Archivio
ricerca per autore
“San Liberatore” di Alfonso Gatto e commento per l’inaugurazione del “Viale dei poeti” di Vietri sul Mare.
A proposito del “Viale dei poeti” a Vietri sul Mare, non posso che congratularmi con il sindaco e con quanti hanno contribuito alla riuscita di tale iniziativa. Nulla importa se l’idea non è nuovissima (altri paesi hanno fatto cose simili, come ad esempio, il Comune di Ceraso dietro la direzione del critico e poeta Vincenzo Guarracino), resta ampiamente meritoria: 1) Dare “voce “ ai Poeti e alla Poesia; 2) Ricordare i Grandi che hanno scritto sul Comune di Vietri; 3) Nobilitare e rilanciare così e, ancor più, la propria terra; 4) Permettere a tanti, colti o anche “distratti”, di godere, in un posto meraviglioso tra il cielo e il mare, l’odore dei limoni e lo Scoglio della Divina, della “lezione” di quanti furono e, ci auguriamo, possano ancora essere guida nel nostro limitato cammino di uomini. E che dire, poi, di Alfonso Gatto? Tutti lo conoscono o…. forse, pochi veramente? Gatto, per chi non lo ricordasse, ha vissuto parte della sua fanciullezza a Marini, frazione della nostra Città. In molte sue poesie, esplicite o “nascoste”, si ritrovano ampie testimonianze di quegli anni e di quei posti. Forse Cava ha mai pensato di ricordarlo come “cavese”? Con una targa? Una manifestazione? A me non risulta. Come non risulta che siano stati ricordati degnamente altri Grandi che sono stati a Cava e/o hanno scritto su Cava, in primis Bernardo e Torquato Tasso e poi la Craven, Vittoria Aganoor Pompili, il premio nobel Giorgio Seferis (ricordiamo la nota lirica “Ultima tappa, Cava dei Tirreni, 5 ottobre 1944”), il più grande poeta greco vivente, Titos Patrikios (che ho avuto modo di conoscere e di parlare con lui di Cava), Salvatore Di Giacomo (fortunatamente una targa lo ricorda sulla facciata dell’Hotel Scapolatiello), ma anche altri, semmai meno noti. E allora se Cava sonnecchia, ben venga la poetica alba radiosa che si alza dal Comune di Vietri sul Mare.
Di Alfonso Gatto. ho pensato di proporre lo scritto in prosa poetica “San liberatore”. Ovviamente è il “nostro “ San Liberatore, nella valle di Alessia, poco più su di Marini.
E’ uno splendido “quadretto” di San liberatore dei primi anni del secolo scorso (pubblicato in Poesie, Vallecchi 1941). Si legga attentamente. Nessun commento da parte mia. Solo un accenno per la chiusa: “Indirizzivo nella mia carne, dormivo ridente ed intero”. ( Da notare l’elegante gioco allitterativo nei gruppi sillabici ruotanti intorno alla “r“ con una rima al mezzo: Indirizzivo / dormivo ). Il giovanissimo futuro poeta, lì tra i nostri monti, benché intirizzito nel corpo, se ne dormiva con il sorriso sulle labbra, ma ancor più, nei pensieri e nei sogni di fanciullo e godeva del suo sentirsi “intero”, della pienezza di quello che era allora e, immaginava, sarebbe stato un domani. E non è forse bello pensare che tali sensazioni gli siano stati “regalati” dalla nostra terra cavese? Non sarebbe auspicabile (e penso poco oneroso) ad esempio, riprodurre tale poesia e porla nella piazza di Marini o di San liberatore?
Alfonso Gatto (Salerno 1909- Orbetello, Grosseto, 1976) Non voglio aggiungere altro. Mi auguro che qualcuno vada a ricercare sue notizie, la sua opera poetica e anche i suoi scritti di grande giornalista.
Antonio Donadio ricorda il poeta Andrea Zanzotto scomparso a metà ottobre.
Di seguito il “riassunto” di un’intervista da me rilasciata al quotidiano l’Eco di Bergamo (19-10-2011) in ricordo del poeta Andrea Zanzotto.
Ho avuto il piacere di incontrare Andrea Zanzotto in una sola occasione, nel maggio del ‘95 a Roma presso il “Centro Eugenio Montale”, presieduto da Maria Luisa Spaziani. Il poeta non amava viaggiare e raramente si “spingeva” fino a Roma. E quella era un’occasione cui non potevo assolutamente mancare. Frequentavo il Centro da anni, avevo potuto conoscere e frequentare i grandi i poeti del nostro Novecento come Giorgio Caproni, la signora Spaziani, e soprattutto Mario Luzi che “vidi” per più di 15 anni e che nel 1996 scrisse la nota introduttiva al mio libro di poesia “L’alba nella stanza”. Era la prima volta che incontravo Zanzotto. Ricordo quell’incontro, breve ma di grossa forza comunicativa. Uomo di poche parole, discreto, riservato, forse avrebbe anche fatto a meno di questo “giovane collega” che pur si rivolgeva a lui con il dovuto rispetto. Lo chiamai professore, so che se solo avessi usato il termine Maestro, mi avrebbe fulminato da dietro i suoi grandi occhiali. Un suo libro che, uscito pochi anni prima, mi aveva colpito molto era stato “ Filò” scritto per il Casanova di Fellini, pubblicato poi anche con alcuni disegni del grande regista. E sapendo che non amava molto le interviste e soprattutto non amava parlare di sé, “dirottai” l’approccio chiedendogli di Fellini. Fellini era scomparso da poco più di un anno. Mi parve contento e mi rispose: “ Regista geniale, misterioso e magico come – fece una pausa- uno sciamano”. Poi tacque. Mi parve già tanto. Parlare della poetica di Zanzotto con Zanzotto non può che coincidere col parlare del “linguaggio” del suo linguaggio poetico. “Il linguaggio, mi disse, deve ritrovare la sua integrità primigenia e a ciò, oltre ai linguaggi colti, contribuisce il dialetto, specie il petel, quel particolare linguaggio a due, che le mamme trevigiane usano per coccolare i loro piccoli”. Qualcuno, ci fece una foto, sembrò infastidito. Ma non disse nulla. Ovviamente recuperai quella foto. Stava quasi per licenziarmi: mi chiese, cortesemente della mia produzione poetica augurandomi “nuove cose”, ma io non ero ancora contento: “E lei si sente soddisfatto della sua produzione poetica? “ Sembrò stupito da questa mia, forse, sfacciata domanda , ma mi rispose:” Ho avuto sempre la sensazione di aggirarmi intorno a qualcosa senza raggiungerla veramente, leggendo alcune mie poesie, mi è parso di aver toccato quella gratitudine, gratuità che è della poesia. “ Fu già tanto, essersi concesso a quelle mie domande, per un uomo che vissuto ben 90 anni è stato sempre lontano dai riflettori facili o dalle conventicole “pseudo culturali”. Ecco, anche questo mi lascia il poeta Zanzotto: un insegnamento non solo culturale, ma anche etico e politico.
Del grande poeta, voglio solo citare questi pochi versi:
Fiume all’alba
acqua infeconda tenebrosa e lieve
non rapirmi la vista
non le cose che temo
e per cui vivo
Incipit di Fiume all’alba “da “Vocativo”, Mondadori 1957
Andrea Zanzotto (Pieve di Soligo 1921 – 2011). Docente di Lettere, ha vinto il premio Viareggio nel 1979. Uomo schivo e molto riservato. Poeta originale e personalissimo.
“Ottobre”. Vediamo come Rocco Scotellaro, immagina il suo arrivo.
Ottobre
di Rocco Scotellaro
L’estate si trascina
i cardi inariditi
e la mosca pusillanime
le strade sparse di paglia,
il vuoto alle finestre,
il prezzemolo verde ancora
e il garofano nei vasi
ora che ottobre s’impone.
Ottobre è là: quella nuvola nera
attesa sulla collina
piegata dai tocchi della sera.
Da “E’ fatto giorno” Mondadori, 1954
L’arrivo di ottobre magistralmente “raccontato” da Scotellaro. Eccolo Ottobre icasticamente rappresentato in una nuvola nera “attesa sulla collina”. A me piace immaginare che questo quadretto (dai cardi ormai riarsi, alla fastidiosa mosca, al prezzemolo ancora verde, ai garofani fino alla nuvola) gli sia stato ispirato, restandogli negli occhi, dalla sua permanenza presso il Convento dei Frati Cappuccini di Cava posto sulla collina di Monte Castello, dove solo pochi anni prima aveva frequentato la scuola media. Quando scrisse questa poesia Scotellaro, aveva 19 anni. Era il 1942.
Rocco Scotellaro era nato a Tricarico (Matera) nel 1923. Non solo poeta, ma anche uomo politico dalla forte denuncia della drammatica condizione dei contadini lucani a cavallo della seconda guerra mondiale. Mori, stroncato da un infarto, nel dicembre del 1953 a soli 30 anni.
Nel triste decennale dell’11 settembre, ho pensato di ricordare quanto accaduto attraverso una mia poesia scritta dopo poche ore i tragici fatti.
11 settembre 2001
Sangue d’indifese prede
dove passi
né mani mai s’incontrano
invisibili compagni
di sogni e di suicidi.
Niente di diverso
nei lunghi disperati grattacieli illuminati
al millennio che nasce.
Antonio Donadio
Le vittime innocenti dell’11 settembre sono viste come prede impotenti, strette in grattacieli come gabbie dove si vive in migliaia ma senza un vero, umano contatto (dove passi / né mani mai s’incontrano) che non sia quello delle reciproche funzioni.
Un’umanità disumanizzata, un sistema dove tutto partorisce anche l’opposto del tutto (sogni e suicidi).
Niente di diverso: è lo scontro di sempre.
E il nuovo millennio viene “salutato” con terrificanti luminarie (lunghi disperati grattaceli illuminati / al millennio che nasce).
Nessuno spazio alla facile retorica, ma una sofferta denuncia e un grido di dolore non solo per i morti innocenti, ma per l’intera Umanità che sembra non aver imparato niente dalla Storia.
E’ ancora tristemente vero come dice Quasimodo: “ E questo sangue odora come nel giorno/quando il fratello disse all’altro fratello:/ ”Andiamo ai campi”. E quell’eco fredda, tenace, / è giunta fino a te, dentro la tua giornata” *.
* Da “Uomo del mio tempo” in Giorno dopo giorno, Mondadori 1947
Estate. Un augurio di buone vacanze con questa divertente, originale poesia del poeta Vito Riviello: “Un campo di girasoli”.
Un campo di girasoli
a Cortona d’Arezzo
un campo di paraculi
a Cortina d’Ampezzo.
Vito Riviello
Da KuKulatria. Edizioni El Bagatt 1991
Estate. Tempo di svago, di vacanze. Tra le mete più “in” vi è senza dubbio la splendida Cortina d’Ampezzo. Ma chi sono questi fortunati frequentatori? Il poeta comico Vito Riviello in una salace quartina tratta dal suo KuKulatria, la pensa così. A tordo o ragione, non possiamo non cogliere, in un felice gioco di rime ( Arezzo/ Ampezzo) e di consonanze (Cortona/Cortina e girasoli/paraculi), l’ironica, pungente, contrapposizione tra i girasoli della bella Cortona e i …paraculi di Cortina. Quartina che, poi, autografata, Riviello, volle regalarmi in occasione di un convegno che si svolse a Napoli nel 1992. (Vedi foto).
Nota su Vito Riviello
Vito Riviello, nasce a Potenza nel 1933 e muore a Roma il 18 giugno 2009. Riviello s’inserisce a pieno titolo nella grande tradizione italiana dei poeti antilirici, tra il burlesco e il satirico, come Angiolieri, Berni, Tassoni, Basile…. Ironico anche nella vita come lo fu da poeta. Da notarsi, infatti, lo sberleffo rivolto al sottoscritto, nel definirmi, nell’autografo qui pubblicato, non poeta lirico ma poeta “lidrico”.