: “Equilibri scomposti”, dell’artista cavese Rosanna Di Marino, presentata in One Work Show il 15 novembre al palazzo Genovesi di Salerno da e per iniziativa di Vito Pinto, uno dei più versatili e dinamici giornalisti-critici-operatori culturali del nostro territorio.

Così Pinto presenta l’opera della Di Marino: di grandi dimensioni, cm. 230 x cm.300, formata da tre tele cm. 100 x cm.100, tre tele di cm. 89 x cm. 100, e sei tele di cm. 50×50, composte in opera unica di grande suggestione cromatica.

Concordiamo pienamente su quella grande suggestione cromatica, sia per l’effetto immediato che produce, sia perché i colori e i grumi materici e le singole parti non sono strutturati come fini a se stessi, ma come componenti di un discorso filosofico-esistenziale che la Di Marino produce e ricerca da quando si è dedicata all’Arte.

Già il titolo esprime una delle caratteristiche primarie dell’Artista: l’intima contraddizione tra gli opposti, che nasce da un conflitto interiore, viene razionalizzata e composta in una forma organica più o meno definibile ma comunque composta e sotto controllo, lasciando però nello spettatore l’impressione di una rinnovata scomposizione e di un conflitto che, pur dopo aver donato frutti fecondi, sotterraneamente si perpetua in rivoli ora purificati ora sempre più attorcigliati nello scavo della ricerca.

È un discorso apparentemente astratto, che artisticamente e liricamente si traduce in una progressiva affermazione della materia informe e delle deformazioni richiuse in forme più o meno misteriose, ma che, tradotto nella sostanza della vita quotidiana e della dimensione personale, ben rende sia lo scontro che avviene tra l’identità sociale e quella più profonda, sia il magma interiore che rende complesso e quasi “infinita” la definizione della propria identità rispetto a se stessi, sia l’indescrivibilità della percezione esistenziale, sia anche (ultimo ma non meno importante) il flusso relazionale che si stabilisce tra le varie parti del sé ed tra i singoli sé che compongono il mondo esterno.

Come in una sintesi lucidamente complicata, questo appare chiaro negli “Equilibri scomposti” della Di Marino. Tutt’intorno, dominano velature tra il marroncino ed il rosso che occupano lo spazio ma nello stesso tempo fanno trasparire i pori ancora di scoprire.

Ogni singola parte della cornice più scura è uguale e diversa dalle altre: indistinte forme informali, in trasparenza frammentini di giornali, come nella tradizione della Di Marino, ma quasi invisibili stavolta, struttura autonoma ma forme e segni che stabiliscono un contatto fluido con gli altri quadri dello stesso livello orizzontale.

Più netto invece lo stacco con la parte centrale, dove domina un azzurro tenue intervallato da macchie scure che richiamano la cornice bassa. Netto lo stacco, ma forte l’aggancio nell’immaginecomplessiva: la Di Marino non chiude mai del tutto i varchi, anche quando sente che alcuni non sono valicabili.
L’immagine centrale, vista panoramicamente, sembra un planisfero, ma, osservandola meglio, è proprio l’opposto: è un progressivo tendere verso la scoperta di varchi d’azzurro, di varchi celesti: un richiamo alle problematiche ricerche dell’oltre che l’Artista ha sempre considerato parti essenziali della sua anima.

il perché di questa apparente confondibilità tra planisfero e sfera celeste è ora chiaro: le due parti per l’Artista non sono distinte, ma si distinguono facendo parte dello stesso tutto.

Ed ecco che la relazione alla fine domina sull’isolamento, anche considerando il richiamo della cornice alta, che richiama quella bassa, a chiudere il cerchio ed a stabilire ulteriore razionalità ad un discorso che l’Artista stessa, anche questo in linea con la produzione precedente, non vuole mai che scantoni fuori del controllo della mente-cuore dell’Artista Creatore alla ricerca dello Spirito Creatore.

Un respiro quasi cosmico, quindi, che apre orizzonti anche quando visivamente li chiude: uno spirito religioso che unisce la Parte col tutto, in un sorriso di cielo. La Di Marino sta del resto creando questa bilancia anche con la sua ultima serie di installazioni: sedie originali ricoperte di fili spinati, eppure ricche di colori, anche se non più solide. Oppure sedie colorate e belle, ma coperte da filo spinato? Non è la stessa, cosa: ma nel puzzle identitario ed esistenziale della Di Marino il dilemma continua. Ed in fondo, anche quando il filo spinato punge, non manca mai il sorriso del cielo.

Gli equilibri sono quindi scomposti perché c’è una composizione squilibrata: ma questa è l’elettricità della vita, che l’Artista sente sempre vivissima sulla propria pelle. E per fortuna ad ogni spina o macchia scura riesce a far corrispondere un sorriso di cielo …

L’artista salernitano Vincenzo Vavuso varca i confini ed espone a Londra. E viene accolto nel Museo di Arte Moderna e Contemporanea in Friuli

SALERNO. Hanno oramai preso il volo le opere della serie Rabbia e silenzio dell’artista salernitano Vincenzo Vavuso. Dopo i successi e gli apprezzamenti riscontrati nelle mostre a Salerno (Palazzo Pinto), Roma (Galleria Rosso Cinabro), Venezia (Officina delle zattere) Pisa (Galleria di Arte Moderna e Contemporanea), Torino (Galleria 20),dopo la pubblicazione dell’omonimo e “provocatorio” libro d’arte, si prepara un fine 2014 di grande soddisfazione, giusto coronamento di un cammino che in poco più di un anno ha letteralmente bruciato le tappe.

Innanzitutto, da oggi Vavuso può a buon diritto definirsi artista internazionale. Proprio in questi giorni le sue opere hanno varcato il confine per una destinazione decisamente prestigiosa: saranno infatti esposte al centro di Londra, alla Tryspace Gallery, dal 20 novembre al 7 dicembre. Inoltre nel mese di dicembre è in allestimento un’altra mostra importante, una personale a Gualdo Tadino, in Umbria. Ed intanto è stato preannunciato l’inserimento di un suo olio su tavola, dal titolo “Il tallone di Achille”, nel nascente Museo di Arte Moderna e Contemporanea del Friuli, collocato a Cividale del Friuli, al convento di Santa Maria in Valle (Udine), ex Monastero e Patrimonio Mondiale dell’Unesco.

Le opere della serie Rabbia e silenzio (cromostrutture, oli su tavola, sculture, pubblicazioni) stanno facendo rumore per la provocazione dei contenuti, l’attualità della polemica e l’originalità del linguaggio artistico: filo comune è rappresentato da pagine di libro gualcite e bruciacchiate, spesso immerse in grumi insanguinati su fondo nero, ora calpestate da aggressivi scarponi ora ferite da lame taglienti ora imprigionate in aeree ragnatele di materia ora impiccate ad alberi a loro volta storpiati dalle distruzioni ecologiche, e così via.Rabbia per la Cultura emarginata ed offesa in questi bui tempi di crisi non solo economica ma anche etica, Silenzio non solo per gridare che non ci sono parole per esprimere l’indignazione, ma anche per riflettere e creare un rinnovamento sociale ed umano.

Insomma, opere e linguaggio modernissimi, ma molto lontani dalle cripticità astratte che caratterizzano tante opere contemporanee. Il messaggio è chiaro e forte e può arrivare a chiunque. Anche questo è il segreto del loro successo.

Obesità: una nuova Diet-etica. Un convegno a Palazzo di Città il 15 novembre, organizzato dall’ADEPO

ogo-AdepoCAVA DE’ TIRRENI (SA). Perdere peso non significa affatto guarire dall’obesità! Perdere peso è il risultato di un comportamento momentaneo, la guarigione dall’obesità è un processo duraturo, per la vita.
Per provare a guarire veramente dall’obesità è necessario considerare anche la mente e i suoi pensieri, le sue convinzioni, le sensazioni e le emozioni collegate al cibo e all’alimentazione eccessiva. È possibile agire sulla consapevolezza, sulla motivazione al trattamento e al cambiamento, sullo stile di vita, sulle capacità individuali di ottenere dei risultati personalizzati e soprattutto di riuscire a conservare questi risultati nel tempo.

Lorena-TariPer parlarne l’Associazione ADEPO (Associazione di Dietetica E Psicologia per l’Obesità e il sovrappeso) ha organizzato per il 15 novembre un convegno, Obesità, una nuova Diet-etica, che si terrà nella Sala del Consiglio Comunale del Palazzo di Città. Tra le attività di formazione sarà data particolare enfasi al “rebirthing” (letteralmente “rinascita”), una disciplina che insegna attraverso il respiro consapevole a gestire il vissuto emotivo, a trasformare, come dice il suo fondatore Leonard Orr, propagatore e rielaboratore in Occidente del pensiero del Maestro yoga indiano Baba Ji,: “La respirazione consapevole del rebirthing e la trasformazione dei pensieri autolimitanti e negativi in pensieri costruttivi. E così facendo, si impara ad entrare in contatto con le propei emozioni, ad abbandonare le paure inconsce,

Protagonista la rebirther Lorena Tari Benvenuti (nella foto), toscana di origine, raitese di residenza, cavese di adozione, orientale di formazione (nel corso di una “romanzesca” giovinezza in India ed in America Latina). che sarà uno dei relatori presenti al convegno del 15 Novembre, insieme con il dietista Mario Russo e la nutrizionista Viviana Valtucci, anch’essi cavesi, il medico dietologo Raffaele Ruocco, lo psichiatra Ferdinando Pellegrino, la biologa Marianna Lucibello.

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