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“In nome del figlio”, secondo spettacolo dell’Autunno teatrale di Arte Tempra
Un’epopea della maternità in nome della donna.
Ombre danzanti di mani, di braccia, di corpi lentamente si stringono al centro, accompagnate da una musica avvolgente e dolcemente intensa, fino a creare un unico corpo, come di un albero ricco di rami e di frutti. Quelle ombre idealmente prenderanno corpo e anima per diventare madri inquiete, madri gioiose, madri disperate, madri egoiste, mogli amate e amanti, figlie amanti ma forse poco amate, donne in lotta col mondo. Comunque, donne. Donne che raccontano se stesse e raccontano la donna.
E sono state due ore di spettacolare emozione quelle offerte dalla magnifica squadra di attrici del Gruppo teatrale “Arte Tempra”, nella seconda pièce della Rassegna 2017-2018, “In nome del figlio”.
Giuliana Carbone, Brunella Piucci, Luciana Polacco, Manuela Pannullo, Lella Zarrella, Martina Cicco, Antonietta Calvanese, Maria Carla Ciacio, Carolina Avagliano, Danila Budetta, dirette a mano ferma da Clara Santacroce con il suo comunicativo espressionismo e con le sue classiche distoniche armonie, grazie anche alla bellissima atmosfera scenografica creata da Renata Fusco, ci hanno regalato uno degli spettacoli di maggiore respiro e coinvolgimento emozionale della pur ricca storia ventennale dell’Arte Tempra. Tanti frammenti d’autore e d’autrice (da Oriana Fallaci a Erri De luca, da Gibran a Franca Rame, dalla Jodi Picoult a Jacopone…) per creare un’epopea “universale” della maternità, forma e figura di un’epopea della donna in quanto tale.
Le interpreti, prima che con le parole, hanno comunicato e parlato col corpo, con gli sguardi, con le increspature della voce, con i movimenti e le espressioni corali, il che ha colorato e chiarito la forza dei contenuti, tutti ad alto tasso di intensità.
Il cammino prefigurato dalla tessitrice Clara ha un profondo respiro culturale ed umano.
Dopo la formazione del già citato “albero della donna”, il primo frutto è l’accettazione in chiaroscuro della maternità dalla Lettera ad un bambino mai nato della Fallaci: quel bambino che alla madre (una Lella Zarrella convincente nella sua inquietudine) appare come una goccia di vita scappata dal nulla , generando una paura che bagna il volto e i pensieri… eppure quella goccia diverrà mare dolente nel suo cuore. La stessa maternità poi viene accettata e vissuta con gioia, ma la madre è pur sempre e solo una “signorina”, per cui la sua felicità va in contrasto con le ciniche reazioni dei maschi che la circondano e la invitano all’aborto: in questa nuova veste la protagonista” cambia volto, assumendo quello di Manuela Pannullo, incisiva e ironica nel raccontare questo scontro tra ottusità emotiva ed emozione del cuore.
Da qui si creano due fili rossi lunghi tutto lo spettacolo, all’interno dei quali si intrecciano altre storie significative. Il principale è il filo della maternità di Miriam, rimasta incinta come per una folata di vento, fuori dal matrimonio e non del suo promesso Joseph, e come tale passibile di punizione per adulterio. Ma Joseph, per amore, l’accoglie, la protegge, la sposa e la porta lontano a partorire l’amato bambino, che, se per la madre basta che esista, anche se avrà una vita anonima, vita anonima invece non avrà, perché quel bambino è Joshua- Gesù, il cui corpo martoriato sulla croce proprio Miriam-Maria dovrà abbracciare, con strazianti grida di dolore. E dalla giovane gravidanza di Giuliana Carbone-Maria, dotata però della grazia-forza di saper affrontare il mondo, al tragico lamento di Brunella Piucci-Maria sotto la croce, grazie alle parole poetiche di De Luca e Jacopone ed alla consolidata bravura delle interpreti, con annesso physique du rôle, il filo si dipana a frammenti sempre più incalzanti, coinvolgenti, emozionati ed emozionanti. Fino allo svangante finale, con le mani disperate di Maria tese verse in controluce verso l’alto, mentre sullo schermo affiora la moderna pietà di una madre migrante sulla spiaggia tesa verso il corpo del figlioletto appena spirato.
L’altro filo rosso è una proposta veramente intrigante, ispirata al romanzo dell’inglese Jodi Picoult “La custode di mia sorella”, da cui fu tratto anche un famoso film di John Cassavetes. La vicenda è incentrata sulla figura di Anna Fitgerald, programmata “geneticamente” per poter creare una fucina di “pezzi di ricambio” per la sorella Kate, gravemente malata di leucemia e bisognosa di continue operazioni. Il monologo, elaborato dalla sedicenne Martina Cicco con una maturità ed una misura ben superiori agli slanci dei suoi sedici anni, arriva al suo acme quando ad Anna viene chiesto dalla madre di offrire un rene e lei non solo si rifiuta, ma denuncia la famiglia.
E qui, anche attraverso un drammatico incontro-abbraccio-scontro- con la madre (la cui ambivalenza di affetto e prevaricazione ben traspare dalla recitazione di Antonietta Calvanese), viene a galla l’umanità del testo, che permette di vedere il mondo da più angolazioni, da cui si capisce che esistono gesti buoni e cattiverie, ma non persone in assoluto buone e cattive, perché ognuno ha le sue caverne rispettabili e umanamente comprensibili, in cui soffiano venti in tutte le direzioni. Proprio per questo, il romanzo originario ci propone la vicenda proprio da tutte le angolazioni (Anna, Kate, La madre) e, in un efficacissimo colpo di scena, ci fa capire che la custode vera non è Anna, ma proprio la malata Kate, che cerca di proteggere Anna al punto da suggerire lei la denuncia. Poi, alla fine, sempre nel romanzo, proprio Anna morirà in un incidente e il suo rene servirà a salvare la sorella…
Come stimolo e come intensità, non sono state da meno le storie intermedie.
Il suadente e giusto invito di Kalil Gibran, Il profeta, a tutti i genitori di lasciare liberi i propri figli, perché “sono solo archi che lanciano le frecce “i nostri figli non sono i nostri figli ma figli della vita”…
E la mamma migrante che nella sua disperazione di naufraga, efficacemente resa da Danila Budetta, cerca di rassicurare il figlio Farid con la favola del bambino che diventa grande, ma non potrà evitare il risucchio nel cuore nero del mare, per una morte che evoca la terribile immagine-icona di quel bambino migrante morto sulla battigia,
… E la giovane ragazzina dell’Est europeo (dolce e dolente nella bella interpretazione di Carolina Avagliano) che diventa madre per effetto della violenza reiterata di un uomo, ma conserva un disperato amore per il bambino e con lui compie il gesto estremo “di pesciolino nel mare”, ribellandosi alle pressioni della società e di chi la giudica semplicemente una puttana considerandola “inidonea” alla maternità.
E poi, lo straordinario monologo autobiografico di Franca Rame, vittima di uno stupro disgustosamente violento e “politico”, in cui Luciana Polacco, in posizione supina e inarcata, con i muscoli tesi fino allo spasimo, è riuscita a liberare dai precordi del cuore tutto l’orrore di “quella storia” e degli stupri e delle violenze di sempre contro le donne…
Alla fine, davanti al dolore ed alle braccia alzate di Maria, il cerchio del cammino si chiude, con la riformazione dell’albero della donna, della maternità, della vita. Della vita. Ma proprio in nome della sacralità della vita stessa, il cerchio non si può chiudere. Donna è amore di andare avanti…
Per tutto questo, il saluto finale è stato fatto con il volto serio, fissato in una maschera di pensoso dolore. Nessun sorriso, nessuna parola aggiuntiva. Solo l’invito silenzioso di portarsi a casa tutte quelle storie e di guardarsi dentro e intorno, per un empatico “sentire” dalla parte della donna… e magari diventare goccia di un mare futuro in cui le cui acque siano fatte di rispetto e di amore. “In nome dei figli”, ma anche del nostro essere umano… e cercando una buona volta di essere umani …
Pellezzanesi Illustri, al via la prima edizione
PELLEZZANO (SA). Si terrà sabato 1 dicembre presso il Teatro Comunale in via Eroi di Nassirya a Coperchia di Pellezzano la prima edizione de “Pellezzanesi Illustri”. L’evento si terrà alla presenza del sindaco della cittadina dottor Francesco Morra. Saranno insigniti dal prestigioso riconoscimento il cavalier Pietro Aulisio, il prof.dott. Nicola Russo ed il magistrato dottor Angelo Frattini. Interverranno l’onorevole Angelo Tofalo, sottosegretario di Stato, la dottoressa Renata Sessa, giudice consigliere di Cassazione ed il dottor Giovanni D’Angelo, presidente dell’Ordine dei Medici di Salerno.
Alla base del conferimento dell’onoreficenza al cavalier Pietro Aulisio c’è stata la sua abnegazione nel lavoro, il suo spirito di sacrificio verso la comunità pellezzanese in qualità di fondatore dell’Avis di Pellezzano, sollecitando il senso di solidarietà in particolare tra i giovani abitanti del comune.
Nicola Russo è invece un cittadino pellezzanese degno di essere ricordato per il suo impegno ed i suoi meriti nel settore medico: dopo gli studi portati avanti brillantemente e nei tempi richiesti dall’ordinamento all’Università di Napoli ed un lungo percorso di formazione professionale presso l’Istituto Romano di Malattie Infettive, ha guidato per oltre 15 anni il reparto di Infettivologia del “Ruggi”. Un medico con la M maiuscola, un grande esempio, un maestro di vita per le nuove generazioni.
Angelo Frattini, magistrato, è il terzo cittadino pellezzanese a potersi fregiare del titolo di “illustre”. Il suo impegno a tutela dei minori è noto a tutti: dal maggio 2010 a tutt’oggi è infatti sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei minorenni salernitano.
Al museo di Nola asta di solidarietà per la terremotata Accumoli
SALERNO. A coronamento della mostra “Archeosolidale”, organizzata presso il Museo Archeologico di Nola fino al 25 novembre 2018 dal MARIC (Movimento Artistico per il Recupero delle Identità Culturali), venerdì 30 novembre 2018 ci sarà presso lo stesso Museo un’asta di beneficenza, con analogo obiettivo di solidarietà. Il MARIC, associazione nata a Salerno ma con diramazioni in varie parti d’Italia, è infatti impegnatissimo nella corsa finale per raccogliere le ultime risorse necessarie alla donazione di una Casa della Cultura alla cittadina di Accumoli, in via di ricostruzione dopo la distruzione operata dal sisma del 24 agosto 2016 e dalle successive, pesantissime scosse.
Il traguardo è vicino oramai: è stata firmata la Convenzione finale con il Sindaco di Accumoli e si attende solo il la dalla Regione Lazio per cominciare ufficialmente i lavori per il nuovo edificio. Questo, è bene sottolinearlo, può diventare uno dei primissimi segni tangibili della ricostruzione, perché la raccolta per la Casa della Cultura è stata fatta su un Conto dedicato e quindi esterno e più gestibile e controllabile del grande calderone dei fondi a disposizione, troppo spesso imbrigliato da una burocrazia paralizzante.
Nel corso della serata, saranno messe all’asta circa cinquanta opere: pitture, sculture, fotografie, oggettistica, tutte creazioni messe a disposizione dai creativi del MARIC e che già sono visionabili nelle sale del Museo.
L’asta comincerà alle ore 18 e, dopo l’intervento di saluto del Presidente e Fondatore del MARIC Vincenzo Vavuso, sarà gestita da Franco Bruno Vitolo, addetto alle comunicazioni del Movimento.
Piccolo Teatro al Borgo e Arcoscenico: due compagnie diverse, un unico cartellone!
Il 17 e 18 novembre il debutto: “La voce rotta di Napoli”, con regia di Luigi Sinacori.
Questo matrimonio s’aveva da fare …
La citazione manzoniana calza proprio a pennello perché è stato veramente “da Zorro” il segno lanciato dal cartellone teatrale congiunto dello “storico” Piccolo Teatro al Borgo di Mimmo Venditti(circa mille e quattrocento spettacoli, in Italia e anche all’estero!) e della ancora giovane Compagnia Arcoscenico di Luigi Sinacori. Quest’ultimo, a dire la verità, sia pure con nomi e compagini diverse, ha già un discreto avvenire dietro le spalle, con una decina di lavori scritti o diretti ed una quarantina di repliche come attore, ma non ha ancora trent’anni e sta in fase di montante, positiva maturazione.
Dicevamo della forza del segno: crediamo che sia la prima volta che due compagnie, diverse tra loro e operativamente autonome, uniscono i cartelloni, in reciproca sinergia. Il che già è significativo, in un ambiente, come quello cavese (ma certo non solo cavese…) in cui, soprattutto nel settore cultura e spettacolo, ognuno si cura il suo orticello personale senza creare sinergie né osmosi e solo per eccezione l’uno si fa spettatore dell’altro.
La cosa è ancora più significativa perché, pur essendo tecnicamente alla pari nella distribuzione degli spettacoli, il Piccolo Teatro al Borgo di fatto ha realizzato un’importante operazione chioccia. Ha messo a disposizione la propria struttura e collaborazione per le prove e le riunioni, ha offerto visibilità e prestigio, ha aperto la porta a reciproche partecipazioni straordinarie nelle pièce, ha lasciato adombrare anche un eventuale spettacolo realizzato in comune.
Questo non si fa se non si ha fiducia in un gruppo e nelle persone che lo rappresentano. E Luigi e i compagni di Arcoscenico questa fiducia se la meritano tutta, per la passione e la qualità di partenza e la voglia di migliorarsi che manifestano.
Questo non si fa se non si considera il teatro come un campo che non può essere arato e seminato solo un contadino o da un gruppo ristretto. E Venditti da sempre ha sognato e operato per la nascita a Cava di una sala teatrale “vera” e di una sinergia organizzata tra le varie compagnie. Sogno spesso vanificato da fattori ora politici, ora economici, ora semplicemente culturali, ora dalla difficoltà di frenare i protagonismi e far tenere per mano i singoli protagonisti.
Tornando al cartellone comune, esso presenta dieci pezzi, cinque del Piccolo Teatro al Borgo, come sempre legati alla tradizione classica napoletana ma sempre con significativi tratti di originalità e saporiti spruzzi di “vendittismo” (come il prossimo “Costretti a fare Miseria e Nobiltà”, sabato 1 e domenica 2 dicembre). Arcoscenico parte anche da testi consolidati, ma punta alle opere autoprodotte, o con rielaborazione scenica oppure in toto originali e firmate Sinacori, come in quello che finora è il loro lavoro più incisivo, più emozionante e più maturo, Hope fame di vita, che ha esordito la scorsa estate e tornerà in scena il 19-20 gennaio prossimi.
Ed è venuto il gran giorno della partenza: 17 novembre nel Teatrino dell’ex Seminario, in Piazza Duomo.
Luigi Sinacori, Mariano Mastuccino, Gianluca Pisapia, Anna D’Ascoli, Licia Castellano, Federico Santucci, Maria Fiungo, Francesca Cretella… Arcoscenico ha debuttato con La voce rotta di Napoli, incentrato sulle sofferenze e le contraddizioni di una città unica che è tutto e il contrario di tutto, in un collage “sinacorizzato” di pezzi storici, con dominante Eduardo de Filippo, accompagnato da Viviani e Moscato e armonizzato dalle belle musiche della palummella che zompa e vola e della carta sporca di pinodanieliana memoria.
Si tratta di un lavoro di impegno etico e civile, meritorio già per la scelta dei contenuti, ben diversi dagli occhiolini farseschi che nelle precedenti opere di Sinacori diluivano in parte proprio gli spunti più impegnativi e provocatori (la corruzione, la dittatura, l’ipocrisia politica e familiare…). Ma ora Luigi e Arcoscenico sono finalmente impregnati di “Hope” e del salto di qualità che essa ha rappresentato e che ha permesso a loro di fare anche “un salto di hope” rispetto al cammino sognato.
Le prime scene di La voce rotta di Napoli hanno confermato questa volontà e capacità di impegno e di incisività. In apertura, l’avanzata verso il patibolo di una donna dileggiata dalla folla (un richiamo a Eleonora Pimentel Fonseca o a Luisa Sanfelice ai tempi della rivoluzione del ‘99), al ritmo di quella Palummella zompa e vola che in un bel film con Eduardo (Ferdinando Re di Napoli) simboleggiava il sogno della libertà di un pulcinella “ribelle”, che qui, diversamente dal film, poi finisce con l’essere stroncato ed ucciso dal potere, nonostante “non possa essere ucciso perché Pulcinella non muore mai”. Le caverne di dolore del popolo si sono aperte anche negli altri due episodi: l’uccisione, nel secondo dopoguerra, di un “soldatino senza mani”, presunto collaborazionista vista con gli occhi e la presenza di un gruppo di prostitute colte in tutta la forza della loro umanità, con lo stile espressivo in cui è maestro il buon Enzo Moscato.
Poi, in scena un mortale incidente sul lavoro e le sabbie mobili che si aprono nella famiglia della povera vittima: un testo dolente ed intenso, gravido di empatica umanità, interpretato, in un felice “cammeo da connubio”, da un Mimmo Venditti altrettanto dolente, intenso, gravido di empatica umanità, come del resto è nelle sue corde sceniche, sempre pronte a ruotare a trecentosessanta gradi ed a creare ponti con il pubblico.
Nella seconda metà, tutto Eduardo, prima con una comunicativa lettura teatrale della bellissima epopea terra-cielo di De Pretore Vincenzo, con quel ladro accolto in Paradiso, quella simpatia per i più deboli e quella umanizzazione di Dio&Co. che tante polemiche suscitarono a suo tempo nella bigotta Italia anni Cinquanta. Finale con pillole di pensiero eduardiano, con l’azione teatrale che cede il passo all’evocazione di frammenti tratti dalle sue dichiarazioni e dalle sue interviste, con gli attori che a turno si alzavano da una sedia su cui erano seduti di spalle. Tra queste pillole, il famoso e terribile “discorso di Taormina”, in fin di vita, sul gelo umano da lui qualche volta creato nel teatro e col teatro.
Su questa rappresentazione di Napoli e della sua poliedricità si è chiuso lo spettacolo… e se ne è aperto un altro, con Sinacori e Venditti pronti a esaltare la loro “luna di miele” ed anche, perché no?, a difenderla…
In questi simpatici e chiacchieronici e ancora teatrali siparietti finali ai quali ci ha abituati, Venditti lascia sempre la scia di un palco dal volto umano… che poi è l’essenza stessa del teatro.
Era bello vedere sul palco il simpatico flirt tra Venditti e Sinacori, perché si sentiva che forse erano, e sono, i testimoni di una staffetta teatrale che ora comincia solo ad affiorare, anche perché per fortuna il PTB è ancora lontano dal cedere il testimone. Ma, se Venditti e i suoi rappresentano il passato ed il presente futuribile del teatro cavese, forse Sinacori e gli Arcoscenici stanno veramente prendendo la rincorsa per essere spicchi del presente e pezzi importanti del futuro. Il tutto, magari in una Cava dove, dopo le epopee del Teatro Verdi, finalmente potremmo smettere di essere al verde di un teatro…
È stato un debutto che promette interessanti sviluppi. E, anche se più che un matrimonio sembra ancora solo una gradevole convivenza, è probabile che questa “coppia di fatto” faccia dei figli sani… e induca anche altri gruppi ad unirsi. E magari ne venga fuori una “comune”, finalmente …
Insomma, questo matrimonio s’aveva proprio da fare …
Bravi!
Ma qui Manzoni non c’entra più …
Intitolazione a Napoli “Largo Simonetta amberti”
NAPOLI. Domani, mercoledì 21 novembre alle ore 10.00, in Via Maio di Porto, angolo con Via Giulio Cortese,(nei pressi di Piazza Borsa) si terrà la cerimonia di intitolazione di “Largo Simonetta Lamberti, vittima innocente della criminalità organizzata”, uccisa a soli 11 anni dalla camorra il 29 maggio 1982. Alla cerimonia saranno presenti il Sindaco di Napoli Luigi de Magistris, il Sindaco di Cava de’ Tirreni Vincenzo Servalli, l’Assessore ai Giovani e al Patrimonio con delega alla Toponomastica Alessandra Clemente, la mamma Angela Procaccini, i fratelli Simonetta Serena e Stefano Lamberti, gli zii il Prefetto Giuseppe Procaccini e il Prof. Eugenio Procaccini, il Presidente della Municipalità 2 Francesco Chirico, il Vicepresidente della Municipalità 2 Luigi Carbone, gli Istituti d’Istruzione Superiore “De Filippis – Galdi” e “A. Genoino” di Cava de’ Tirreni, il “Liceo Antonio Genovesi”, l’IIS “Nitti” e l’ITTL “Duca degli Abruzzi di Napoli”.
Nel corso della mattinata si terrà l’esibizione del gruppo di musica d’insieme delle classi seconda e quarta del Liceo Musicale dell’IIS De Filippis – Galdi di Cava de’ Tirreni sotto la guida del maestro Giuseppe Ler che eseguirà brani di Mameli, Rossini e Morricone e, grazie alla donazione della Coldiretti Napoli e Aprol Campania, nell’aiuola del largo sarà messo a dimora un albero d’ulivo dedicato a Simonetta Lamberti data la concomitanza della Giornata Nazionale dell’Albero.