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In porto la XII edizione del Concorso “Maria SS. Dell’Olmo”: nuovo trionfo della scrittrice siciliana Palma Civello. Ad Antonio Oliviero il Premio “Silvio Albano”
CAVA DE’ TIRRENI (SA). Il Ponte sullo Stretto colpisce ancora …
La XII edizione del Concorso Nazionale di Poesia e Prosa Mariana “Maria SS. Dell’Olmo” indetto dal Convento dei Padri Filippini della Basilica dell’Olmo di Cava de’ Tirreni, ripreso lo scorso anno per iniziativa di Padre Giuseppe Ragalmuto dopo una forzata interruzione, è stata ancora una volta caratterizzata dalla presenza massiccia e di alta qualità di un gruppo di amici e scrittori targati Sicilia. Un ponte ideale, i cui primi mattoni sono stati immessi dalla presenza sacerdotale a Palermo di Padre Raffaele Spiezia, attuale Rettore della Basilica dell’Olmo, e di Padre Silvio Albano, parroco della stessa Basilica fino al 2009, anno della sua precoce scomparsa, gravida di rimpianti e di semi per la perdita di un testimone attivo di Vangelo vivo e l’onda lasciata dal suo fecondo insegnamento pastorale.
I mattoni del Ponte quest’anno sono stati sia quelli “storici”, in primis Palma Civello, Toti Palazzolo, Grazia Condorelli, sia la new entry Maria Rita Campobello, che figurano tra i premiati, sia gli altri concorrenti che, pur senza raggiungere il podio, hanno inviato lavori stimolanti e comunque apprezzati.
Palma Civello, insegnante palermitana in pensione, scrittrice e poetessa di gran vaglia, autrice di testi profondi, problematici e propositivi, ha fatto piazza pulita, vincendo sia la Sezione Prosa che quella di Poesia. A sbancare sono stati il racconto Come una sarta (un “sogno reale per capire limiti e potenzialità”, in cui una celestiale figura ricuce gli strappi e favorisce la scalata verso il cielo) e la poesia Guardo le tue mani, in cui con amore, forza d’animo e fede ed umiltà, si sublimano e si riscattano i nodi che soffocano il cuore e la mente. Il palermitano Toti Palazzolo oramai è un amico fisso della Festa, della Basilica e della Madonna dell’Olmo. I primi di settembre è sempre qui, con il suo sorriso dolce e cordiale: se poi alla torta dell’amicizia si aggiunge un premio letterario, ecco la ciliegina bella succosa. Quest’anno, confermando il successo del 2015, ha meritato con La prima volta, un racconto in cui rievoca il suo impatto, prima emozionale e poi ragionato, con la fi gura di Maria. E palermitana è anche Grazia Condorelli, terza nella Prosa con un intenso racconto devozionale che parte dalla guarigione sperata e pregata di suo figlio da una grave forma di malattia.
A completare il poker di Sicilia, la new entry Maria Rita Campobello, insegnante in pensione, poetessa, scrittrice e blogghista della fede, proveniente da quel di Messina. La sua prima volta qui al Concorso è stata sorridente come i petali di vita da cui si lascia profumare, limpida come una goccia di Madre Teresa e calda come un cuore che vuol essere messaggero di sole. Con la poesia Madre di Dio, ha fatto rivivere i segni celesti della divina maternità e gli emozionati silenzi dell’anima di una donna che sente pulsare nel suo ventre una nuova vita ed il palpito dell’eterno.
Sul podio, oltre ai segnalati speciali Maddalena Della Mura, di Maiori, e Josefina Citro, di Mercato San Severino, è salito anche un cavese, il prof. Giuseppe Siani, già plurivincitore nelle prime edizioni del Premio, che con la poesia La Messa (non) è finita, classificatasi seconda, ha consacrato in pieno il tema di quest’anno, Maria Madre dei nostri giorni, immaginando una scena terribilmente attuale di eterna Pietà: il sacrificio di Cristo che rivive in quello di Padre Ravel, sgozzato sull’altare a Rouen, la Madre dolente che piange il figlio crocifisso, cioè sempre Maria, madre universale di ieri e di oggi.
Padre Silvio Albano, che nonostante la scomparsa rimane una delle luci sempre vive della Basilica, ancora una volta è stato “presente-assente” nella consegna del Premio a lui consacrato fin dal primo anno dopo la sua scomparsa e dedicato a testimoni attivi di evangelica fraternità.
Il Premio quest’anno è toccato ad Antonio Oliviero,generoso collaboratore della vita della Basilica, tenace ed appassionato promotore di gruppi di preghiera, attiva e responsabile guida mariana, testimone e attore di concreta solidarietà.
Antonio Oliviero, nato a Cava de’ Tirreni nel 1939, nella prima fase della sua esistenza è stato un brillante operatore commerciale e un fotografo di gran successo. Dopo un momento lungo di dolorosa crisi esistenziale, ha trovato nuova linfa nella conversione a Maria ed in particolare a Medjugorje. Si è distinto nella formazione e gestione di gruppi di preghiera, nell’organizzazione di numerosi viaggi come guida mariana, nella realizzazione di La nostra Medjugorje, un libro dedicato al suo rapporto con un altro Padre storico della basilica, Padre Giuseppe Lando. Il Premio gli è stato assegnato soprattutto per la raccolta di fondi ai fini della realizzazione di una condotta d’acqua corrente a beneficio della Casa di Riposo per anziani di Ljubuški, diretta da Suor Paulina Kvesic, con la quale Oliviero ha stabilito un filo diretto di solidale amicizia, a nome suo e dell’intera collettività metelliana.
Alla fine della premiazione, avvenuta domenica 4 settembre nella Basilica dell’Olmo, abbraccio generale con i giurati-lettori di VersoCava presenti o assenti (Maria Alfonsina Accarino, Lucia Antico, Lucia Criscuolo, Maria Teresa Kindjarsky D’Amato, Emanuele Occhipinti, Rosanna e Teresa Rotolo, Anna Maria Violante e lo scrivente, che ha fatto anche da conduttore). Quindi, tutti uniti prima intorno alle classiche foto ricordo, e poi accanto a un succulento buffet offerto da Antonio Oliviero per condividere la gioia del Premio Albano.
A dominare, almeno nel corso della serata, è stata, come lo scorso anno, la ricerca di limpidezza e di purezza del cuore evocata dallo spirito giubilare, quella che permette appunto di giubilare con limpida gioiosità e di fare di ognuno di noi una goccia dell’Oceano d’amore auspicato da Madre Teresa, per felice coincidenza proclamata santa proprio nel giorno della premiazione.
Con queste premesse, l’appuntamento al prossimo anno è d’obbligo, con la speranza di una ripresa totale di quel volo che era stato interrotto bruscamente per qualche anno e che pure aveva stabilito una ampia rete regionale e nazionale per il Concorso.
Già così, tuttavia, il Concorso, con la luce “filippina” della Basilica, ha gettato semi e ha prodotto alcune di quelle gocce che, per dirla con madre Teresa, ci distinguono dalle lordure del mondo e ci permettono di risplendere della Bellezza, quella con la B maiuscola di Bacio dell’Amore. E non è poco …
Quasi quaranta … e li mette in mostra. Il Piccolo Teatro al Borgo di Mimmo Venditti festeggia un gran compleanno con un’esposizione e sette spettacoli
CAVA DE’ TIRRENI (SA). L’Italia in scena al Theatre résidence Palace di Buxelles… Nel cartellone, Luca Ronconi con Goldoni, Renzo Giovampietro con Leopardi, Laura Betti con Pasolini, Carlo Cecchi con Pirandello… e il Piccolo Teatro al Borgo di Cava de’ Tirreni con Scarpetta. E, come direbbe il buon Peppino, ho detto tutto.
Essere i quinti di cotanto senno, in una manifestazione internazionale, è di per sé una patente di qualità e di rappresentatività. L’evento, avvenuto alla fine del secolo scorso, è sicuramente una delle ciliegine più succose di una torta bella grande: quella dei primi quaranta anni di vita del Piccolo Teatro al Borgo di Cava de’ Tirreni, fondato nel dicembre 1976 da Mimmo Venditti, che allora già da circa vent’anni calcava le scene, e da un gruppo di amanti appassionati del teatro, molti dei quali reduci anche loro dal GAD, (Gruppo Attori Dilettanti), fondato negli anni Sessanta, che è stato in qualche modo il ventre uterino del futuro Piccolo Teatro.
Da quel lontano e vicino 1976 (come passano in fretta i decenni!) la formazione è cresciuta, si è radicata nel territorio, si è fatta apprezzare in campo nazionale ed anche in campo internazionale (Belgio e Austria). Lo testimonia il cartellone (un’immagine dell’Italia e di spicchi del Centro Europa, con bandierine e didascalie) che campeggia nella Mostra celebrativa dei primi (quasi) quarant’anni, esposta nel Complesso di Santa Maria al Rifugio dal 20 al 28 agosto e corredata da un éxploit di sette spettacoli diversi in nove giorni tratti dal suo repertorio classico, ispirato ai grandi del teatro napoletano (De Filippo e Scarpetta) e integrato da testi dello stesso Mimmo Venditti, tra cui la plurirappresentata commedia Mio marito aspetta un figlio.
È stata un’emozione entrare nelle sale espositive tutti insieme, nel momento dell’inaugurazione, avvenuta alla presenza del Sindaco Vincenzo Servalli e di altri prestigiosi esponenti della Giunta e dell’Amministrazione. Da una parte, la vista ariosamente scenografica di storici oggetti di scena (tra questi, gli eduardianii fuochi artificiali de Le voci di dentro e il famoso presepe di Casa Cupiello) e delle fotografie e locandine di una vita, testimoni di una presenza viva nei cartelloni di tutta Italia ed anche, come si è detto, di Austria e Belgio.
Dall’altra parte, il sorriso compiaciuto degli storici attori-amici del Gruppo presenti all’inaugurazione, il PTB doc Matteo Lambiase in testa, punta di un iceberg foltissimo, comprendente i tanti PTB di ieri e di oggi, che sono poi venuti a vedere e a vedersi (da Raffaele Santoro a Enrico Passaro, da Carmela Lodato a Iolanda Lambiase, e scusate che non possiamo metterci a citarli tutti….), ed anche i familiari collaboratori tecnici di sempre di Mimmo e, naturalmente, anche coloro che, Claudia Scermino–Filumena Marturano in testa, purtroppo sono già volati via lasciando la scia di un caldo alone di affetto accompagnato da un commosso applauso.
In un angolo, dietro, la sala principale, faceva capolino l’allestimento delizioso di un retroscena teatrale, con i vestiti e gli oggetti in bella fila: una stanza non percorribile, vuota di persone e strapiena di ricordi e di un’anima lunga una vita e un’identità.
Al centro di tutti, lui, Mimmo Venditti, il demiurgo attore-regista-scrittore, che del Piccolo Teatro al Borgo è stato ed è Padre, Figlio e Spirito (la santità lasciamola stare….). È stata un’emozione in più cogliere gli spruzzi di emozionato orgoglio con il quale ha presentato al Sindaco Servalli, al Vicesindaco Senatore ed al Consigliere Del Vecchio le immagini storiche della sua creatura, di cui tanto si è compiaciuto, per cui tanto ha sorriso e con cui è riuscito anche ad asciugare qualche lacrima nascosta.
Con i colorati toni ed espressioni che lo caratterizzano, ha raccontato il compiacimento di circa mille rappresentazioni, di cui cinquecento o poco più a Cava ed il resto in tutte le regioni d’Italia e non solo d’Italia. Ha ricordato il piacere di vedere in tante cittadine anche piccole il culto del teatro e la presenza di una sala cittadina e contestualmente l’amarezza per non poter annoverare tra queste la nostra Cava. Qui… un teatro vero per decenni non c’è stato e poi quando c’è stato era troppo piccolo per essere un teatro vero e poi quella sala anche se c’era non si capiva se era di tutti, di nessuno o di qualcuno e poi speriamo che dopo i lavori attualmente in atto ci sarà ancora e sarà funzionale alle esigenze dei tanti gruppi che ad esso si avvicinano…
Venditti ha raccontato della nascita del Piccolo Teatro al Borgo, quando venne alla luce in una piccola sala teatrale al Borgo, presto abbandonata per motivi logistici, e della piccola Odissea che ha avuto in patria per trovare una sede adeguata, fino al 1996 quando il Comune ne ha finalmente concesso una nei corridoi sotterranei della Scuola Elementare Mazzini, dove poi ha potuto prendere vita l’Accademia che tuttora fa da fecondo vivaio per le scene cittadine. E ha parlato della gran consolazione ricevuta da Mons. Palatucci quando concesse stabilmente i locali dell’ex refettorio del Seminario. La sede stabile fu poi revocata da Mons. De Palma, ma in quella sala tuttora è possibile almeno presentare piccole rassegne. E ogni volta, tra un racconto e l’altro, spuntava un nome, grande da sempre nel cuore di Mimmo, quello di Errico Salsano, a suo tempo Presidente dell’Azienda di Soggiorno, che ha fatto da levatrice al momento della nascita e poi tanto ha sostenuto la vita del PTB. Fino alla precoce e dolorosa scomparsa, si stava molto impegnando per dotare Cava di un piccolo ma funzionale teatro cittadino: a lui Mimmo avrebbe dedicato quello esistente, se fosse esistito, e vorrebbe dedicare quello futuro, se esisterà.
Insomma, un fiume in piena, alla Mimmo, ma pieno di tanta acqua corrente e tanti fermenti vivi, alla Mimmo.
Un fiume che ha permesso per decenni di fecondare le rive della Cultura cittadina, creando un ponte con la grande cultura teatrale campana, cercando di trovare una bilancia non sempre facile tra l’hortus conclusus del linguaggio scenico tradizional-popolare e frammenti delle nuove identità, stimolanti e vitali, ma non sempre di facilissima digestione (vedi il tentativo di andare oltre proponendo un testo di Manlio Santanelli).
Comunque, in tanti momenti della sua storia il PTB ha saputo essere fortemente rappresentativo della nostra cultura e della nostra identità, perché ha messo in scena ed ha esportato testi di qualità con spettacoli che hanno trovato tanto consenso in città ed in regione e tanti apprezzamenti nelle tante sedi di rappresentazione nazionali e oltre.
Con la sua vita e la sua presenza, il PTB è stato, ed è, un inno al Teatro stesso ed alla sua benefica funzione sociale che lo caratterizza fin dai tempi della sua nascita nell’antica Grecia, quando era la voce e coscienza della polis.
È la sua magia, la magia di un luogo dove a sala piena i polmoni di un attore perdono ossigeno ma il cuore si ingrossa a dismisura, dove tutto è finto ma niente è falso, perché è la vita che lo genera e gli dà colore e calore per cercarvi meglio anche il suo stesso senso. Come diceva quel tale, il cinema ti fa ricco, la televisione ti rende famoso, ma il teatro ti fa bene. E il Piccolo Teatro al Borgo alla città ha fatto tanto bene, anche quando la città non gli faceva del bene.
E gli auguriamo, e ci auguriamo, che in occasione della Festa del Cinquantenario il bene si sia finalmente trasformato “in meglio”. Cin cin!
Gli angeli della natura volano ancora: Forestale, Protezione Civile e volontari salvano dall’incendio Monte Finestra e Monte Santangelo
CAVA DE’ TIRRENI (SA). Non chiederti solo cosa gli altri possono fare per te, ma anche cosa puoi fare tu per gli altri: è questa, per quell’animale sociale che è l’uomo, la regola base di una convivenza civile e solidale, che esclude la santificazione del proprio ombelico, ma lo allunga in una rete di forza e condivisione.
È proprio grazie a questo sano principio che la Valle Metelliana si è salvata da un disastro ambientale il giorno di Ferragosto, in cui vanno in ferie tutti ma non i criminali piromani, che per l’occasione hanno dato fuoco all’ampio bosco che regala il verde della bellezza e l’aria della salute alle pendici di Monte Finestra e Sant’Arcangelo.
Le scintille hanno attecchito in mattinata, intorno alle nove, ed il fuoco è divampato verso le dieci. Per fortuna c’era “il guardiano del Contrapone”, alias Antonio Senatore, che quasi subito ha scoperto il pericolo incombente e già alle nove e trenta ha fatto la sua segnalazione al servizio forestale. Prontissimo l’intervento, con relativa mobilitazione della Protezione Civile. Arrivo a volo (è proprio il caso di dirlo) di un canadair e due elicotteri (Regione Campania e Vigili del Fuoco); contestuale l’allestimento nell’ex Velodromo di sant’Arcangelo di una grande vasca per il rifornimento di acque per i mezzi di soccorso, sotto la guida del luogotenente Matteo Senatore e del responsabile delle squadre A e B, Felice Sorrentino. Si è formato così un efficace schieramento a squadra delle forze istituzionali intercomunali, del Corpo Forestale di Cava e dei Volontari della Protezione civile, ai quali si sono aggiunti i volontari del Contrapone, mobilitatisi per dare una mano alla salvezza del loro territorio.
Lavoro febbrile e traguardo raggiunto in poche ore. Nel medio pomeriggio elicotteri e Canadair sono ritornati alla base sventolando l’ideale bandiera della missione compiuta. E dai petti di tutti è volato un grande respiro di sollievo. Il pericolo è stato forte, non come quello del 2009, quando l’incendio fu domato solo dopo cinque giorni, ma comunque tale da mettere a rischio l’intera zona boschiva, e forse anche le propaggini dei villaggi, se non fosse stato avvistato e domato a tempo.
Bisogna dire un gran grazie di cuore alle forze istituzionali di servizio comunali e regionali (Protezione civile e Corpo Forestale dello Stato), che hanno compiuto alla grande il loro dovere di servizio. La loro efficienza è comprovata da decine di interventi realizzati con successo negli ultimi anni, oltre che dalla funzionalità dei canali aperti di comunicazione, fortificata dalla recente messa in opera di una App, la SMA Campania, che permette un immediato contatto telematico con le forze di soccorso e che, come ci ha raccontato il volontario Giorgio Monetta, è stata testata in questa occasione con risultati positivi, anche se ad allerta già avviato.
Ancora una volta, è emersa la preziosità insostituibile della collaborazione tra cittadini e istituzioni. Nella protezione dei boschi, per vincere lo scontro tra gli Angeli della natura (come li chiama l’ass. Nunzio senatore) e i diavoli della natura (come si dimostrano i piromani ed anche le combustioni accidentali) sono vitali la vigilanza e la capacità di segnalazione.
Per fortuna i volontari non mancano, e non manca neppure l’esempio massimo, quello di Antonio Senatore, il guardiano, che da quasi mezzo secolo, da semplice cittadino, è lo stimatissimo occhio aperto del Contrapone. I volontari non mancano, ma non bastano mai.
Ci auguriamo che l’episodio stimoli ancora altri cittadini di buona volontà a dare adesione e partecipazione. In fondo, dare una mano, oltre che crescere con e oltre il proprio ombelico, significa proteggere un patrimonio comune. Una cosa nostra, veramente, altro che Cosa nostra….
E magari, con un grande salto di qualità, questa forma di coscienza potrebbe estendersi anche ai tanti fuochi sociali che minacciano di incendiare la nostra società e che invece ci trovano troppo spesso divisi o peggio indifferenti o peggio ancora attenti solo alle cose nostre. Che ne dite? Meditiamo, gente, meditiamo …
“Creativi di tutto il mondo, uniamoci!” È nato il Club dei Folli Costa d’Amalfi che unisce coloro che stanno lasciando il segno del loro personale “sogno di Zorro”
TRAMONTI (SA) e COSTA D’AMALFI (SA). Rosa Maria Garofalo e Angelo Menditto, Maria Mariano, Franca Primicerio e Sandro Lalia Morra, Dina Coppola, Antonietta Mandara e Giuseppe Francese, Raffaele Tagliafierro, Alfonso Bottone, Bruno Infante, Dante De Rosa, Enza Telese e Antonio De Marco: nomi da pazzi, decisamente. Non perché suonino strani, anzi sono caratteristici dei nostri territori e piuttosto comuni, ma perché in comune le quattordici persone a cui appartengono questi nomi hanno una qualità misteriosa ed affascinante, amata e temuta, peccaminosa contro la dea Prudenza, necessaria per la santificazione del dio Sogno. Insomma, parliamo della Signora Follia e a Lei reverenti ci inchiniamo, perché è lei che tante volte ha fatta la Storia, seducendo quel non foltissimo gruppo di esseri umani che, a livello personale e/o sociale, non vuole “essere fatto dalla vita”, ma vuole “farsi la vita”.
Ognuno di questi Nuovi Folli si è caratterizzato perché sta lasciando il suo “sogno di Zorro” attraverso un’impresa particolare, pubblica o privata, letteraria o imprenditoriale, sotto la spinta propulsiva di iniziative di vario genere, della creazione di arte e poesia, della voglia di proporre esempi costruttivi, della capacità di farsi postino d’amore di un territorio tutto da amare, come quello della Costa d’Amalfi.
L’unione fa la forza: ed eccoli riuniti in un Club, fantasioso ed itinerante, appena partorito il 20 luglio scorso nell’incantato Giardino Segreto dell’Anima a Campinola di Tramonti, e poi il 2 agosto battezzato sul cocuzzolo della montagna in una casa in cima al mondo fatta apposto per ammirare ed amare il mondo. È Il Club dei Folli Costa d’Amalfi, appunto. Una squadra di Zorri, insomma. E, per dirla alla Checco Zalone, una squadra fortissimi.
Andiamo uno per uno a scoprirli, questi fortissimi Zorri.
Il Giardino Segreto dell’Anima, dove è nato il Club, deriva dalla trasformazione del vecchio vigneto di casa in una spettacolare oasi a terrazzamento di tipo amalfitano, ricca di centinaia di tipi di fiori e piante. È figlio dei sogni di Enza Telese e Antonio De Marco, che in essa hanno investito amore e coraggio e appassionata apertura al territorio, sviluppando una profumata e colorata sinergia tra la raffinata sensibilità di lei e la caparbietà arabo normanna di lui, che tra l’altro è uno degli animatori più incisivi e presenti di tutta la valle tramontina.
La casa in cima al mondo è il segno del sogno di Angelo Menditto e Rosa Maria Garofalo, due romani di origine napoletana, funzionari di ministeri. Qualche lontano parente di Maiori ha fatto da gancio per il loro matrimonio col territorio, scatenato dall’innamoramento per un rudere sul cocuzzolo della montagna di Novella, in strepitosa posizione panoramica tra due file non interrotte di monti e sguardo sul mare dei Miti. Al momento in cui sono rimasti sotto ‘a botta mpressiunati (prima lui e dopo un po’ di tempo lei, a dire il vero), non c’era neppure una strada asfaltata e di facile percorribilità. E ancora oggi non c’è, ma ci sono una casa bianca, una piccola piscina, un orto tuttosapori, un filo rosso tra il verde i silenzi dell’anima, un piacere a gusto lungo.
E poi, ad avviare il motore c’è lui, Alfonso Bottone, l’Ape Costiera, che ogni estate dissemina iniziative ed eventi da Cetara a Furore, con il suo Festival di ..incostieraamalfitana.it, ricco di presentazioni di libri, dibattiti, mostre, incontri enogastronomici, musica, scoperte di ogni tipo, con una formula che è diventata un marchio e che negli ultimi tempi si è estesa agli interi dodici mesi, con puntate promozionali anche fuori Regione, da Roma a Spoleto.
A completare il primo elenco dei folli fondatori c’è ancora una gran bella fauna.
Maria Mariano, napoletana, vita privata familiare fra venti e sole, in fuga dal caos della grande città, ha realizzato il suo folle volo nel villaggio di Pucara, dove si è rifugiata acquisendo un complesso di edifici d’origine cinquecentesca con stucchi in facciata e tracce di nobiltà. Li ha restaurati con gusto impeccabile, fra scale, scalette, una bella collezione di rose ed un nome di poetiche suggestioni come Pietrarosa. È un rifugio personale, ma anche un’oasi di accoglienza per amici ed ospiti buongustai della vita come lei… e dotati di piedi buoni, perché per raggiungere Pietrarosa occorre farsi prima circa trecento metri in sospeso pendio. Ma la spesa di energie vale ben l’impresa…”.
Franca Primicerio e Sandro Lalia Morra, lei insegnante, lui funzionario pubblico, una volta lasciata ai figli la casa di famiglia in Maiori, hanno stabilito la loro casa dei sogni nel villaggio tramontino di Gete. L’hanno chiamata TraMontiDiVini e basta la parola…. Stalla e cantina, una gustosa produzione del buon Tintore di Tramonti, una sala soggiorno molto familiare, l’antica bandiera del Regno di Napoli, ventole coprilampade ricavate da antichi cappellini per signora, un patio da elegante raccoglimento, piazzale-giardino con fiori, pozzo e alberi da frutta… e naturalmente una vista da sballo sulla vallata tra monti divini…
Dina Coppola è l’anima del Progetto Famiglia Cooperazione Onlus con sede ad Angri. Si circonda di carte, di oggetti di artigianato esotico (per noi) e di grandissima umanità. Sommessamente, senza clamori, aiuta, assiste, incoraggia, coinvolge amici, conoscenti, gente di grande e buona volontà. Per lei ognuno è un fratello o una sorella da sorreggere, accogliere, abbracciare. Vicino, sotto casa, o lontano in paesi di cui si conoscono solo le difficoltà. Che bella la sua pazzia! Della serie “è bello sapere che c’è”…
Antonietta Mandara e Giuseppe Francese, due emigrati da Tramonti, reduci lei dal Reggiano e lui da Varese, hanno unito “in porto” le proprie esistenze nella loro terra natia, in frazione Campinola. Qui saltano sulla nave dei folli, trasformando una dismessa cantina in un’impresa di ristorazione, Cucina Antichi Sapori, che offre il meglio dell’enogastronomia tramontina e amalfitana ed è riuscita a diventare una stella polare per tanti buongustai, anche operatori dei media e artisti di livello nazionale, amanti di tutto ciò che è creativo. E la Cucina Antichi Sapori di gusto e di sapori ne sa creare e ricreare, e come…
Raffaele Tagliafierro, ottenuto il diploma all’Istituto Agrario di Angri, sulla nave dei folli sta imbarcando il progetto di una cantina ricavata dal suo storico vigneto di famiglia per arrivare al più presto alla lavorazione ed alla commercializzazione di due vini con il suo marchio. Insomma, un giovane che vuole rimanere nella sua terra, a lottare con lei, per crescere insieme. La sua è una follia di cui ogni metro quadrato del nostro paese ha oggi terribilmente bisogno, per arare la terra del possibile ed esplorare la giungla intricata dell’apparentemente impossibile.
Bruno Infante, già popolare libraio in quel di Salerno, è un uomo sempre in moto, sia la moto rombante su due ruote sia il moto metaforico della promozione di mille iniziative legate alla cultura e al turismo. Moto dopo moto, ha creato un elastico tra l’esistente (l’Associazione UniverCity, di cui è Presidente) ed il suo grande sogno nel cassetto: vedere realizzato in Costa d’Amalfi e a Salerno un Parco Letterario dedicato al grande poeta Alfonso Gatto. Chi conosce i versi straordinari di uno dei più grandi poeti del secolo scorso, patrimonio di Salerno e dell’intera Nazione, e chi ha avuto la ventura di emozionarsi di fronte alle poesie incise sul Castello di Arechi o dipinte in un vicolo di via Mercanti, può immaginare che dono sarebbe un parco del genere non solo per Salerno, ma per tutto il Paese.
Dante De Rosa, nella vita tranquillo (si fa per dire) dipendente Inail, dopo aver coltivato il sogno della scrittura toccando tasti delicati come la liberazione dell’istinto, l’enneagramma della saggezza o il dramma del commercio di organi umani, è diventato un sagace esploratore dei vizi capitali, con la creazione di una mappa delle nostre deviazioni e della possibile purificazione, con la ricerca gioco per scoprire ognuno di noi di che vizio è e recentemente con la kermesse Vizi in piazza, che è un delizioso gioco di vizi senza frontiere ma nello stesso tempo mette costantemente l’uomo allo specchio per scoprire le sue giungle. Insomma, un folle con la zappa pronto a scavare nel giardino dei vizi per far rifiorire le virtù, non con le prediche ma con la coscienza. Anche lui, chiamalo folle…
A proposito di giardini, dato che gran parte delle iniziative sono legate a giardini di vario genere, sulla barca dei folli il Club sta facendo salire nuovi stimolantissimi soci, per lo più coppie capaci di coltivare il loro amore in un nido di alberi e piante e orti allegati, dal sapore e dai colori particolari. Ed ecco che sono stati aggregati, ricevendo il premio “Giardini d’amore”, Raffaella Mollo e Biagio Simonetti, da Salerno, Lina Morricone e Raffaele D’Andrea, da Castellammare di Stabia, Danilo e Daria Scotto da Vietri sul Mare, Giuseppina Buongiorno e Elio Di Maso da Cava de’ Tirreni.
Per finire, ultimo ma non meno importante, il primo folle acquisito nel Club per esibizione sul campo. Si tratta di Alfonso Carotenuto, poeta tramontino di Roma.
Arte e creatività nel sangue (i Carotenuto della Costiera li conosciamo bene, a partire dal grande pittore Mario), il 2 agosto ha inaugurato la serie degli incontri dei folli, presentando nella Casa in cima al mondo dei Menditto a Novella di Tramonti la sua raccolta di liriche Rumore di parole (Poesia Bonaccorso edizioni, con una bella prefazione di Laura Cociani).
Grazie anche alla calda atmosfera serale di un terrazzo alato e ad un pubblico di amici a cuore aperto, questo rumore di parole, nella conversazione con letture guidata da Alfonso Bottone si è trasformato in una armoniosa musica della mente con spruzzate di emozioni.
Poesie brevi ed incisive, un linguaggio chiaro ed immediato appassionatamente partecipativo e ironicamente distaccato, versi armoniosi di stampo classico senza svolazzi avanguardistici e non alieni da rime ben collocate, una pulita padronanza dell’espressione, tematiche varie e di ampio respiro, che vanno dalla dimensione personale ai nodi sociali del nostro tempo…
Insomma, una raccolta decisamente di buona qualità, con circa centotrenta poesie che si bevono con gusto e nel retrogusto lasciano una scia, anzi il loro segno di Zorro nel cuore e nella mente. Lo lasciano unitariamente, nonostante la divisione in tre parti: la prima è composta da poesie indecenti che pongono tante domande decenti, la seconda da poesie poco serie che pongono tanti stimoli decisamente seri, la terza dalle vibrazioni del mondo degli affetti e sentimenti intimi che contengono implicitamente sia le questioni “indecenti” che quelle poco serie ed erano già anticipate abbondantemente nelle prime due sezioni.
A fare da cemento, infatti, c’è l’identità personale e culturale del poeta. Un’identità costruita sulla strada dei limoni nella sua terra dai sapori forti, fatta di gente che lavora e guarda avanti ed è agganciata alla memoria delle tradizioni secolari, come il Natale di fuochi accesi di speranza nei casolari sparsi di montagna, tra odore di frittelle e suono di zampogne e ciaramelle. Questa identità, costruita sui sogni e sugli ideali di una società che finalmente sembrava respirare da tutti i punti di vista, poi si è dovuta scontrare con l’amara svolta di una realtà che, al di là dei grandi salti tecnologici, è costruita in un mondo sottosopra in piena babele di voci e di frastuoni.
Di fronte a tale contrasto, come di fronte alle tante ferite e anomalie di questo mondo sottosopra, il poeta non ci sta. A costo di essere irriverente, non rinuncia ad andare contro corrente. Non lo fa con lo spirito del bacchettone difensore del tempo passato, ma con l’occhio critico di chi, avendo vissuto il cammino del progresso e della speranza dalla stalla alle stelle, sente dolorosamente sotto i suoi passi gli scricchiolii di una forza in frantumi, di un amaro ritorno dalle stelle alla stalla, una stalla che non può neppure più profumare come una volta..
Il suo sguardo va oltre il personale, insaporito ombelico, e tocca tematiche globali in cui il lettore non può fare a meno di riconoscersi, quale che sia la sua posizione al riguardo. Del resto, la storia ci insegna che l’inferno e il male sono sempre alle porte, con le loro terribili spine e la loro quotidiana e assurdamente reale banalità Anche per questo l’animo del poeta sussulta e soffre. Anche per questo viene spontaneo scrivere poesie: non lo si fa solo per coltivare la personale e un po’ narcisistica voglia di esserci e profetare, ma anche per lanciare la propria goccia nell’oceano del mondo e aiutarlo ad essere più ricco e limpido. Non solo la Bellezza, ma anche la poesia può salvare il mondo….
Questi sono solo gli spunti di partenza per i rumori emessi dal nostro Alfonso Carotenuto. Così come sono solo gli spunti di partenza per il cammino dei Folli, che è cominciato nel migliore dei modi e sta gettando le premesse perché il gruppo si arricchisca sempre di più. Del resto, per entrare nel gruppo, basta mandare una mail a giardinosegretodellanima@gmail.com, motivando il senso della propria “follia”.
Insomma, folli e aspiranti folli, è tempo di uscire allo scoperto. Anche la follia può salvare il mondo, non vi pare? Venite a raccolta, venite… e alla fine vi accorgerete che tanti fiori possono ancora fiorire nei giardini dei Folli e quindi nel mondo.
Altro che cose da pazzi… queste saranno proprio rose da pazzi …
- Folli in gruppo con il Sindaco di Tramonti Antonio Giordano
- Da sin. Rosa Maria e Angelo Menditto, Anfonso Bottone
- Angelo Menditto firma l’adesione al Club con la classica penna di gallina
- La firma di Bruno Infante
- Alfonso Bottone presenta il libro con Alfonso Carotenuto
- Alfonso Bottone
- Antonio De Marco nel Giardino segreto dell’anima
- Enza Telese nel Giardino Segreto dell’anima
- La valle di Tramonti in pieno sole