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Franco Bruno Vitolo | 10 Marzo, 2018
Presentata a Palazzo di Città “Parole, segni, colore”, la sesta edizione dell’Annuario dell’Accademia “Arte e Cultura”
CAVA DE’ TIRRENI (SA). Ricco di poesie, di dipinti, sculture, fotografie, impreziosito dalle notazioni critiche per ogni autore, strutturalmente semplice eppure bello ed elegante: è Parole, segni e colore, l’Annuario dell’Accademia Arte e Cultura, una ultraventennale istituzione artistica fondata dal cavese Michelangelo Angrisani con sede a Castel San Giorgio, paese natio del fondatore. La sua sesta edizione è stata presentata presso la Sala del Consiglio Comunale di Palazzo di Città di Cava de’ Tirreni, nel corso di una manifestazione arricchita dalla presenza del Presidente del Consiglio Comunale, Lorena Iuliano, dal prof. Fabio Dainotti, che ha redatto alcune recensioni critiche (le altre sono state scritte dalla new entry prof. Emanuela Ingenito e per la maggior parte dal sottoscritto scrivente, che ha anche condotto la serata.
È stato l’ennesimo momento di festa e di riconoscimento per un’Accademia che oramai da anni sa offrire un importante punto di riferimento e di lancio per il territorio. ha alle spalle un’attività intensa e prestigiosa: promozione sul campo, corsi di formazione, valorizzazione di artisti locali e non, spazio per ii “baby artisti”, gran vivaio di Cultura, un Concorso Internazionale di Pittura e di Letteratura, apertura di legami stabili con altri paesi, in primis la Romania (ma esistono rapporti anche con pittori israeliani, francesi, belgi, brasiliani e spagnoli).
Il merito principale va al suo fondatore, Michelangelo Angrisani, artista di riconosciuti prestigio e qualità, che attraverso la varietà delle forme espressive usate (figurativo classico, figurativo simbolico, figurativo vago su materia, sculture) trasmette un intenso messaggio etico ed esistenziale, intriso di una religiosità oltre le forme rituali, dolorosamente gioiosa e pacatamente egualitaria. Nel suo campo egli è anche innovativo, come dimostra la tecnica che più lo caratterizza: il cosiddetto colore del legno, cioè il dipingere nel legno e senza stravolgerne le tonalità cromatiche originali, a riaffermare che un ponte rispettoso tra uomo e materia e quindi tra uomo e natura e quindi tra uomo e Dio.
Se padre e anima dell’Accademia è Michelangelo Angrisani, non bisogna però dimenticare che essa non avrebbe forza e contenuto senza il contributo dei suoi magnifici artisti. Giusto allora ricordare uno per uno i protagonisti dell’annuario 2017-2018.
Luigi Abbro, Nancy Avellina, Antonio Arpaia, Gaetano Cerino, Carmine Avagliano, Filomena Baratto, Maria Rosella Cetani, Saverio Barone, Vincenzo Caccamo, Giuseppina Califano, Paola cetani, Raffaella Cerino, Anna Cervellera, Antonietta Ciancone, Filippo Chiappara, Ettore Cicoira, Antonietta Maria Ilaria Cicale, Maria Flora Cocchi, Sofia Colaiacovo, Lucia D’Aleo, Donato D’Angelo, Paola De Lorenzo, Eugenio Di Leva, Fiorello Doglia, Assunta Gneo, Ignazio De Rosa, Giuseppe Di Mauro, Pasquale Esposito, Marilena Fanfani, Emanuela Ingenito, Contrut O’Ion, Rosanna Ferraiuolo, Adriana Ferri, Gianna Formato, Sandra Gigantino,Silvana Lazzarino, Alessandro Lolletti, Jeanine Lucci, Angelino Malandruccolo, Olga Matera, Rosaria Minosa, Annabella Mele, Gennaro Pascale, Emanuele Occhipinti, Stefania Ortolani, Pasqualina Petrarca, Giuseppe Panella, Nicolae Adrian Popescu, Giuseppe Romano, Maria Raffaele, Rosa Ricciardelli, Giovanni Rotunno, Maurizio Santoro, Lorenzo Siani, Lucia Sottili, Maria Stimpfl, Francesco Terrone, Angela Maria Tiberi, Liliana Scocco Scilla, Stefania Siani, Giancarlo Trapanese, Pilar Segura Badia, Giammaria Trotta, Amalia Viti, Sergio Zappia, Dina Zilberberg, Francesca Vitagliano, Rosaria Zizzo, i Baby Artisti Andrei Dumitru Baciu Bianca Elena Raileanu,, Constantin Iulian Lucaci Mariana Larisa Dragomir, Vincenzo Middei, Nicoleta Andreea Onisimiuc, Laura Orosanu,Denisa Paraschiva Juganariu,Andreea Spetco, Mihai Gabriel Ursulean, , i collaboratori esterni Luigi Crescibene, Fabio Dainotti, Emanuele Ingenito, Rita Occidente Lupo, Franco Bruno Vitolo.
È bello sapere che si siete. Buon viaggio, amici!
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Franco Bruno Vitolo | 27 Febbraio, 2018
La Cava del Cinquecento e le “Farse Cavajole” di Vincenzo Braca
CAVA DE’ TIRRENI (SA). “Vincenzo Braca e i Cavoti – L’immagine di Cava e dei suoi abitanti nei versi dell’autore delle “Farse”, di Mario Lamberti (Ed. Marlin) è il libro che non c’era, un libro che ci voleva. Ci voleva per sfatare alcuni luoghi comuni sia sulla conflittuale rivalità tra gli abitanti di Cava e quelli di Salerno, sia sulla reale portata sociale e letteraria delle famose farse cavajole, oggi sempre più citate che conosciute, sia sulla figura stessa di quel Vincenzo Braca tante volte “vilipeso” come salernitano mangiacavjuoli.
Mario Lamberti, cavese doc, docente di materie letterarie e Dirigente scolastico in pensione, avvertendo l’esigenza di un lavoro specifico su queste tematiche, dopo un accurato e profondo lavoro di ricerca da par suo, fondendo crocianamente acutezza di intuizione e chiarezza di espressione, ha prodotto un’opera ragionata ed illuminante, corredata di un’ampia ed esauriente documentazione letteraria e poetica, facilmente decodificabile perché, accanto alla lingua “cavota” dell’epoca, non mancano mai le traduzioni corrispondenti.
Il ragionamento di Lamberti parte da una deduzione logica, mutuata anche dai fondamentali studi a suo tempo effettuati dal prof. Achlle Mango.
Al tempo delle farse cavajole, cioè tra il XVI e il XVII secolo, il genere della farsa era già abbondantemente diffuso. Le sue ascendenze remote risalivano nel territorio campano-laziale, addirittura alle farse atellane, culla dell’Italum acetum di oraziana memoria. Le ascendenze recenti, come forma comica popolare di ispirazione laica e non religiosa, risalivano al Medio Evo, in Francia, da cui si erano diffuse poi in Italia, per pervenire a Napoli proprio nel Rinascimento, alla Corte Aragonese, e annoverando un autore nobilissimo in Pietro Antonio Caracciolo.
All’interno di questa corrente si inserisce il genere della farsa cavajola, sbocciato con Vincenzo Braca, che ha una sua specificità perché legato direttamente all’ambiente popolare e cittadino della sola Città de La Cava e realizzato attraverso l’uso della parlata “cavota”, diversa da quella delle zone circostanti. Se è vero che queste opere sono delle satire nei confronti di situazioni, ambienti, categorie e mentalità di una Città carica di contraddizioni ma in galoppante fioritura economica e sociale (e quindi naturalmente soggetta a rivalità e invidie), è anche vero che la figura del cavoto come maschera buffa e come tipo un po’ rozzo e a volte risibilmente goffo e/o presuntuoso era preesistente a Vincenzo Braca. Esisteva infatti già in altri autori, in primis in Masuccio Salernitano (vedi la celebre novella de I due cavoti), in secundis nel già citato Caracciolo, in tertiis nello scrittore Giovambattista Pino.
Il passaggio a maschera comica, secondo Lamberti, è avvenuto perché proprio i Cavoti avevano l’abitudine di andare in giro nei dintorni in alcune feste particolari, come Capodanno e Carnevale, a proporre spettacolini comici e satirici. Quindi il cavoto era un tipo particolare di abitante del territorio, da una parte vivace e creativo, dall’altra non privo di modi buffi e soggetti a derisione. Da questo a trasformare le persone creative in maschere diffuse il cammino non è stato lunghissimo.
Su questa fondamentale premessa, il prof. Lamberti apre un’amplissima finestra su Vincenzo Braca, creando di fatto una monografia che finora non era mai stata scritta da nessuno, così completa e così esauriente. Ed è un viaggio affascinante, il suo, che è miele per la curiosità intellettuale di un cavese di oggi che vuole “affondare” nell’identità storica, ma è nello stesso tempo stimolo per tutti coloro che si appassionano alla letteratura, alle radici della classicità latina, ai suoi gangli con le lingue parlate e le espressioni popolari.
Sono due i punti essenziali che egli sviluppa.
Braca era un salernitano, ma con i cavoti, anche se poi ne fa satira, non aveva un rapporto del tutto conflittuale, tanto è vero che ha abitato a lungo proprio in quella Città de La Cava. Che a suo dire “apprezzava, rispettava e considerava come una figlia proveniente dalle sue viscere”: una “confessione” che, per quanto possa anche essere ironica, esprime comunque, unita al legame di vita stessa, un forte attaccamento alla Città e, come dimostrato dai versi e dalle sue opere, anche una valida e sostanziale conoscenza di essa.
Braca, laureato a Salerno ma assiduo frequentatore della corte aragonese e degli ambienti più colti (conoscendo persone come Caracciolo e basile), ha inteso prima di tutto fare letteratura, come dimostra il fatto che ha composto anche opere di altro genere, come le Egloghe di stampo virgiliano, dove manifesta uno spirito bucolico “brachianamente agrodolce”. E comunque anche qui non dimentica il richiamo a questa nostra città, che evidentemente gli stava fissa nella mente, pur con tutti i suoi difetti. Da una parte egli confronta la palude culturale cavota con la vivacità dell’ambiente napoletano, ma dall’altra non manca di esaltare la potenziale bellezza di vita offerta da La Cava, realizzata soprattutto nel passato (la madre dei lodatori del tempo andato è sempre incinta…). E in altri momenti parla addirittura di Arcadia cavota: per un poeta del tempo, impregnato di virgilianesimo, l’Arcadia rappresentava pur sempre una forma di Eden…
Nelle stesse farse, dove pur beffeggia, ora con stiletto ora con cazzotti, la “goffaggine cavota” (vedi la Farsa de La Maestra o Il maestro di schola, o anche la rappresentazione del mercato nel Sautabanco, oppure nella celebre Recevuta de lo Imperatore, con l’attesa fremente e orgogliosamente presuntuosa dei Cavoti per una “visita” che poi di fatto non ci fu), Braca non manca di citare se stesso e il fatto che forse per queste prese in giro egli sarà bastonato. E non dimentichiamo che egli nel Processo dà addirittura voce ai suoi denigratori, con una sorta di autoironia che è degna di un grande intellettuale come egli in effetti fu. Un intellettuale che non può e non deve essere ridotto solo ad un beffeggiante autore di farse, perché ha scritto di tanto altro, compreso di filosofia, come si ricava dall’indice del suo manoscritto. Un intellettuale che, parlando di una Città nobilissima come era allora La Cava (non dimentichiamo neppure questo), è stato pur capace, come sostiene Lamberti, “di conferire carattere letterario ad un genere di satira in cui i protagonisti sono le maschere degli abitanti de La Cava”.
È una dignità da riconoscere e da rivalutare, quella del Braca scrittore e della Farsa cavajola come genere. E Lamberti ha collocato un solido mattone per tale operazione. Un mattone importante e significativo, anche perché, a fronte di un tempo di linguaggio globalizzato e globalizzante ed in un ambiente critico in cui tante volte il culto dell’Italofonia a scapito delle lingue dialettali è stato eccessivo e debordante, non si perde occasione di rivalutare quelle lingue territoriali che hanno una storia ed un’identità da preservare. Lo ha fatto l’Unesco con il napoletano riconosciuto come lingua e patrimonio immateriale dell’umanità (cosa molto buona e molto giusta…), lo hanno fatto tanti operatori culturali andando a ricercare nel settoriale e ripescando proprio le farse cavajole. Queste, non dimentichiamolo, a fine Novecento sono state portate più volte in scena, con attori del calibro di Mario Scarpetta, di Antonio e Maurizio Casagrande, di Marina Pagano. E a Cava, a parte un’edizione particolarmente originale della Festa di Monte Castello, ci hanno pensato figure del calibro di Anna Maria Morgera, di Francesco Senatore e della splendida Compagnia dell’Arte Tempra ( alias Temprart) di Clara Santacroce e Renata Fusco, che proprio di recente hanno messo in scena più volte la Recevuta de lo Imperatore, con contaminazioni di altre farse cavajole.
Insomma, è una pagina della nostra storia, che in certi momenti potrebbe diventare quasi una copertina, essendo in esse Cava una sorta di “ombelico del mondo”. A quell’ombelico corrispondeva un corpo che, al di là delle piccole goffaggini, sprizzava energia da tutte le parti. Un’energia che ci servirebbe tanto ancora oggi …
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Franco Bruno Vitolo | 21 Febbraio, 2018
Disarmiamo l’ignoranza! Un originale Concorso letterario e fotografico indetto dal MARIC sulla Cultura e i suoi “segni”
SALERNO. Il MARIC (Movimento Artistico per il Recupero delle Identità Culturali), fondato e presieduto dall’artista Vincenzo Vavuso, ha lanciato ad inizio 2018 il Concorso di Poesia, Prosa e Fotografia
Disarmiamo l’Ignoranza
La Premiazione si svolgerà nell’ambito della kermesse artistico-culturale, promossa e realizzata dagli artisti del Movimento, dal titoloAnimArte, chesi svolgerà nel mese di aprile nella sede espositiva di Palazzo Fruscione del Comune di Salerno. (Vicolo Adelberga, 19, 84121 Salerno SA )
Il Premio è diviso nelle seguenti sezioni:
Sezione A – Racconti brevi
Tema: La Cultura e i suoi Valori
Copie: n.4 copie dattiloscritte se inviate per posta e/o testo digitalizzato.
Lunghezza: Massimo 4 pagine A4, carattere Times New Roman, grandezza 14, interlinea singola.
Opere ammesse: Max n.2 racconti inediti e mai premiati.
Sezione B – Poesia
Tema: La Cultura e i suoi Valori
Copie: 4 copie dattiloscritte se inviate per posta e/o testo digitalizzato
Lunghezza: Max 35 versi
Opere ammesse: Max 3 poesie inedite e mai premiate
Sezione C – Fotografia
Tema: I segni della Cultura e dell’Identità
Copie: n.1 copia per ogni foto, se inviate per posta – opp. file via web
Lunghezza: File jpg di dimensioni 30×45 a 300 dpi
Opere ammesse: Max 2 foto inedite e mai premiate
Regole e quote
Potranno partecipare opere in lingua italiana, ma anche in lingua straniera o n vernacolo,
purché siano corredate di traduzione in lingua italiana. In caso di minore età, la domanda dovrà essere accompagnata dall’autorizzazione dei genitori.
Gli autori dovranno inviare gli elaborati all’indirizzo e-mail:info@movimentomaric.it oppure spedirli all’indirizzo “M.A.R.I.C., Via Calata San Vito, 87- 84126 -Salerno“ indicando sulla busta la dicitura: Premio Internazionale di Poesia, Prosa e Fotografia M.A.R.I.C. edizione 2018.
È prevista una quota di adesione di 10 € per una sezione (15 € se le sezioni sono più di una).
· Le quote andranno versate sul Conto Corrente Bancario intestato al M.A.R.I.C. tramite
bonifico sul codice IBAN IT27D0885576170006001002365. Oppure tramite Ricarica PostaPay, numero 4023600656575893 intestata a Pizzo Isabella C.F. PZZSLL73D43H703X .
La ricevuta del pagamento dovrà essere allegata al plico nel caso di spedizione postale, scannerizzata e allegata alla e-mail, nel caso di invio per posta elettronica.
Una volta coperte le spese di organizzazione, l’eventuale residuo sarà donato per la costruzione e l’arredo della nascente Casa della Cultura ad Accumoli, per la quale dal MARIC già da oltre un anno è stata aperta una sottoscrizione, oramai non lontana dal traguardo finale.
· Le opere presentate dovranno essere accompagnate da una dichiarazione in busta
Chiusa, inserita nel plico, e contenente i dati anagrafici (Nome, cognome, indirizzo, numero telefono, indirizzo posta elettronica) e riportare la seguente autorizzazione firmata “Io, sottoscritto XXXX, dichiaro sotto la mia personale responsabilità di essere l’unico autore dell’opera/delle opere………… ed autorizzo l’uso dei miei dati personali ai sensi dell’art. 13 D.L. 196/2003.” In caso di minore età l’autorizzazione dovrà essere firmata dai genitori o da chi esercita la potestà. Le opere anonime saranno escluse.
· Le opere dovranno pervenire entro e non oltre il 20 marzo 2018, alla segreteria del
M.A.R.I.C. entro e non oltre stessa data, se inviati per posta (farà fede il timbro postale). Le opere inviate non saranno restituite.
Premi:
· L’organizzazione del Premio comunicherà tempestivamente i risultati sul sito del promotore e tramite e-mail.
Al primo classificato di ogni sezione verrà assegnato un premio in denaro.
La giuria, alla quale le opere saranno consegnate dalla Presidenza con la garanzia dell’anonimato, selezionerà le prime 5 opere di ogni sezione, che, corredate da una breve nota personale e fotografia, saranno pubblicate sul sito www.movimentomaric.it. Inoltre, le stesse,saranno inserite nella seconda raccolta antologica del M.A.R.I.C. che verrà distribuita la sera stessa della premiazione.
Le copie destinate agli autori saranno gratuite, le restanti verranno donate a fronte di un minimo contributo che sarà devoluto per la costruzione della Casa della Cultura di Accumoli.
Le prime tre opere classificate di ciascuna sezione (foto, racconto breve e poesia) saranno esposte permanentemente presso la nascente “Casa della Cultura” ad Accumoli e potranno essere utilizzate, previa autorizzazione, per il decoro urbano (murales) della cittadina di Curti in provincia di Caserta, mentre le opere fotografiche verranno esposte permanentemente nella Biblioteca Comunale del comune di Curti.
Tutti i finalisti saranno invitati a presenziare alla cerimonia di premiazione che si terrà
al Palazzo Fruscione di Salerno nel mese di aprile 2018 (la data sarà comunicata sul sito www.movimentomaric.it) in occasione della Mostra AnimArte. Nella stessa sede saranno proclamati i vincitori delle varie sezioni e, nel caso di impossibilità a presenziare, gli autori potranno delegare persona di fiducia per il ritiro del Premio.
Ai segnalati sarà consegnata una pergamena, mentre a tutti i partecipanti sarà
consegnato un attestato di partecipazione.· La giuria, il cui giudizio è insindacabile, sarà composta da:
Claudio Grattacaso (scrittore), Franco Bruno Vitolo (giornalista e scrittore), Maria
Rosaria Vitiello (consigliere per le politiche culturali, educative e scolastiche della Provincia di Salerno), Rosalia Cozza (poetessa), Enzo Truppo (fotografo), GaetanoClemente (fotografo) e Maurizio Isacco (cultore d’arte).
Coordinatrice del premio è Isabella Pizzo (tel. 3472236015).
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Franco Bruno Vitolo | 16 Febbraio, 2018
1948 – Gli Italiani nell’anno della svolta, di Mario Avagliano: la storia delle elezioni di ieri che decisero la storia di oggi
CAVA DE’ TIRRENI (SA). Settima perla della collana storica di Marco Palmieri e del “nostro” Mario Avagliano, “cavese nel mondo” e oramai diventato un punto di riferimento fermo e stimolante per tutti gli studiosi, non solo nazionali. Dopo gli internati, gli ebrei, i deportati, le leggi razziali, la guerra, la Repubblica Sociale, stavolta Avagliano e Palmieri hanno messo “sotto inchiesta” le elezioni del 1948, che doveva essere un anno rivoluzionario come il 1848, se avessero vinto i socialcomunisti del Fronte Popolare, e diventò invece il trampolino di lancio per l’Italia della DC, quella che governò come partito per oltre quarant’anni e che non ha smesso neppure oggi forse di essere egemonica o determinante nella vita di alcune formazioni politiche.
Il libro, documentato e appassionante come i precedenti, è stato già presentato a Roma il 2 febbraio scorso, a Piazza Venezia, presso l’Associazione Civita, nella prestigiosa Sala Gianfranco Imperatori, in un Palazzo speculare a “quello là” del Duce.
I relatori, un vero e proprio “parterre de rois”: Giorgio Benvenuto, ex leader nazionale UIL, Aldo cazzullo, giornalista, storico e star TV, Adolfo Battaglia, ex leader del PRI, la prof. Simona Colarizi, storica dei partiti.
A Cava, il libro sarà presentato il 23 febbraio, alle 18, nella bellissima Sala d’Onore di Palazzo di Città, col patrocinio del Comune e a cura dell’Associazione Giornalisti “Lucio Barone”. Oltre al Sindaco Vincenzo Servalli, all’Assessore Barbara Mauro e al Presidente della “Barone” Emiliano Amato, interverranno il prof. Giuseppe Foscari, docente di storia l’avv. Gaetano Panza e il dott. Gerardo Canora, politici cavesi e testimoni diretti di quel periodo. Leggerà i testi Pietro Paolo Parisi. Condurrà il sottoscritto scrivente, Franco Bruno Vitolo.
O di qua o di là. O nel blocco occidentale, guidato dagli USA, o nel blocco comunista, guidato dall’Unione Sovietica. Erano loro, USA e URSS, le due nuove superpotenze del mondo dopo la sconfitta del Nazismo e dei totalitarismi di destra e la relativa vittoria nella Seconda Guerra Mondiale, che li aveva visti prima alleati nella battaglia e nella divisione del mondo a Yalta e poi divisi dal solco nascente della guerra fredda e dai muri ideologici e politici che si stavano alzando tra i due grandi imperi.
O di qua o di là. E con il problemino che sarebbe nato se si fosse andati “di là”, essendo l’Italia, paese in zona d’ombra dell’Ovest, stata “assegnata” a Yalta al blocco occidentale, così come la Cecoslovacchia, paese in zona d’ombra dell’Est, era stata assegnata al blocco URSS (e chi si opponeva, come il segretario del partito Comunista, finì con l’essere gettato dalla finestra… per un omicidio che diventò in Italia “La lezione di Praga”).
In Italia, dopo le elezioni del ‘46 e la nascita della nostra avanzatissima Costituzione, figlia del lavoro congiunti di tutti i partiti antifascisti protagonisti della lotta partigiana, si presentarono su due fronti contrapposti alle elezioni del Parlamento, previste per il 18 aprile del 1948.la Democrazia Cristiana, leader del blocco moderato occidentale e vicina al Vaticano, ed il Fronte Popolare, guidato dal Partito Socialista di Pietro Nenni e dal Partito Comunista di Palmiro Togliatti,
O di qua o di là. Era l’anno della svolta decisiva per il futuro dell’Italia. E gli Italiani scelsero “di qua”: la DC e gli alleati ottennero un’amplissima maggioranza, il Fronte Popolare, nonostante l’immagine di Giuseppe Garibaldi sul simbolo, superò di poco il trenta per cento, lì dove aveva sperato nella maggioranza assoluta.
Non fu una scelta facile né “indolore, nel prima e nel dopo.
La campagna elettorale che precedette le elezioni fu la più sanguigna, aggressiva e partecipata di tutta la nostra storia, con un numero di votanti pari al novanta per cento degli aventi diritto, tra i quali per la prima volta c’erano le donne. In tutto il Paese era un fermento di discussioni e anche litigi, tra l’ebbrezza della ritrovata libertà dopo la dittatura e gli scontri di ideologie opposte, tra il materialismo socialcomunista e l’imprinting conservatore e religioso democristiano e vaticano, con una Chiesa scesa in campo in primissima persona e con l’intervento anche di suore e di “Madonne pellegrine”, a difesa dei valori tradizionali e contro l’orso comunista.
Tutto questo fermento tra la gente, oltre che nel Palazzo e a livello internazionale, il libro di Mario Avagliano e Marco Palmieri ha il merito di rappresentarcelo compiutamente attraverso i documenti originali dell’epoca, dalle relazioni ufficiali politiche e giudiziarie agli articoli di giornale alle lettere private. Un materiale di ampio respiro, presentato con organicità e chiarezza, inquadrato adeguatamente nel contesto, con una fascinosa varietà di angolazioni, dal manifesto ad effetto speciale alle fotografie di informazione, dalle dichiarazioni diplomatiche alle invettive senza mezzi termini, dai fattarielli gustosi alle analisi lucide, dalle luci di una nuova classe politica di alto profilo e senso dello stato alle piccinerie qualunquistiche o di ripicca. Insomma, un libro di storia che diventa un libro di storie che diventano una storia unica e appassionante come un romanzo. E chi era già nato in quegli anni o nei successivi, consequenziali e ribollenti anni Cinquanta, vi riconoscerà tutto il sapore delle piazze di quegli anni.
Il grande merito di Avagliano e Palmieri è quello di aver offerto gli strumenti per una rivisitazione precisa e documentata di quell’anno e di quel periodo, riuscendo con acuta empatia di storici a permettere di capire le ragioni dei contendenti, eppure non rinunciando mai ad un giudizio motivato e supportato dai successivi sviluppi della storia. Non cadono quindi nell’errore della pancia, come troppo spesso oggi si tende a vivere la politica, ma non ignorano il valore della pancia, senza sopravvalutarla. Sarebbe stato facile, da persone di sinistra, inveire contro la grossolanità dei manifesti terrorizzanti, quasi terroristici, della DC sull’ipotesi di un avvento dell’Orso Comunista, o contro le “lettere della libertà” italo-ammericane qui opportunamente ricordate. Sarebbe stato facile, immedesimandosi nell’elettore di Destra, puntare il dito contro le tendenze espansionistiche, imperialistiche e antilibertarie dell’Unione Sovietica e in parte implicite nel comunismo stesso. Sarebbe stato facile denunciare l’attentato a Togliatti come puro figlio dell’atmosfera avvelenata di quei giorni e del governo della guerra civile (vedi nel libro la dichiarazione di responsabilità di Nilde Jotti), o esaltare l’aiuto che diede la vittoria di Bartali al Tour per frenare l’ondata rivoluzionaria e insurrezionale, come pure dire che le elezioni erano state vinte sull’onda della paura del comunismo e della mobilitazione gigantesca e “miracolistica” della chiesa cattolica.
Non insistono sull’effetto facile, Avagliano e Palmieri, ma ci fanno capire che questi elementi, pur importanti ai fini della sconfitta della sinistra, unita alle ambivalenze della sinistra stessa relativa al futuro economico e politico, furono importanti, ma non determinanti come altri. Ad esempio, il bisogno che aveva un paese ancora alle corde per la povertà di sempre e i disastri della guerra, di ricevere aiuti e finanziamenti concreti per una ricostruzione materiale e morale e un rilancio reale dell’economia. E questo lo garantiva il Piano Marshall americano, che però era subordinato alla scelta di campo occidentale (molto interessante la ricostruzione nel libro, a cominciare dal supertelegramma e attraverso il “treno dell’amicizia”). E altro fattore determinante era che il nostro Paese, pur avendo ripudiato il Fascismo, era, e crediamo ancora lo sia oggi, fondamentalmente un paese moderato, legato alle radici delle tradizioni certo non rivoluzionarie del mondo contadino, non alieno dalle parole d’ordine della destra.
A questo quadro della rappresentazione di Avagliano e Palmieri, dobbiamo aggiungere la divisione dei capitoli, molto razionale, che parte dalla rottura dell’unità costituente (corrispondente poi alla rottura internazionale dell’alleanza antifascista e antinazista) per proseguire con i bollori della fase preelettorale, col peso dell’intervento americano e del Piano Marshall, con gli scontri e le tensioni in tutto il Paese, con la democrazia bloccata dagli eventi e dagli accordi sovranazionali, ma anche con la conventio ad excludendum della sinistra con cui si chiude il volume.
Dalla lettura si esce soddisfatti e carichi di stimoli e forse anche in parte rasserenati dalle conturbanti emozioni che ancora oggi generano quelle tensioni. Dagli eventi successivi sappiamo che il Paese si riempì di don Camilli e Pepponi, che furono anche botte da orbi, ma che don Camillo e Peppone tante volte erano in grado di collaborare per l’interesse di tutti. Sappiamo che questo spirito collettivo alimentò la grandezza del boom e le successive conquiste civili e democratiche. E dal libro di Avagliano e Palmieri abbiamo anche avuto la conferma che tutto sommato anche per la sinistra oggi quella vittoria DC non fu “una disgrazia” (ben altri problemi avrebbe causato la vittoria del Fronte).
È una miniera che ci arricchisce… e forse ci deprime anche un poco, perché nel confronto la nostra epoca appare ben più meschina e povera d prospettive. Certo, non è più il tempo di don Camillo e Peppone… e non è detto che questo sia un male. Però, sarebbe buono e giusto che i meschinelli litiganti di oggi sapessero guardare all’interesse comune, come alla fine facevano proprio i don Camillo e i Peppone di ieri …
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Franco Bruno Vitolo | 9 Febbraio, 2018
Presentato anche a Roma “Verso di me”, di Silvana Salsano: un emozionato ed emozionante racconto in prosa e poesia nel tunnel della malattia… e oltre
CAVA DE’ TIRRENI (SA) e ROMA. Una vita terremotata dall’arrivo di un “inquilino abusivo” nel corpo, il disorientamento di giorni sbandati dall’altalena tra disperazione e ricerca di vie d’uscita, le terapie logoranti e deformanti, eppure salvifiche, ore annaspanti appena addolcite dal calore protettivo della famiglia, ore notturne avvolte da abissali fantasmi, poi la luce in fondo al tunnel e la riconquista della vita e la riscoperta di una nuova se stessa, in un’inesausta e inesauribile voglia di primavera. Questo il “romanzo interiore” dei frammenti di luce in una notte buia che la cavese Silvana Salsano ha intessuto in una successione di prose e poesie che ha pubblicato col titolo bivalente Verso di me (Ed. Area blu),e che ha presentato il 4 dicembre a Cava nella sala del Comune e sabato tre febbraio anche a Roma, nel Club “Il seminterrato”, diretto da Massimo Leone, in via Siena.
In tutte e due le serate, nessuna relazione “letteraria”, come si usa spesso durante le presentazioni di libri, spesso ahimé verbose e troppo “azzeccose”. In tutte e due le serate hanno parlato i versi e le confessioni di Silvana stessa.
A Cava, nel Salone d’Onore di Palazzo di Città, affollatissimo ma tutto oscurato, con la magia di una piccola luce sui lettori (la stessa Silvana, la figlia Ida Accarino, Maria Teresa Kindjarsky, Silvana Pisapia, il sottoscritto scrivente) e di un fascinoso creatore di rinascite in note, come il pianista Ernesto Tortorella. A Roma, con un emozionato pubblico “fatto in casa”, in una sala più piccola e raccolta, sempre in penombra, ma senza buio, con la lettura delle new entry Anita Trincia e Francesca Ferraioli e dei “veterani” (la stessa Silvana, Ida e il sottoscritto) e la musica di Jonio Worzel, armoniosamente coniugata ai testi.
Tutte e due le volte, la magia di un incontro “vero”, con momenti ora di alta Empatia con la S maiuscola (la S di Sensibilità e di Silvana), ora di avvolgenti voli nelle nuvole dei ricordi, ora di fascinose scoperte-riscoperte, ora di stimolanti riflessioni sul coraggio di raccontare e la capacità di lottare, sui disvelamenti a se stessi e ad altri al di là delle maschere, delle apparenze, dei ruoli e dei pregiudizi,.
Tutte e due le volte la storia di una malattia e di una ri-scoperta è uscita fuori dalla persona di Silvana per diventare una storia di tutti i presenti, perché ognuno di noi è attraversato da caverne e da fantasmi e, ogni volta che ne sente gli spifferi del buio, apre il cuore all’abbraccio solidale della comune fragilità.
Ed è stato un cammino, che nella sua realtà comune intender non lo può chi non lo prova, mentre nella sua realtà immaginaria regala un ponte di anime e il sapore dolce della ricostruzione.
Accanto a questa “lezione di condivisione”, la percezione della vita.
Silvana racconta il tutto con lo spirito della reduce, da una guerra e/o da un lager. Comunque, da un Inferno.
E, se la malattia è l’Inferno intriso di buio, già il Purgatorio, cioè la convalescenza, assume la luce piena del Paradiso. E tutto appare circondato da un alone diverso. In quel lungo dialogo con se stessi che ogni malato è costretto a fare, risulta assai feconda la rivisitazione delle emozioni e dei sentimenti finora vissuti e in attesa di ritorno. Tutto riappare, ma con la sua altezza “reale”. E ogni segno, ogni sorriso, ogni scintilla di vita ridiventano calore, ogni frammento della proprio esistenza assume un senso e la forma di un desiderio. Al confronto, ti torna a vibrare il cuore e si apre all’immenso respiro del cielo. E piano piano, mentre contestualmente riesci a vedere la luce che è in fondo al tunnel e la speranza riprende corpo, ti reimpossessi di te e l’amore ti scoppia nel cuore, ed emerge una persona più coraggiosa, più vorace, più sicura, più temeraria. Un’altra se stessa.
Questo viaggio, pur se con un lungo travaglio di non facile “stappamento”, Silvana ha trovato attraverso il libro la voglia, la, forza, il coraggio di raccontarlo. Da questo viaggio lei è andata e tornata tante volte verso di sé. E con lei ognuno di noi verso di lei. E alla fine, sperabilmente, ognuno di noi verso di noi stessi. Grazie anche a lei… e ai lampi di luci che ci ha regalato dalla sua nottata.
Pubblicato in cultura & sociale, eventi & appuntamenti | Commenti disabilitati su Presentato anche a Roma “Verso di me”, di Silvana Salsano: un emozionato ed emozionante racconto in prosa e poesia nel tunnel della malattia… e oltre