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“Un sorriso” di Mario Rondi

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A Mario Rondi, la Rai ha dedicato un video dal titolo “Il poeta che canta gli ortaggi” per Expo 2015. Il poeta bergamasco s’inserisce in un’antica, autorevole tradizione di poeti che cantano l’umanità attraverso un mondo in cui frutti, ortaggi, fiori, ma anche animali, hanno pregi e vizi degli uomini. I suoi versi muovono al riso, ma sempre velato di garbata malinconia. Il suo è un saper guardare o meglio “zappare con le parole” come egli afferma. “L’orto è per me l’emblema della scrittura e della poesia”. Piante che hanno pensieri, affetti, dolori. Lezione che viene da lontano, ad esempio, dal poema in lingua napoletana “Le piante pensanti” di Francesco Antonio Nunziante, (1823) che rifacendosi a Esopo e al suo “morale sapere”, “aspirava e bramava” per sé di esporlo attraverso i “vegetanti”. O come dai versi di Nico Orengo, Toti Scialoja, Vito Riviello. Un genere di poesia, sottilmente ironica, che oggi non trova molti estimatori, confuso e soffocato dalle banalità (anche pecorecce) di comici massmediali. La lirica scelta, “Un sorriso” è letta dallo stesso autore nel succitato video rai. (www.expo.rai.it) 

Un sorriso

-E’ tutto falso – mormora la lattuga,

facendo l’occhiolino al cavolfiore

che, sornione, finge di non capire,

 

ma quello che soprattutto le ruga

resta l’indifferenza nell’ardore

di chi non ha il cuore per lenire

 

con un sorriso una parolina,

una sofferenza, anche piccina …

Mario Rondi

da “Ortolandia”, Genesi, Torino 2010 

Da notare l’uso di terzine (prime due strofe) e di un distico (strofa finale) a rima da schema classico: ABC ABC DD con un’assonanza e una rima al mezzo: cavolfiore/ sornione (vv.2/3) e ardore/ cuore (vv. 5/6). Il metro: l’elegante endecasillabi. Solo undici versi che richiamano l’armonica sostanzialità del sonetto. Poesia godibilmente leggibile. Appare originalmente pregnante l’impiego di “ruga” (verso 4). Il termine, di provenienza tosco-laziale, ha dato origine al nome di Rugantino, nota maschera romana, che bonario spaccone, seppure innocente, sceglie di morire per meritare l’amore della sua donna e la stima degli uomini. Una lezione che non viene colta dal “cavolfiore” che non riesce neppure “con un sorriso una parola” a lenire la sofferenza dell’amorevole “lattuga”.

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Mario Rondi è anche autore di racconti e fiabe. Tra i libri di poesia: “Il vento dei saturni” con introduzione di Maurizio Cucchi (1996), “Il mondo alla rovescia” pref. di Tomaso Kemeny (1999), “Sarabanda” pref. di Vincenzo Guarracino, (2001), “Cabaret” pref. di Sandro Gros-Pietro (2014).  

Quel giorno del ‘93 di Maria Luisa Spaziani a Cava

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da sx Donadio, Spaziani, Vice console greco, Foscari. Biblioteca Comunale di Cava, 8 aprile 1993

E’ morta Maria Luisa Spaziani, ultimo grande poeta del novecento. Non solo cara amica di Montale, conobbe e frequentò i più grandi intellettuali europei. Persino Picasso: in casa sua, dove ebbi il piacere di essere ospite, tra pile di libri sparsi dappertutto anche sul pavimento, faceva bella mostra un ritratto che il grande maestro le aveva fatto negli anni ‘50. Ascoltarla era per me come sfogliare un prezioso manuale di storia della letteratura. La nostra generazione di poeti deve tantissimo ai suoi consigli, ai suoi incoraggiamenti, alle lezioni di poetica presso il ”Centro Internazionale di Poesia Eugenio Montale” di Roma da lei fondato alla morte del poeta e diretto fino ad alcuni anni fa. Fu lei che con convinzione nei primi anni ottanta, di me, tra l’altro, scrisse: “Donadio nel panorama un po’ generico della nuova poesia é una sicura promessa”. Alla Spaziani è legato anche un ricordo che ha al centro la nostra città. Era la primavera del 1993 e il poeta -guai a chiamarla poetessa !- venne a Cava a presentare un mio libro in versi “Per le terre di Grecia”. Memorabile serata, non solo per me, ma anche per i moltissimi che affollarono la sala della Biblioteca Comunale.

Spaziani e Donadio al Centro Montale di Roma 1992

Spaziani e Donadio al Centro Montale di Roma 1992

Ricordo che quando comunicai la cosa al prof. Pino Foscari, il docente universitario era a quel tempo assessore alla cultura, stentò a crederci: “La Spaziani viene qua a Cava?” mi chiese con mal celata meraviglia. Non solo si soffermò lungamente sul mio libro, ma tenne anche una lectio magistralis sulle “donne in poesia” . Si mostrò entusiasta dei portici, specie del borgo Sciacciaventi; davanti alla “Chiesa di Mamma Lucia” ascoltò, interessatissima quanto le raccontai sulle eroiche vicende della nostra concittadina. La serata si concluse a “Vill’Italia”. Elegante ristorante di quegli anni dove oggi, ahimè, troneggia un anonimo supermercato. Ancor più di se stessa, durante la cena, parlò molto di Montale recitandone, a memoria, la nota lirica ”L’anguilla”. Mi promise che sarebbe ritornata: ” Cava è una cittadina molto bella, un gioiellino”. Cosa che però non avvenne. In tutti questi anni ho avuto il piacere d’incontrarla ancora tante volte; per una reading delle mie liriche, al Centro Montale di Roma, ci fu la pubblicazione di una plaquette con opera litografica di Alfonso Vitale. Tanti i ricordi che ho di lei, anche di particolari come quando, a sorpresa, si andò a cena in un ristorante cinese nei pressi della sua abitazione romana. Le tenni segreto che non amo per nulla la cucina cinese. Il monile portafortuna, un elefantino, regalo del proprietario del ristorante, è anch’esso lì tra i miei ricordi come silenzioso testimone di qualcosa d’irripetibile. Ciao poeta Maria Luisa.

“Per la morte di mio padre” una struggente lirica di Emanuele Occhipinti

Emanuele Occhipinti, nato nella splendida Ragusa, è da considerarsi un cavese doc: vive nella città metelliana dal 1974 con un passato da docente di lettere e un eterno presente da poeta.

Per la morte di mio padre

Quando mi fu detto
all’improvviso mi feci
come un filo d’erba
staccato dalla sua radice.
Poi venni senza fretta
stranamente
e ti conobbi per la prima volta
immobile.
Subito non piansi,
ma corsi con la mente
nella tua memoria
nella mia memoria
negli angoli banali
nell’insignificante,
e vi portai la fiamma di una vita.
Sulle tue labbra smunte
l’impercettibile sorriso,
che ignoravo,
pareva che dicesse:
”Scusate del disturbo,
ho finito:
me ne vado”.

Emanuele Occhipinti

da Come un filo d’erba, Demetrio Cuzzola Editore, Salerno, 1982

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Quando tanti anni fa Emanuele Occhipinti mi chiese quale delle sue poesie preferissi, non ebbi dubbi e gli indicai una scelta che oggi riconfermo. Non potrei dire che “Per la morte di mio padre” sia la più bella o anche la più riuscita, ma è quella in cui “si sente vibrare” all’unisono l’uomo e il poeta, indistintamente; dove non c’è spazio né per retorica né per letterarietà (entrambe uccidono il vero poeta); dove i versi emettono flebili e al tempo stesso icastici respiri a demarcare il triste tema dell’estremo doloroso addio. Si legga attentamente questa struggente lirica che credo meriterebbe degnamente di figurare nell’antologie scolastiche: trasuda la mediterraneità palpitante e vigorosa della gente del Sud (non lontana da atmosfere sinisgalliane). “Quando mi fu detto” è lo splendido incipit. Il poeta non chiarisce né tempi né luoghi della ferale notizia: cosa importerebbe chi fu a informarlo della morte del padre e dove fosse in quel momento? Quell’indefinito colpisce violentemente come pietra scagliata “ all’improvviso” e non lascia scampo. E’ accaduto. Ed ecco che il poeta si fa filo d’erba. Non si sente “come” un filo d’erba, ma “si fa” ovvero diventa protagonista della sua vita ora che è “staccato dalla sua radice”. E’ un nascere nuovamente. Definitivamente. E solo ora: “ti conobbi per la prima volta” nell’immobilità ultima. Nella mente passano tanti momenti vissuti, i più banali, insignificanti, ma è ora, e soltanto ora, che acquistano, sorprendentemente, una luce di vita“ la fiamma di una vita” tesa a sconfiggere per sempre la morte. E’ il momento dell’addio: teneramente, discretamente, con “l’impercettibile sorriso,/ che ignoravo” il padre saluta “ ho finito/me ne vado” scusandosi del “disturbo” arrecato. Come da “Congedo del viaggiatore cerimonioso” caproniano.

Emanuele Occhipinti, Ragusa 1934. Ha pubblicato parecchi testi di poesie (ne possiedo solo alcuni: Come un filo d’erba, prefazione di Attilio Della Porta, disegni di A.S. D’Aragona, Demetrio Cuzzola Editore, Salerno, 1982;Fili invisibili Alba Editrice Salerno. 1984; Creature, Loffredo Editore, 1988; Fili invisibili (Ristampa) Presentazione di Luigi Reina, Croce del Sud, 1992; Enandro e Callidia- Diaframma di un amore– Introduzione di Francesco D’Episcopo, Ripostes, 1994), saggi critici su Giuseppe Ungaretti, Pasquale Maffeo, … oltre a pubblicazioni storico-geografiche su Capri, Sorrento, Amalfi.

Una “SERA CAVESE” dei primi anni sessanta di Lucio Barone

E’ una sera del 1964. Al ridotto del Cinema Capitol (oggi rudere indecoroso) viene presentato un libro di poesie “Occhi neri” ed. “il castello” cava de’ tirreni, a firma Rajeta, pseudonimo di un giovane universitario, Lucio Barone. Era stato lui a invitarmi; sapeva del mio amore per la poesia e dei miei primi versi. Ci andai… e il libro è qui, mentre scrivo, fra le mie mani. Rajeta, scelta che rileva l’amore di Lucio per Raito e per Vietri sul mare, suo luogo di nascita, ma egli è stato, ed è ancora nell’amoroso ricordo di noi tutti, cittadino cavese. Lucio Barone ci ha lasciato troppo presto e bene hanno fatto i colleghi giornalisti a intitolare l’ Associazione Giornalisti Cava Costa d’Amalfi “Lucio Barone” .“Occhi neri, un ingenuo, delicato libricino che diventa preziosa testimonianza se non di un “poeta laureato”, ma di un coltivato amore puro e tenerissimo per la poesia. Specchio anche di un’epoca: la prefazione porta la firma di un altro giovane universitario nonché amico di Lucio, Tommaso Avagliano, futuro insegnante di materie letterarie e editore. Sono poesie semplici, acerbe e come tali non immuni da pecche, che però denunciano letture colte: in primis “ IlPorto Sepolto” di Giuseppe Ungaretti. Sarebbe un errore, quindi, da parte mia anche una seppur timida lettura critica: il mio vuole essere solo un pubblico grazie ad un giovanissimo, allora Lucio aveva solo 23 anni e frequentava la Facoltà di Scienze Politiche, per aver lasciato il segno di questo suo amore per la scrittura poetica. Di là da risultati o riconoscimenti. In verità Lucio Barone, nel 1977 pubblicherà un altro libro di poesia “Ritmi di paese” senza prefazione alcuna, ma impreziosito da disegni di Antonio Petti. Non so se ne abbia pubblicati altri. Questi sono gli unici che posseggo. Tra le poesie di “Occhi neri” ho scelto questa brevissima

SERA CAVESE

C’è pace
finalmente
in questo luogo
all’imbrunire,
pace per me
che vago con gli occhi
sulla distesa
di questa città
cinta di monti.

estate ‘63

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Eccola Cava dei primi anni ’60 in una sera d’estate che volge al termine. Durante il giorno, forse una domenica, vi è stata tanta gente “in piazza” come nostra inveterata abitudine e ora al tramonto (all’imbrunire) ritorna la pace e con essa la città ritrova una più genuina dimensione umana: è possibile allora lasciarsi andare a un più intimo sentire e regalarsi con lo sguardo (vago con gli occhi) lo spettacolo di quest’amata città, serenamente distesa, racchiusa come in uno scrigno (cinta di monti). Un bozzetto delicato, realistico e al tempo stesso intimista. Sera Cavese è un ricordare quegli anni, un tracciare un piccolo segmento, parziale e forse ingenuo, che contribuisce però ad annodare il lungo filo della memoria collettiva. La piccola, grande per noi, storia della nostra Cava. E’ anche questo il dovere di chi scrive e di chi ha scritto prima di noi e, mi auguro, di chi ancora vorrà scrivere.

Poemetti per Negrura, ultimo libro in versi di Arnaldo Ederle

Poemetti per Negrura di Arnaldo Ederle

In un’epoca di messaggi dai caratteri limitati e limitanti, Arnaldo Ederle coraggiosamente, sfrontatamente- come solo dei poeti- ci regala con questo suo ultimo lavoro, ben dieci poemetti. Sembrerebbe una mossa ardita, ed è invece mossa vincente. Tema, la Bellezza. Un libro caldo, palpitante di vita, di sole, di armonia: scritto da un autore veronese con tocco, sorprendentemente, da uomo mediterraneo (in alcuni versi si ritrovano atmosfere Sinisgalliane). Si racconta una storia d’amore. Lei, di pelle scura, raccontata, spiata, accarezzata, ma soprattutto scoperta, -o forse chissà persa e poi ritrovata in antiche ancestrali culture onnipresenti- nel suo grido di giovane donna. Il lettore assiste a un rito, un rito che solo la parola, fattasi poesia, può intendere. E il poeta è lì come antico aedo a testimoniare, parte, egli stesso, del tutto: la donna alla fine finirà decapitata¸ma è un catartico rito, un sacrificio di salvezza. Il mondo non è degno della Bellezza, di Negrura-Bellezza. Poemetti questi da forza teogonica laddove l’uomo, il creato intero, partecipa all’evento del farsi, del divenire verso un mondo sognato, dove:

Le stelle buone vedono tutto, ma
non possono muoversi, sono
incastrate nel cielo, punti fermi,
guardano, ogni tanto qualche lacrima
di stella sfregia l’aria cadendo
sulla terra. Più di così le stelle
non fanno, non possono.

Arnaldo Ederle

Da “ Poemetti per Negrura” CFR Edizioni, Piateda (SO) 2013

 

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Solo alcuni versi, dal poemetto “Fabula”. Versi dal respiro lirico. Laddove un’armonia circolare, data dal costante e sapiente uso dell’inarcature (ma/non possono; sono/ incastrate; lacrima/ di stella; cadendo/sulla terra; le stelle/ non fanno) ci regala l’immagine- sonora e visiva- di una danza di stelle. Sono le “stelle buone”. Proprio nel raccontarsi della e nella loro immobilità: (non possono muoversi) si scoprono -esse, emblema del creato – artefici di un ritmo vitale per noi umani, distratti e terribilmente privi di Bellezza. 

Arnaldo Ederle è nato a Verona nel 1936, dove vive. Poeta, narratore, critico e traduttore, ha insegnato Fonologia delle lingue romanze presso l’Istituto di Glottologia dell’Università di Padova in Verona. Corposa la sua bibliografia. In poesia, tra l’altro, ha pubblicato: Le pietre pelose ben osservate (Ferrari, 1965); Partitura (Guanda, 1981), Il fiore d’Ofelia, introd. di G. Raboni (Società di Poesia-Bertani, Milano, 1984), Varianti di stagione prefaz. di S. Verdino, (Empiria, Roma 2005), Stravagante è il tempo (Empiriria Roma, 2009). Molti i riconoscimenti e i premi. E’ stato tradotto in spagnolo, inglese, olandese.