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Le cose del mondo. Ultimo libro di versi di Paolo Ruffilli

Paolo Ruffilli, poeta molto noto nonché autorevole figura del panorama letterario italiano e non solo, è in libreria con un nuovo libro di liriche (Le cose del mondo, Mondadori 2020, pagg 198 Euro 20,00). Non posso certo tacere che Paolo ed io siamo legati da profonda stima e sincera amicizia, consolidatasi circa trent’anni quando con i rispettivi libri (Camera oscura e Per le terre di Grecia) fummo ospiti presso il Circolo della Stampa di Salerno, relatore il cattedratico prof Alberto Granese.

Da “Le cose del mondo” ho scelto:

L’ evidente

Tutto ciò che è troppo esposto
è poco interessante: l’evidente
che ti abbaglia e ti impedisce
di vedere la parte più importante.
Il resto, sia pur grande,
conta poco o niente. Perché
sta nel segreto e nel nascosto,
ma a vista, la molla della vita;
la ricerca e la scoperta, la conquista.

Paolo Ruffilli

(da Le cose del mondo, Mondadori, 2020)

Oggi tutto sembra demandato al caso, all’opportunità che si offre come tale e perciò da cogliersi senza tentennamenti, senza interrogarsi oltre sulla vera natura delle cose, “illuminata” dall’evidenza. Più che l’antico carpe diem sembrerebbe imporsi un’altra massima: cogli ciò che appare, che sia vera o meno, non importa. “E’ evidente che sia così”. Questa frase data per assiomatica dirige le nostre scelte, il nostro modo di vivere. Si carica di oggettività ciò che non lo è fino a soggettivare “le cose del mondo” a scapito della confusione, dell’errore. Sembra che spinti e presi nell’incessante e costante fare, dall’azione, sempre più presta e risoluta, il vero oggettivo scompaia definitivamente. E cosi, nei rapporti umani, sociali, e perfino affettivi, ci si muove con un’erronea consapevolezza data dall’evidenza che porta a fare scelte inidonee se non errate. E’ facile fermarsi “all’evidenza”. E’ molto difficile ricercare qualcosa che evidente non appare, ma che risulta essere “la molla della vita”. Chissà, forse, è la montaliana formula che mondi possa aprirti! Per Ruffilli l’evidente “abbaglia”, t’impedisce di “vedere la parte più importante” e così anche qualcosa che “sia pur grande, / conta poco o niente”. Da qui, l’ammonimento del poeta: non è mai evidente, non è mai a vista “la molla della vita”. Ecco, però, indicate le azioni che dettano il cammino verso “la conquista” finale: “la ricerca e la scoperta”. Una lezione, questa, non solo per i giovani (Ruffilli è anche un ex docente), ma soprattutto per tutti quelli che credono che sia tempo perso ricercare e scoprire quando è cosi conveniente consegnarsi al facile, allo scontato, all’evidente. Un registro poetico quello di Ruffilli, che solo a lettori distratti, potrebbe apparire “prosastico”, laddove è di puro di lirismo dal respiro ampio e vigoroso dove il sapiente uso dell’enjambement detta il ritmo cesellato dalle varie assonanze disseminate e, al tempo, quasi nascoste, tra cui fa da perno centrale, in chiusura, l’assonanza Vita /conquista. Ecco due parole indissolubilmente legate. Chiave di lettura, non solo del testo in oggetto, ma soprattutto indicazione di giusta scelta di vita.

Paolo Ruffilli (Rieti, 1949) è poeta, scrittore, saggista, traduttore. Vincitore dei più importanti premi nazionali ed internazionali, i suoi libri sono stati tradotti in molte lingue. Tra i suoi testi di poesia citiamo: La Quercia delle gazze (Forum, 1972); Piccola colazione (Garzanti, 1987); Camera oscura (Garzanti, 1992); Le stanze del cielo (Marsilio, 2008); Affari di cuore (Einaudi, 2011); Variazioni sul tema (Aragno, 2014). Tra romanzi e saggi: Vita di Ippolito Nievo (Camunia, 1991); Vita, amori e meraviglie del signor Carlo Goldoni (Camunia, 1993); Preparativi per la partenza (Marsilio, 2003); L’isola e il sogno (Fazi, 2011). Ha tradotto opere di Gibran, Tagore, Shakespeare. Milton, Mandel’štam, Kavafis.

Cinquant’anni fa moriva Giuseppe Ungaretti, il padre della Poesia Pura

(Con quest’omaggio a Giuseppe Ungaretti riprendono gli approfondimenti di cultura poetica “PoesiadelNovecento-IContempranei” a cura del poeta Antonio Donadio. N.d.R.)


Il Porto sepolto, scritto nell’inferno della prima guerra mondiale quando il poeta era al fronte sul Carso e pubblicato a Udine nel 1916 in soli ottanta esemplari, è senza dubbio il capolavoro di Ungaretti. Elemento chiave è la parola, la purezza della Parola così come sgorga nell’animo del poeta.

Novità per la poesia italiana d’inizio Novecento: la parola come rappresentazione di se stessa e della sua misteriosa esplosione evocativa di un “qualcosa” che l’uomo sente “dentro” ma che difficilmente riesce a decifrare.

E’ questo il compito della “nuova poesia”, di questa “poesia pura”, cogliere di dentro quel qualcosa nella sua essenza primitiva per poter decifrare la misteriosa realtà dell’esistenza umana, esistenza gravata da continue sofferenze e della presenza costante del dolore.

Compito del poeta è di far venire fuori questa “esplosione” così come avviene, senza infingimenti logici, retorici o peggio di maniera.

La “parola” per Ungaretti deve “nascere nella tensione espressiva che la colmi della pienezza del suo significato”. Insomma la Parola nuda così’ come nasce nel profondo dell’animo che diventa canto poetico. Ma per fare questo il poeta deve liberarsi di tutto ciò che gli impedirebbe di portare a termine questa ”operazione”, deve cioè liberarsi dei codificati canoni di “fare poesia” in modo tradizionale, e allora: via la metrica classica, la sintassi rigida e schematica, la punteggiatura tradizionale, la ripartizione dei versi in strofe, per un uso maggiore dell’analogia, della sinestesia, e l’introduzione dello spazio bianco tra verso e verso.

Verso che diventa anche di una sola parola. Esempio la famosissima lirica (nonché splendida sinestesia): M’illumino/d’immenso. Poesia pura quindi che si serve della parola come valore magico-evocativo di qualcosa di misterioso attraverso un linguaggio, spesso, altrettanto misterioso. Poesia che per quest’aspetto venne definita, a parer mio, molto superficialmente, poesia ermetica.

L’ermetismo, in verità, ufficialmente, nascerà molti anni dopo, solo nel 1936. Sarà Francesco Flora a battezzare questa nuova poesia come Poesia Ermetica. Termine derivato dal nome del dio pagano Ermete, divinità dedita ai culti esoterici, misteriosi.

La prima opera che può definirsi a pieno titolo “ermetica” sarà Oboe Sommerso (1932) di Salvatore Quasimodo in cui i canoni poetici assunti dal nascente ermetismo diventano vere e proprie regole da applicare.

La madre

E il cuore quando d’un ultimo battito
Avrà fatto cadere il muro d’ombra
Per condurmi, Madre, sino al Signore,
Come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all’Eterno,
Come già ti vedeva
Quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,
Come quando spirasti
Dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m’avrà perdonato,
Ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d’avermi atteso tanto,
E avrai negli occhi un rapido sospiro.

Giuseppe Ungaretti

(da Sentimento del tempo, Vallecchi 1933)

Coronavirus. La voce dei poeti: con quattro Haiku di Dante Maffia si conclude questa mini antologia

Si conclude, con oggi, questa mini antologia di poesie sul Coronavirus. Desidero concluderla con alcuni versi bene auguranti di Dante Maffia, (poeta già presente con In quarantena -23 marzo -) tratti dalla sua silloge “Corona senza regno” composta da ben otto poesie e “33 haiku per una corona vigliacca” da cui son tratti i conclusivi quattro kaiku:

30

Il purgatorio

subito cancellato.

Coronavirus,

31

dopo sarai

una larva schifosa

e non potrai

32

più fare male.

Lo so, non t’aspettavi

che all’improvviso

33

il fiato dolce

che emana la poesia

ti avrebbe uccisa.

Dante Maffia

Non può essere inferno, non è inferno, è solo purgatorio “subito cancellato“ se l’uomo saprà difendersi riconoscendo e conoscendo “la natura” del suo nemico. Il Covid 19 sconfitto – perché sarà confitto ! – non meriterà neppure l’onore delle armi perché nemico non solo invisibile ma oltremodo subdolo: si nasconde perfino sulla bocca, nei sussurri, nei baci degli innamorati. E’ solo “ una larva schifosa”. E l’antitoto sarà proprio una bocca, un fiato a configgerlo” il fiato dolce/ che emana la poesia”. E così, ancora una volta, sarà la parola del poeta che interverrà a lenire le ferite mortali causate da guerre, carestie, pandemie. La Poesia non serve a nulla, blatera qualcuno, anzi più di qualcuno. Non porta lavoro, benessere, soldi, (carmina non dant panem): è solo un esercizio sterile della mente, un gioco per perdigiorno che si credono saggi, depositari di chissà quale verità! Ricordo quando nel 2004 il grande poeta Mario Luzi fu nominato dal capo dello Stato, Carlo Azelio Ciampi, Senatore a vita, un ministro, notissimo uomo politico che da vari decenni siede in Parlamento, disapprovando la scelta del capo dello Stato affermò: “ Meglio Mike Bongiorno, come senatore a vita che Mario Luzi, della cui nomina mi vergogno”. Eppure cosa saremmo senza l’immortale Voce della Poesia? Anche in questi giorni terribili, come testimoniato pure da questa mia rubrica, la voce dei poeti si è alzata a denunciare, confortare, auspicare. Voce imperiosa e forte di poeti importanti e noti cui va il mio particolare ringraziamento e poeti poco noti o sconosciuti che dal silenzio del loro forzato esilio casalingo hanno condiviso con i lettori il dolore, la tensione, la speranza del dopo. Ringrazio tutti, sinceramente.

Per comodità dei lettori, ecco l’indice dei poeti presenti con la data di pubblicazione con rimando in Categorie: “Coronavirus. La voce dei poeti”. Plinio Perilli- Antonio Donadio (12 marzo); Dante Maffia (23 marzo); Giuseppe Langella (27 marzo); Mario Rondi (6 aprile); Antonio Salsano (12 aprile); Fabio Dainotti (20 aprile); Maria Lenti (28 aprile); Paolo Ruffilli (6 maggio); Annamaria Apicella (14 maggio); Paolo Romano (21 maggio); Antonio Avenoso (29 maggio); Giulia Borroni (5 giugno); Giancarlo Zizola (14 giugno); Stefania Siani (27 giugno); Dante Maffia (odierno).

Dante Maffia  (nato a Roseto Capo Spulico (CS), il 1946 vive a Roma). E’ poetaromanziere e saggista italiano. Numerose le sue pubblicazioni sia di poesia che di narrativa e saggistica come tanti i premi e i riconoscimenti: nel 2004 Carlo Azeglio Ciampi lo ha insignito della medaglia d’oro alla cultura della Presidenza della Repubblica. Maffia è stato candidato al Premio Nobel dalla Regione Calabria.

Coronavirus. La Voce dei Poeti: Guerra invisibile di Stefania Siani

GUERRA INVISIBILE

Eppure non sento sparare,

ma c’è la guerra

 in queste mattine

 di sole lucido e caldo.

 Attraverso strade deserte

di grigio perlaceo

accompagnata da strapiombi

 di pensieri affannosi.

Non sento sparare,

ma c’è la guerra 

subdola e impalpabile 

 e ogni amico è nemico invisibile

 e l’amore gela 

di abbracci chiusi al petto

e baci negati.

Libertà mai sembrò più cara

 e lontana appare

oltre la curva della ragione.

Vacilla appena la mente 

 e paziente aspetta

 che la primavera torni 

e intoni il suo canto.

Stefania Siani (Inedito)

Delle tante poesie a firma di giovani e meno giovani “poeti“, a me sconosciuti, che sono arrivate alla Redazione o direttamente alla mia mail, ho scelto di pubblicare questa di Stefania Siani. Non conosco la signora Siani. La poesia mi è stata inviata da un caro amico già docente di liceo, il quale cortesemente mi anche fornito notizie biobibliografiche che, come al solito, corredano in calce il mio pezzo. Apprendo, quindi, che la signora si è cimentata come poetessa “pubblicamente solo dal 2017, ottenendo risultati brillanti e fortemente incentivanti”. Un buon inizio, quindi. Ma, se posso aggiungere, inviterei la signora Siani e quanti scrivono “da poco tempo” ad andar cauti su successi già raggiunti e premi conseguiti. Scrivere in versi è impresa ardua e difficilissima. Non mi stancherò mai di ricordare che non basta mettere fuori le proprie emozioni, ma bisogna che queste abbiano forza poetica secondo disciplina d’arte nel rispetto di oggettivi canoni tecnici. Un certo Giacomo Leopardi, verso la fine della sua breve esistenza, affermò che “gli sarebbe piaciuto essere un poeta! “ Modestia o forse estrema consapevolezza (impensabile per noi) di quando difficile sia il cammino che porta alla Poesia, quella con la P maiuscola?

Ciò detto, mi sembra che questi siano, senza dubbio, versi degni di dovuta attenzione. Pregio maggiore, essere caratterizzati da accenti di forte carica intimistica che travalica lo sterile ripiegamento su sé – e dentro se stessa-. per esplorare le oggettive rappresentazioni sensoriali che dettano e condizionano la vita di noi tutti, specie in questi giorni di pandemia. Il lettore si riscopre catapultato in una guerra senza che si senta sparare “non sento sparare,/ma c’è la guerra” laddove si assiste al sovvertimento di ogni sicurezza, di ogni appartenenza a gruppi o “eserciti” di parte “ogni amico è nemico invisibile” per un totale sconvolgimento. Difficile ritrovare la ragione di quanto accade “vacilla appena la mente”. Non resta che affidarsi alla Natura che nel suo ciclo vitale torni a regalarci il suo canto che è canto di vita “la primavera torni /e intoni il suo canto.” Interessanti e degni di particolare annotazione i versi “ accompagnata da strapiombi/di pensieri affannosi” per un originale uso della sinestesia rafforzata da un’assonanza nella traslitterazione poetica dell’affannoso turbinio dei pensieri in questi dolorosi giorni.

Stefania Siani (Cava de’ Tirreni, 1971). Dipendente di un’azienda produttrice di ceramiche contestualmente coltiva l’amore per il canto la pittura e la poesia. In quest’ultimo campo benché si sia cimentata pubblicamente solo dal 2017, ha ottenuto già risultati brillanti e fortemente incentivanti come il “Premio Penisola Sorrentina” (con la silloge “Pensieri nudi”), il “Premio La Piazzetta di Salerno” e “Disarmiamo l’ignoranza”. Nel 2018 ha pubblicato il suo primo romanzo “Spade, rock e amore” (Il pendolo di Foucault Edizioni). Entro quest’anno è prevista l’uscita di una nuova raccolta poetica dal titolo provvisorio “Tra la pelle e il cuore”.

Coronavirus. La voce dei poeti: Giancarlo Zizola

Sono i lunghi, interminabili giorni del lockdown: ecco la testimonianza in versi di Giancarlo Zizola.

UN NUOVO GIORNO

Gialla irrompe la luce del sole

s’inquadra alla finestra,

ed è subito abbaglio,

irrefrenabile curiosità

per scordare le inquietudini

della notte, si distende

nel giorno, ancora ignara

dei segni del destino

tra nuvole a conchiglia,

con lunghe colonne vibranti

nell’aria leggera, corre

verso la malcelata tristezza

di una nuova sera.

Giancarlo Zizola (Inedito)

Attraverso la poetica narrazione dello scorrere di un intero giorno dall’alba alla sera, giorno, ahimè, uguale a tanti altri che si susseguono monotoni e silenziosi, Zizola ci regala un’originale lettura del suo nascosto animo: percorso di una speranza che con lo spuntare di un nuovo giorno torni il sereno. Ma ancora una volta la delusione è ad attenderlo inesorabilmente con l’arrivo delle ombre. Sono giorni in cui si vive come sospesi, trattenendo il fiato, tesi a decifrare le ultime dolorose mosse del terribile, invisibile nemico. Sembra vederlo il poeta dal terrazzo della sua bella casa posta sul piccolo colle che domina il centro storico di una silenziosamente immobile Asolo. Serrato lui, come tutti, da giorni. Eppure quella prigionia, forzatamente volontaria, invece di annientarlo, d’abbatterlo, gli regala qualcosa d’inesprimibile, d’incantata armonia: la luce dell’alba disegna un’invisibile tela “Gialla irrompe la luce del sole/s’inquadra alla finestra”. Nel bagliore di questi primi timidi raggi di sole che annunciano il giorno, sembra che la notte sia stata messa in fuga “per scordare le inquietudini /della notte” e far posto a un nuovo giorno che si spera foriero di cose belle e nuove. Ma imponderabili, sconosciuti sono i “segni del destino“: il cielo si fa nuvoloso tra cirri “conchiglia/ con lunghe colonne vibranti” e sembra precorrere a una sera che si appresta essere dolorosamente cupa come da giorni ormai.

L’uso dell’enjambement come cardine ritmico unito all’iterazione regala forza semantica alla narrazione poetica sin dal primo verso. L’esplosione di luce è melodiosamente suggerita dal ricorrersi della labiale “L” “Gialla irrompe la luce del sole. E poi, come due schieramenti opposti, ecco: il sole, le nuvole, l’ aria, fronteggiarsi con l’ abbaglio, l’inquietudine, la tristezza, e tra di esse, un’irrefrenabile curiosità con il prevalere dell’aria leggera per “una nuova sera”. Felice traslitterazione poetica dello scompiglio dell’animo palpitante di Zizola dato da opposti sentimenti. Eccola una nuova sera che arriva, velata, però, ancora di “malcelata tristezza”, accorato tentativo di voler dissimulare la profonda tristezza di questi sospesi giorni.

Carlo G. Zizola (Giancarlo), laureato in sociologia è poeta e operatore culturale. Presidente della prestigiosa settecentesca “Academia dei rinnovati” di Asolo. Suoi versi figurano in qualificate antologie poetiche. Tra le sue pubblicazioni citiamo; “Per le strade”, Edizioni del Leone,2004; “ Vortici”, Edizioni del Leone, 2007;“La neve e il tempo” Edizioni El Squero, 2016 “Quando l’amore odia”, Campanotto 2016; “Il gufo accecato e altre favole in versi”, L’Orto della Cultura, 2019.