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CAVA DE’ TIRRENI (SA). Domenica presentazione del libro “Terra natia – Sant’Anna all’Oliveto”: emozionanti pagine di storia e di umanità

Domenica 17 novembre p.v., alle ore 18, presso la Chiesa di Sant’Anna all’Oliveto, a cura della locale Comunità Parrocchiale e col patrocinio del Comune di Cava de’ Tirreni e della Casa Editrice “NoiTré”, sarà presentato il volume Terra natia – Sant’Anna all’Oliveto in Cava de’ Tirreni (Edizioni NoiTrè), di Pasquale Di Domenico.

Interverranno il Sindaco di Cava de’ Tirreni Vincenzo Servalli, l’Arcivescovo dell’Arcidiocesi Amalfi-Cava de’ Tirreni Mons. Orazio Soricelli, il Parroco di Sant’Anna don Alessandro Buono, la Dirigente Scolastica Raffaelina Trapanese, il Consigliere Comunale Vincenzo Lamberti, l’Editrice Gabriella Pastorino, il soprano Margherita Amato, la pianista Sara Germanotta e ovviamente l’autore del libro, Pasquale Di Domenico, oggi residente a Montecorvino Pugliano ma santannese doc. di identità, di frequenza e di cuore. La conduzione e la relazione saranno affidati a Franco Bruno Vitolo, insegnante e dedito all’attività giornalistica.

L’opera, composta in occasione sia del centenario della Parrocchia di Sant’Anna all’Oliveto e del suo anno giubilare sia della sua proclamazione ufficiale a Frazione della Città, presenta in duecentoquaranta pagine un ampio excursus storico, sociale e umano su un territorio vivo e ricco di fermenti, fertile di lavoro, di iniziative, di tradizione e di cultura.

Dalle vicende dei parroci (compreso un ricordo del caro don Carlo Papa, recentemente scomparso) alle donne tromboniere, dalle interviste ad alcune figure “storiche” della comunità alle presenze della propria famiglia, dalle attività economiche contadine di ieri a quelle industriali, turistiche e folkloristiche di oggi, in duecentoquaranta pagine,con un coinvolgente testo affabulatorio e documentario corredato di oltre cento fotografie, Pasquale Di Domenico realizza un ponte di conoscenza nel territorio, in Città e tra le generazioni, producendo nello stesso tempo un atto d’amore verso quella sua terra natia che è ancora la stella polare del suo cuore.

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Edward Lear e le sue visioni della Costiera e di Cava

Venerdì 15 novembre 2019, alle ore 18, nell’Aula Consiliare del Palazzo di Città di Cava de’ Tirreni in Piazza Abbro, sarà effettuata la presentazione del volume Edward Lear, visioni inedite della Costa d’Amalfi, curato da Giovanni Camelia, Marco Graziosi e Federico Guida. L’iniziativa è organizzata dal Centro di Cultura e Storia Amalfitana, col patrocinio del Comune di Cava de’ Tirreni e dell’Associazione Giornalisti di Cava de’ Tirreni e Costa d’Amalfi “Lucio Barone”.

Dopo i saluti istituzionali di Vincenzo Servalli, Sindaco di Cava de’ Tirreni, Ermelinda Di Lieto, Presidente del Centro di Cultura e Storia Amalfitana, Emiliano Amato, Presidente dell’Associazione Giornalisti “Lucio Barone”, interverranno i tre autori, Giovanni Camelia, Marco Graziosi, Federico Guida, e il Direttore del Centro Studi per la Storia di Cava Giuseppe Foscari, docente universitario. La conduzione sarà affidata a Franco Bruno Vitolo.

L’opera contiene una raccolta di oltre cento acquerelli e disegni del pittore, poeta e viaggiatore inglese Edward Lear, eseguiti nel corso dei suoi soggiorni ad Amalfi e Cava nel periodo tra il 1838 e il 1844. Sono quindi rappresentati scenari di tutto l’ambito territoriale. Le immagini provengono da collezioni di importanti biblioteche e musei, non solo europei ma anche americani.

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Piccolo Teatro al Borgo e Arcoscenico: la coppia è cresciuta e si sta moltiplicando

Presentato il cartellone 2019-2020: due spettacoli in più, con uno in comune.


Se stiamo insieme ci sarà un perché… canta da anni il buon Cocciante. E a buon diritto, nella presentazione del cartellone relativo alla stagione 2019-2020, avvenuta il 18 ottobre sorso nella Sede del Piccolo Teatro, lo possono cantare anche la storica Compagnia del Piccolo Teatro al Borgo di Mimmo Venditti e quella emergente di Arcoscenico, diretta dal giovane già veterano Luigi Sinacori, autoregistattore delle pièce portate in scena.

L’anno scorso avevano prodotto una magnifica e pionieristica provocazione, creando un’originale coppia di fatto: cartellone e sala in comune, sinergia nell’organizzazione e nella promozione. La compagnia storica e consolidata “giocava” alla pari con la compagnia emergente, giovane e promettente: in parte un’esperienza da chioccia, ma anche e soprattutto scambio di esperienze, osmosi di pubblico, reciproco atto di fiducia, un segno di unità e rottura con il passato con l’obiettivo di lanciare un messaggio alla Città, sfondando il troppo frequente muro dell’isolamento delle associazioni del territorio.

Il potere di questo segno è stato subito forte, tanto e vero che l’Associazione Giornalisti di Cava e Costa d’Amalfi “Lucio Barone” ha benedetto l’unione riconoscendo alle due Compagnie il Premio ComunIcare- Ponte giovane.

E dobbiamo pensare che anche il risultato sia stato adeguato e soddisfacente, rispetto agli obiettivi prefissati, altrimenti non avrebbero riconfermato il “matrimonio” con le stesse modalità. Anzi,alla presentazione ufficiale del cartellone, hanno anche comunicato di aver “avuto un figlio”: non quello che il marito aspetta nell’omonima e celebrata commedia di Venditti, ma uno spettacolo in più, recitato da tutte e due le compagnie insieme. E non uno spettacolo qualsiasi, ma “Il Sindaco del Rione Sanità”, uno dei testi sacri di Eduardo De Filippo, uno di quelli che fanno tremare le vene e i polsi. E se non sono tremate alle due compagnie nel pensare di metterlo in scena, per di più insieme, ci sarà un perché…

E se il cartellone è ricco (undici lavori!), vario (testi comici e drammatici o malinconici secondo i gusti) e particolarmente allettante, infiorato come è di storici testi edoardiani (Filumena Marturano, Questi fantasmi, Le voci di dentro, Natale in Casa Cupiello), di un Pirandello “eduardabile” come Il Berretto a sonagli, di riscoperte del passato (di Aldo De Benedetti), di opere nuove autoprodotte ( Un’eredità poco…mancina sui pregiudizi politici, Jude sulla Shoah, il già citato Mio marito aspetta un figlio sulle incomprensioni in famiglia), ci sarà sempre quel famoso perché…

E quel perché è chiaro: hanno saputo e vogliono ancora dimostrare, con il bel flusso di pubblico e gli spettacoli effettuati, che il Teatro c’è anche se non c’è… E, soprattutto, se lo possono permettere, ci credono e ci valgono… e sono stati bravi a fare uno più uno uguale a tre.

E sarà uguale addirittura a quattro se i risultati anche quest’anno saranno pari alle premesse e alle promesse.

Nell’attesa, eccolo, il programma. Buona scena a tutti!


9-10 novembre 2019 ArcoscenicoUn’eredità poco mancina, di Luigi Sinacori

23-24 novembre 2019 Piccolo Teatro Al BorgoLe voci di dentro, di Eduardo De Filippo

21-22 dicembre 2019 Piccolo Teatro Al BorgoNatale in casa Cupiello, di Eduardo De Filippo

7-8 dicembre 2019 ArcoscenicoUn matrimonio in bianco, di Luigi Sinacori

4-5 gennaio 2020 Piccolo Teatro Al BorgoMio marito aspetta un figlio, di Mimmo Venditti

25-26 gennaio 2020 ArcoscenicoJude, di Mariano Mastuccino

8-9 febbraio 2020 Piccolo Teatro Al BorgoQuesti fantasmi, di Eduardo De Filippo

29 febbraio-1 marzo 2020 ArcoscenicoAgenzia Speranza, di Luigi Sinacori

14-15 marzo Piccolo Teatro Al BorgoNon ti conosco più

4-5 aprile 2020 Piccolo Teatro al BorgoFilumena Martirano, di Luigi Pirandello

25-26 aprile 2020 ArcoscenicoIl berretto a sonagli, di Luigi Pirandello

9-10 maggio 2020 Piccolo Teatro al Borgo&ArcoscenicoIl Sindaco del Rione Sanità, di Eduardo De Filippo.

Gli spettacoli si svolgeranno tutti nel Teatro dell’ex Seminario, in Piazza Duomo.

Spettacoli: sabato h 20.30 | domenica h 18.00

Per info abbonamenti e biglietti spettacoli cell. 334.5989871

mail: arcoscenicoassociazione@gmail.com

Abbonamento intero 60 euro, ridotto 40.-Biglietto unico intero 6 euro, ridotto 4 euro.

CAVA DE’ TIRRENI (SA). La scomparsa di don Carlo Papa, sacerdote, poeta, testimone attivo del Vangelo

Dopo un doloroso aggravamento del male che lo ha afflitto negli ultimi tempi, alle sette di questa mattina, è spirato don Carlo Papa, popolare ed amato sacerdote che ha tracciato un solco profondo con la sua presenza all’interno dell’Arcidiocesi Amalfi-Cava de’ Tirreni. Allo stato, non si conoscono ancora i dettagli relativi al trasporto e ai funerali.

Nonostante la veneranda età di novantuno anni, don Carlo era ancora molto attivo: ricopriva infatti il ruolo di Rettore della Chiesa di San Vincenzo a Cava, aveva contatti con il missionario Padre ‘Nzusi (ben noto ai cavesi) per una missione di fede e di solidarietà in Congo, era impegnato nelle discussioni e nelle riflessioni determinate dalla pubblicazione del suo ultimo libro di poesie, Percorso poetico.

In precedenza, aveva caratterizzato la sua azione pastorale prima come parroco di Santa Lucia per oltre due decenni, poi come Vicario del Vescovo e come Dirigente dell’Arcidiocesi Amalfi-Cava. Per alcuni anni, ha anche operato come docente presso l’Università della Terza Età, con cui ha conservato sempre affettuosi legami anche in seguito.

Al di là del ruolo, rimane nel cuore dei fedeli e di coloro che lo hanno conosciuto il ricordo dolce e affettuoso della sua figura amabile e paterna, unito alla la stima per il suo spessore intellettuale, evidente nelle sue raccolte poetiche, nei suoi saggi, nelle omelie, nelle conversazioni private.

Raggiunge ora nell’ ”oltre” le sorelle Anna e Rosa, che hanno costituito per tanti anni la sua famiglia di casa, il porto amorevole da cui partiva sereno per le sue azione di pastoralità e di evangelica testimonianza.

CAVA DE’ TIRRENI (SA). La Lucania “profonda”e la sua scoperta attraverso il cinema in un bel saggio della cavese Gabriella Avagliano

Nell’anno di Matera Capitale della Cultura e dei riflettori mediatici sul suo territorio, è opportuno e benvenuto il saggio Tracce del Mezzogiorno nel documentario etnografco – Cultura popolare e trasformazioni sociali in Lucania (1958 – 1971) – Edizioni Area blu, opera prima di Gabriella Avagliano, cavese doc. È una tesi di dottorato, realizzata nel 2015 con la guida del Prof. Pasquale Iaccio, poi adattata a volume autonomo. Operazione sacrosanta, perché i lavori prodotti per titoli di laurea rimangono negli archivi, mentre un libro diventa patrimonio della società.

E questo libro è ricco e stimolante, sia perché offre un panorama completo della produzione filmica relativa alla Lucania e di riflesso al Mezzogiorno, sia perché, nonostante la scientificità della ricerca, non è freddamente nozionistico, ma con una narrazione chiara e coinvolgente offre un viaggio emozionato ed emozionante nella scoperta e riscoperta di un mondo ancora troppo ignorato.

Nello stesso tempo, il saggio mette un punto fermo sull’importanza che in tutto il Novecento ha avuto l’immagine filmica nella conoscenza della cultura e delle tradizioni popolari. Lo studio non si ferma all’immagine, ma la analizza e l’approfondisce fondendo in un’organica sinergia la storia, l’antropologia, la cinematografia, ai fini di uno studio etnografico e non semplicemente folklorico, per recuperare e far conoscere le radici identitarie di tutta una comunità.

È la ripresa di un processo di scoperta che in Italia, in un Regno nuovo composto da territori e popolazioni diversi e ben poco conosciuti, aveva già caratterizzato l’attività intellettuale subito dopo l’Unità, con il realismo letterario dei vari Verga, Capuana, De Marchi &Co., .

Quello che una volta poteva essere fatto dal libro, nel Novecento è stato fatto dal cinema e dal documentario, che però solo in tempi recenti sono stati finalmente considerati fonti basilari per la conoscenza scientifica di una comunità. Se il cinema in questo senso ha avuto una notevole diffusione anche popolare (vedi il Neorealismo del secondo dopoguerra e i suoi epigoni più o meno fedeli), il documentario è rimasto sempre un po’ ai margini, anche quando veniva collegato alle proiezioni nelle sale e di fatto “sopportato” più che amato da un pubblico in cerca di “finzione”.

Fedele all’assunto di inquadrare ogni contenuto in una cornice di più ampio respiro, la Avagliano apre il saggio proprio con una storia del documentario, dalle origini del primo Novecento all’epoca del grande boom italiano e del passaggio da una cultura rurale ad una industriale.

Il viaggio parte dal primo Novecento, mostrandoci subito le contraddizioni politiche che il documentario genera, perché, se fatto per committenza governativa, diventa propaganda, ma se fatto con spirito giornalistico diventa una pericolosa alternativa alla voglia del potere di non mostrare i panni sporchi. Al riguardo, la Avagliano ci fa notare che poi si è sviluppata, pur in tempi più tolleranti, la censura economico-politica, che sosteneva con somme di danaro non i documentari più belli ed efficaci, ma quelli che incassavano di più o che erano segnalati da un’apposita Commissione, dove clientelismo e opportunismo la facevano da padroni.

In questo viaggio non si poteva non citare la produzione della Dora film di Napoli, dove spicca la figura della prima regista donna del cinema italiano, Elvira Notari (con ascendenze cavesi e scomparsa a Cava de’ Tirreni, nella sua casa di via Formosa). Anche la Dora si ritrovò con le spalle al muro perché la realtà napoletana, con tutto il suo corredo di storie di violenza, povertà e malavita, era in epoca fascista proprio la cenere da mettere sotto il tappeto.

Per fortuna, il dopoguerra e la costruzione della nuova Italia repubblicana hanno poi rilanciato l’attenzione sulla realtà, a volte anche sgradevole, dei problemi sociali e della cultura autonoma delle masse popolari. Ed è stata scoperta, quasi come un’isola indigena, la Lucania, con le sue tradizioni arcaiche, la sua visione magico-religiosa del mondo e la sua secolare povertà., divulgate allora alla grande dal successo di Cristo si è fermato a Eboli e dalla “pubblicizzazione” dei Sassi di Matera e della scarsissima qualità della vita di chi ci abitava. Pur senza mai dimenticare la cornice del Mezzogiorno nel suo complesso, proprio sul cuore della realtà lucana si focalizza l’attenzione della Avagliano, che con fotografie e brevi schede ci presenta l’opera meritoria dei grandi documentaristi del Novecento, dal capostipite Ernesto De Martino ai suoi seguaci, in primis Gandin, Del Fra e il compianto Di Gianni, da poco scomparso ed al quale la stessa autrice dedica alla fine del saggio un’intervista ricca di spunti umani, oltre che scientifici.

Proprio i documentari relativi ai riti e alle credenze arcaiche sono la parte più “spettacolare”, ricca di tappe fascinose … I lamenti funebri con le loro teatralizzazioni che erano anche condivisione comunitaria di un fatto e di un’emozione … il taglio delle nuvole per esorcizzare il pericolo sempre incombente dei disastri climatico … la miseria dei Maciari… il colloquio con l’al di là nella possessione di sua zia da parte del “Glorioso Alberto”… il rito coreutico del gioco della falce, a corredo della coltivazione dei campi …. la svestizione del padrone, di tipo carnevalesco, che esprimeva la rabbia atavica dei contadini contro la proprietà, ma nello stesso tempo era uno sfogo non violento e per questo tollerato (Meglio questo che Spartaco, si diceva …) … il rito d’amore dell’inceppata, con il ceppo dello sposo posto davanti alla casa della sposa e da questa portato in casa, segno di legame affettivo ma anche preannuncio di fatiche … il rapimento della sposa nel rito matrimoniale degli Albanesi … il culto mariano, anche un po’ pagano, con gli esempio eclatanti della Madonna di Pierno e di quella del Pollino.

Il tutto è rappresentato in chiavi diverse a seconda della personalità del documentarista e della sua capacità, o volontà, di oggettivarsi nell’immagine: ora il giusto campo lungo che accomuna persone e ambiente, ora il particolare della mano o del volto che esprime una sensazione o un’interpretazione, ora la musica che connota il misterioso, ora il realismo freddo, ora la scelta del particolare più “negativo” capace di bucare il video e dare il messaggio senza mezze tinte.

La ricerca del mondo arcaico assume poi un sapore diverso quando col passare degli anni l’attenzione si sposta sulle novità del boom economico e sullo svuotamento delle comunità del Mezzogiorno, in particolare della Lucania, con un tasso di emigrazione interna verso il Nord industrializzato che lascia nei paesi solo anziani e poche anime di buona volontà.

Alla svolta epocale del passaggio dalla società rurale a quella industriale la Avagliano dedica un buon terzo del saggio, realizzando una carrellata che, se da un lato rivela meno la partecipazione emozionale alla magia, dall’altra presenta interessantissime informazioni sulla gestione mediatica dell’industrializzazione. Le industrie e il governo commissionano moltissimi documentari, per propagandare le trasformazioni radicali che si stanno effettuando nella società italiana, le strutture produttive, le bonifiche, le urbanizzazioni, la nascita di nuovi quartieri e di abitazioni più confortevoli, la lotta all’analfabetismo. Fioriscono non solo documentari, ma anche tanti film e naturalmente si incentivano i talenti, compresi i grandi registi, come Ivens e Lizzani, che, pur non nascondendo i benefici della società industriale, non possono fare a meno di evidenziare anche i problemi di questa “modernità liquida”, come, citando Bauman, la definiva Luigi Di Gianni, che è in fondo il convitato di pietra di tutto il saggio. E, nel cinema, non dimentichiamo gli altri grandi, come Antonioni, Olmi, Lattuada e soprattutto Visconti, autore di quel capolavoro epocale che è Rocco e i suoi fratelli, epopea di una famiglia lucana nella Milano industriale.

Belle le due finestre finali del libro, che l’autrice sembra sentire più suoi, per il calore sottinteso che emana dagli esempi portati avanti in rapporto ai singoli documentari. La Avagliano mette molto in evidenza il ruolo della donna in questa convulsa fase di crescita. Era diventata la dea ex machina di tante situazioni difficili: oltre alle mansioni abituali, doveva ricoprire il ruolo del marito emigrante, adeguarsi ai ritmi della modernità in rapporto ai figli e alle loro esigenze, entrare lei stessa nel mondo del lavoro … del resto, lo sappiamo, il mondo è pieno di donne che hanno fatto la storia ….

La stessa cosa vale per l’intervista a Luigi Di Gianni poco tempo prima della sua morte. L’incontro è stato quasi filiale, ma nello stesso tempo, svelando alla Avagliano i meccanismi del suo lavoro di ricerca e di creatività e i retroscena umani ad essi sottesi, Di Gianni la lancia col cuore verso un mondo in cui comunque non si può fare a meno della ragione.

Alla fine, nonostante la logica imperante del linguaggio di ricerca, la lettura finisce col risultare sempre piacevole e interessante, come quella di un bel romanzo. E nel cuore della Lucania, del Mezzogiorno e del loro ribollente secondo Novecento ci entriamo anche noi. Vuol dire che la Avagliano ha saputo proprio accenderla, quella fiammella …