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Sabato 2 aprile intitolazione di luoghi pubblici per il Maggiore Pasquale Capone, eroe di guerra, e per il prof. Giorgio Lisi, insegnante, umanista e giornalista

manifesto-lisi-capone-cava-de'-tirreni-aprile-2016-vivimediaCAVA DE’ TIRRENI (SA). Dopo l’intitolazione ufficiale all’architetto prof. Benedetto Gravagnuolo del viale che costeggia il Trincerone, dopo la cerimonia dedicata a due colonne del dopoguerra come il Sindaco Gaetano Avigliano e la prof. Maria Casaburi, terza puntata della serie di cerimonie, convegni e scoprimento delle lapidi in attuazione delle delibere stabilite fin dal novembre 2014, nell’ultimo periodo della sindacatura di Marco Galdi, dalla Commissione Toponomastica, guidata dall’architetto Alberto Barone.

La commemorazione, avverrà sabato 2 aprile nella bellissima Sala di Rappresentanza del Comune, in onore del prof. Giorgio Lisi e del maggiore Pasquale Capone. Al primo è stata intestata la villetta nello slargo tra via Sala e via Ragone, adiacente all’abitazione in via Sala; al secondo una strada nella frazione Castagneto, dove abitava e dove trovò eroicamente la morte nei giorni convulsi dello sbarco degli Alleati a Salerno che diede alla Seconda Guerra Mondiale una svolta importantissima.

Due personalità apparentemente diverse, ma unite tra loro dal culto del dovere, dal senso di appartenenza ad una collettività e da valori morali che guardavano ben oltre il proprio ombelico.

In attesa di raccontare la cronaca e le emozioni della cerimonia, riportiamo qui i profili e le motivazioni ufficiali che hanno portato all’onore di questo riconoscimento.

Giorgio Lisi (Locorotondo 1914 – Cava de’ Tirreni 1979), coniugando brillantemente la sua originaria identità “pugliese” con lo spirito di un cavese di adozione, durante la quarantennale presenza nella nostra Città si fece apprezzare e amare per le qualità umane e intellettive. Fu appassionato educatore (insegnante di materie letterarie presso il Liceo “Marco Galdi” ed in precedenza presso i Licei di Nocera Inferiore e Amalfi), sagace giornalista (corrispondente dei quotidiani Roma e Napoli notte, collaboratore incisivo e stimolante dei periodici Il Pungolo e Il Castello), elegante poeta (varie sue liriche furono pubblicate da Il Castello), attivo motore della vita culturale e sociale cittadina (coinvolgente conferenziere, studioso appassionato di Dante, coideatore della Lectura Dantis Metelliana, cofondatore del Social Tennis). Ha lasciato interessanti saggi letterari, tra cui ricordiamo: 1876 – La Sinistra al potere, Tasso e Galilei, Il “Sacrificio” di Ulisse, Introduzione allo studio del Verismo, Benedetto Croce nel centenario della nascita.

Pasquale Capone (Salerno 1896 – Cava de’ Tirreni 1943), dopo aver partecipato alla Prima Guerra Mondiale come ufficiale di complemento, partecipò come capitano di artiglieria alla Seconda Guerra Mondiale, combattendo in Africa. Per malattia fu rimpatriato e collocato in aspettativa col grado di Maggiore, nel 1941. Si ritirò nella sua casa di Castagneto a Cava e qui avvenne nel 1943 l’episodio che lo ha consacrato alla storia e gli ha fatto guadagnare la Medaglia d’Oro al Valor Militare.

Visto giungere nei pressi della casa di campagna che lo ospitava un forte drappello nemico che si apprestava a fucilare alcuni civili, già catturati, col solo aiuto del vecchio padre, con armi proprie, apriva decisamente il fuoco contro il drappello stesso impedendo così la immanente tragica esecuzione. Visto cadere al suo fianco il genitore, noncurante del rischio cui esponeva se stesso ed il proprio figlioletto decenne, ultimate le munizioni, offriva ancora al drappello tedesco, che era riuscito a penetrare nella casa, la più strenua difesa finché veniva sopraffatto, strappato al figlio e, solidamente avvinto, trascinato in un bosco vicino ove affrontava fieramente il supremo sacrificio.»

Alla manifestazione interverranno: Il Sindaco di Cava de’ Tirreni, Vincenzo Servalli, il Presidente uscente della Commissione Toponomastica, Alberto Barone, l’ex Sindaco di Cava de’ Tirreni Marco Galdi, lo storico Massimo Buchicchio, l’avv. Luciano D’Amato, ex alunno del prof. Lisi, il Colonnello Riccardo Fambrini, in rappresentanza della Caserma “Pasquale Capone” di Persano, l’Assessore del Comune di Locorotondo Michele De Giuseppe, Pasquale Capone e Adalgisa Sammarco, nipoti rispettivamente del magg. Capone e del prof. Lisi, il prof. Franco Bruno Vitolo, che farà anche da conduttore del convegno che si svolgerà in Comune dalle ore 10 a mezzogiorno, al termine del quale si procederà allo scoprimento della targa prima per il prof. Lisi, poi per il maggiore Capone.

Prevenzione dei tumore e assistenza ai malati: si è costituita l’AAANT, Associazione Amici dell’ANT. Giovedì 31 marzo a Cava i leader nazionali e regionali

CAVA DE’ TIRRENI (SA). A sei mesi dalla presentazione in Provincia, presso il Lido Esercito a Pastena di Salerno, dopo aver gettato i giusti semi organizzativi dell’attività futura ed essersi testata con alcune significative iniziative pubbliche, la sezione AAANT (Associazione Amici dell’ANT) di Cava de’ Tirreni, si è finalmente costituita ed ha gettato le basi per una trasformazione a breve termine in Delegazione Ufficiale.

La formalizzazione, davanti ad un notaio, è avvenuta a Bologna il 5 febbraio, con firma di Eleonora Novelli Gazzotti, Presidente nazionale dell’AANT, che è una costola dell’ANT (Assistenza Nazionale Tumori). Delegata di riferimento della sezione di Cava è stata nominata l’avv. Angela Bisogno, che sarà affiancata dai Consiglieri Ermanno d’Arco, Antonietta Siani, Ciro Faiella, Mafalda Luciano, Pasquale Senatore, Leonilda Luciano, Grazia De Martino, Davide Senatore, Marco Giaccoli, Gianluca Farano. A fare da collante, Carmela D’Amato, coordinatrice provinciale e “madre” dell’AANT di Cava. A stabilire un legame con la sede nazionale, il Responsabile dell’Area Sud-Est, Pierluigi De Michele.

Il Gruppo subito è diventato operativo. Preannuncio in conferenza stampa il 30 gennaio, una settimana prima del “parto”, poi due giorni di prevenzione oncologica (nello specifico, del melanoma)con patrocinio formale del Comune e visita gratuita a sessanta cittadini cavesi il 20 e 22 febbraio. In questi ultimi week end,vendita delle uova di cioccolato (che fa il paio con la vendita di presepi di cioccolato organizzata a Natale con la Cavese Calcio), finalizzata a promozione d’immagine e sostegno economico. Ciliegina sulla torta dei primi passi ufficiali, giovedì 31 marzo, dalle 19 alle 21, presso l’Hotel Victoria Maiorino, ci sarà un meeting “fondante e fondamentale” dei volontari con laPresidente Nazionale della Fondazione ANT Raffaella Pannuti, il delegato di Napoli Oreste Baldassari,ed il Coordinatore nazionale delegazioni Flavio Battistini.

Ma il vero dono nell’uovo di Pasqua, con la nascita di questo Ente, l’hanno trovato i cittadini cavesi e di tutta la Provincia di Salerno, per i quali l’ANT potrà rappresentare un solido braccio armato nella lotta comune contro la formazione e l’aggressione dei tumori.

L’ANT è infatti una Fondazione Grandi Numeri: nata nel 1985, promotrice del Progetto Eubiosia (termine di origine greca che significa “buona qualità della vita”), ha fornito assistenza domiciliare gratuita a oltre 110 mila malati di tumore, anche in fase terminale, e ha offerto 116.000 visite di prevenzione oncologica, sempre gratuite.

Questo grazie a due anime che coesistono in sinergia, la professionalità e la solidarietà, valori che camminano sulle gambe sia di medici, infermieri e psicologi regolarmente retribuiti per garantire qualità e continuità delle cure, gratuite per il sofferente e per la famiglia, sia di volontari, che sostengono la promozione, la raccolta fondi e il sostegno sociale alle famiglie con spirito di gratuità e partecipazione.

Insomma una rete protettiva, che gli amici della Sezione di Cava stanno tessendo con le tre grandi P di Passione, Pazienza e Professionalità, volgendo lo sguardo ben oltre le mura della nostra Città, che del resto è già ben coperta. Infatti stanno gettando le basi per una serie di punti di riferimento a Salerno e nel resto della Provincia, soprattutto nelle zone dove non arriva fino in fondo l’azione delle ASL, rispetto a cui l’ANT si pone colloca assolutamente non in posizione antagonista, ma costruttivamente sinergica.

Ed anche da questo punto di vista le “bandierine” ANT stanno cominciando a sventolare da parecchie delle nostre parti.

Insomma, è un uovo grande quello che sta covando la chioccia ANT. Ma soprattutto è saporito ed energetico il cioccolato di cui è composto. Si chiama “cioccolato della salute”. E della qualità della vita. Eubiosia, appunto. Buon viaggio, AAANT!

Gemellaggio tra l’IIS “Della Corte Vanvitelli” e l’IIS “Galilei” per progettare l’abbattimento di barriere architettoniche a Ravello

CAVA DE’ TIRRENI (SA). In felice connubio tra scuole e istituzioni, è nato un progetto che coinvolge gli allievi geometri della classe IVB C.A.T. dell’Istituto IIS “G.Galilei” sez.”Di Palo” di Salerno e quelli della VD C.A.T. dell’IIS “Della Corte Vanvitelli” di Cava de’ Tirreni, affiancati da numerosi e qualificati partners istituzionali: il Comune di Ravello, la direzione del Complesso monumentale di Villa Cimbrone, la Fondazione Ravello e la SoprintendenzaBAP di Salerno e Avellino.

Si è creato così un bel gemellaggio, decisamente: in parte perché, e non è la prima volta, collaborano gli istituti di due città che spesso si sono contraddistinte per rivalità e scontri astiosi e dannosi, ma anche e soprattutto per la nobiltà dello scopo e la qualità dell’impegno.

Infatti il progetto “gemellato”, partorito il 5 marzo scorso a Ravello, è rivolto a risolvere tecnicamente alcune criticità legate alle barriere architettoniche individuate nel centro urbano e storico della splendida perla della Costiera, dichiarata recentemente e sacrosantemente Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. Si lavorerà prima a Castiglione, poi a Villa Rufolo e Villa Cimbrone: luoghi tra i più stupefacenti del mondo, ma purtroppo pieni di scale e rialzi e finora, per chi ha problemi di motilità, accessibili solo in volo tra le braccia di Superman…

Gli studenti, divisi per piccoli gruppi, svilupperanno i progetti antibarriera con l’aiuto dei docenti di Progettazione-Costruzione e Impianti, l’arch. Rosita Carbonaro per l’IISGalileo Galilei e l’Ing. Giuseppe Giannattasio per l’ IIS “Della Corte-Vanvitelli”.

L’iniziativa è stata presentata ufficialmente a Ravello, allo spettacolare Auditorium Nyemeyer, con la partecipazione dei rappresentanti delle istituzioni, il Sindaco di Ravello Vuilleumier in testa, dei sottoscrittori del protocollo d’intesa, dei dirigenti Franca Masi (Della Corte Vanvitelli) e Emiliano Barbuto (Galileo Galilei), ed ovviamente dei ragazzi e dei loro docenti Rosita Carbonaro, Giuseppe Giannattasio, Ferdinando Angrisani.

È una opportunità formativa scuola-lavoro, di grande livello. Gli studenti potranno migliorare le proprie conoscenze tecniche, le abilità operative, le metodologie specifiche. Capiranno da vicino i disagi e le necessità dei disabili, oltre che le potenzialità di fruizione degli spazi urbani. E impareranno a sentire la responsabilità, a cooperare con i docenti e nei gruppi di lavoro, a sentirsi cittadini attivi, capaci di collaborare con le istituzioni ed offrire un contributo per risolvere problemi che vanno oltre il proprio ombelico.

E ora… al lavoro! Speriamo di salutare al più presto i primi “abbattimenti” di barriere. Ognuno sarà un ponte fisico in più per tante persone, ma anche un mattone giovane in più verso la formazione di una coscienza nuova e tutta protesa verso l’inclusione e la solidarietà.

Dalla musica al trapianto, fino al lungo addio. Storia di Antonio Iannone, pianista dalle ali tarpate

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Al centro dell’elegante salotto di casa sta ancora lì, come in un trono lucente d’affetto e d’amore, il pianoforte al quale Antonio, e con lui la sua famiglia, avevano affidato i sogni di una vita. Quel pianoforte su cui aveva preparato le note di speranza dei suoi primi concerti, da solista e col fratello Ivan al violoncello. Quel pianoforte dove aveva registrato la sua prima “intervista” televisiva, realizzata per Quarta Rete dal compianto Raffaele Senatore, che era venuto a scoprire un talento emergente di cui già aveva sentito tessere le lodi. Quel pianoforte che aveva chiuso, senza più riaprirlo, dal momento in cui aveva scoperto la grave malformazione cardiaca che gli stava tarpando le ali e che poi, progressivamente, lo ha strappato a questa vita, fino alla scomparsa, avvenuta il 24 febbraio scorso, a soli quarantanove anni. Quando aveva scoperto il problema al cuore, ne aveva solo diciannove!

Dopo la formazione privata, prima con la mamma poi col Maestro Massimo Bertucci del Conservatorio di Musica “S. Pietro a Maiella”, aveva già maturato ampiamente il decimo anno di pianoforte,che però non ha mai voluto ostentare né completare, in parte per l’acuirsi dei problemi di salute, in parte per una lacerante ripicca verso quella vita che stava rifiutando l’amore che lui le donava.

E dire che al momento della malattia era al massimo della gioia: aveva terminato brillantemente il corso degli studi superiori al Liceo Scientifico “Genoino”, frequentava con merito l’Università degli studi di Bologna, e al Conservatorio stava completando la prima fase della sua scalata al monte dei sogni. Trasmetteva le sue emozioni non solo nelle note musicali ma anche nei versi intensi delle poesie che amava scrivere e che gli avevano dato anche la bella soddisfazione di un podio ad un Concorso Nazionale giovanile. Era fidanzato, molto innamorato di una ragazza, che poi lasciò per amore, per non costringerla a sacrifici duri accanto a lui. E godeva del calore di una famiglia unita e ricca di valori.”

Con poche, ma significative parole, ci rievocano così l’inizio dell’odissea di Antonio Iannone, lunga trent’anni, Papà Gregorio Iannone, originario di Botricello in Calabria, direttore amministrativo della Scuola Media Giovanni XXIII di Cava, Mamma Annamaria Santoriello, pensionata, insegnante di pianoforte e già docente di educazione musicale presso la stessa Scuola Media “Giovanni XXIII”, ed Ivan, il fratello minore, violoncellista, docente di violoncello presso il Liceo Galdi-De Filippis di Cava e primo ed unico partner di Antonio.

Mamma Annamaria, con un gesto dolce e delicato, come una reliquia dell’anima, ci porge il biglietto che il Maestro Bertucci ha inviato in occasione della scomparsa di Antonio.

Nella mia lunghissima carriera didattica, ho sempre considerato i miei allievi come figli. Antonio era sicuramente uno di questi, anzi, ancora di più, considerando le vicissitudini per la sua salute.

La sua improvvisa, immatura, terribilmente ingiusta scomparsa ha lasciato in me un immenso, indescrivibile dolore, mettendo sempre più in rilievo la fragilità umana. Ho avuto il piacere di seguire questo ragazzo sin da piccolo ed in questo lungo percorso didattico ho riscontrato una grandissima maturazione sia tecnica che musicale che gli hanno permesso di raggiungere altissimi livelli ed affrontare e dominare importanti composizioni di enormi difficoltà. Il suo ricordo rimarrà sempre vivo, indelebile nei miei pensieri.

Lo legge con amorosa lentezza: è il segno doloroso di ciò che poteva essere e non è stato.

Dopo la lettura, il silenzio del rimpianto …

E poi ritorna, come è giusto, la memoria viva di Antonio.

C’è ovviamente una tristezza profonda nei toni della rievocazione di Papà Gregorio e Mamma Annamaria, vissuta però con la dolorosa serenità di chi ha donato tutto l’amore, il tempo e il cuore possibili per sostenere la lunga lotta per la sopravvivenza di Antonio.

Appena avemmo la certezza della diagnosi e la consapevolezza della sua gravità, lo facemmo ricoverare al Policlinico di Napoli, dove ci suggerirono di farlo operare in un grande istituto specializzato. Fummo indirizzati a Houston: si prese cura di lui niente meno che il Dottor Denton Cooley, il celebre chirurgo che era stato protagonista dei primi trapianti negli anni ’60, dopo le esperienze pionieristiche di Christian Barnard. Non ci fu bisogno del trapianto. Anzi, Gli interventi e le cure avevano ottenuto un effetto stupefacente: Antonio sembrava rinato e stava accarezzando di nuovo la speranza di riprendere il cammino dei suoi sogni. In fondo, aveva solo ventiquattro anni.

Purtroppo, la ripresa non durò molto. La cardiomiopatia tornò ad imperversare, ma stavolta ci accorgemmo che non era necessario tornare negli Stati Uniti, perché in Italia si era formato un Centro specializzato di altissima qualità, a Pavia, guidato dal dottor Viganò. E qui, nel febbraio del 1996, si sottopose al trapianto. L’operazione alla fine riuscì come doveva, ma dopo un duro travaglio e la necessità di interventi ulteriori dovuti a problemi emorragici ad un polmone. Anche il decorso successivo non fu privo di problemi, perché l’organismo era comunque minato, troppo per accogliere completamente e senza problemi un cuore nuovo. Si sviluppò così una forma di rigetto cronico, che rendeva necessario un controllo permanente e una nuova attesa per un ritrapianto di cuore. Ci trasferimmo allora a Pavia, padre, madre e figlio.

E ci siamo rimasti quasi dieci anni.”

Avendone la possibilità, sia Papà Gregorio che Mamma Annamaria anticiparono il pensionamento. Ed affrontarono la nuova odissea, sempre con il cuore aperto verso il cuore traballante di Antonio.

Lui si sottoponeva di buon grado a tutte le cure e tutti i controlli. Lo chiamavano affettuosamente “il paziente Antonio”… Nel 2008 arrivò un’altra mazzata: un pesante infarto che portò poi alla necessità di un intervento di angioplastica. Ma anche a questo i dottori seppero mettere una pezza. E nel 2014, relativamente rassicurati, siamo tornati qui a Cava, supportati dall’amore della famiglia del fratello Ivan e degli amatissimi nipotini. Ma negli ultimi tempi l’organismo ha ceduto di nuovo: un aneurisma ascendente dell’aorta, una nuova crisi, il ricovero all’Ospedale di Salerno. E….

E in quella sospensione di parole si sente il vuoto della mancanza, il sale su una ferita destinata a sanguinare.

Non è facile riprendere il discorso…

Eppure riprende.

Comunque, ci teniamo a dire che in tutta questa odissea non ci sono mai mancate la vicinanza e l’assistenza della sanità pubblica, che ci ha sostenuti anche quando siamo andati negli USA. E la qualità degli interventi e delle cure è sempre stata all’altezza. In fondo, hanno regalato ad Antonio trent’anni di vita non facilmente ipotizzabili al momento della diagnosi. Ed a noi hanno regalato la possibilità di goderci un figlio dolcissimo, intelligente, sensibile. Un figlio d’oro…

Un nuovo, leggero silenzio, poi ci indicano un armadio.

Ecco: lì dentro c’erano vestiti eleganti: giacche, pantaloni, maglioni, tutti di alta qualità. Antonio soprattutto negli ultimi tempi si era lasciato un po’ andare, avendo difficoltà oggettive e soggettive a costruirsi una quotidianità alternativa. Ma aveva continuato a comprare capi di abbigliamento di lusso. Che non ha mai indossato. Mai. Sempre vestito casual, quasi francescano. Diceva che li avrebbe indossati, un giorno. Una scaramanzia, una seconda vita tutta immersa nel sogno, il segno di quella vita che avrebbe voluto vivere e che gli è stata negata …

Arriva la telefonata che a Botricello, paese natio di Gregorio, è stata celebrata una Messa per Antonio, con la chiesa piena. Così come era piena la chiesa il giorno delle esequie, qui a Cava.

Ci vogliono bene…. Gli volevano bene… Gli vogliono bene…

Ci salutano con un silenzioso sorriso malinconicamente sereno. Con la consapevolezza di aver fatto tutto e di aver comunque ricevuto tanto, ma anche con il necessario silenzio della mancanza. In fondo, se esistono termini per definire come orfano chi perde un genitore e come vedovo chi perde un coniuge, per chi perde un figlio non ci sono parole …

Per la prima volta commemorata ufficialmente la strage del treno della morte (3 marzo 1944): calde emozioni durante la Messa solenne e l’ incontro con gli studenti

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Nella notte tra il 2 e il 3 marzo del 1944 il treno merci 8017, carico di oltre settecento persone, diretto da Battipaglia a Potenza, si fermò sotto la Galleria delle Armi, prima di giungere alla stazione di Balvano. Quella galleria, lunga quasi due chilometri, per effetto della fermata e per la scarsa qualità del carbone, si riempì in poco tempo di monossido di carbonio, trasformandosi in una camera a gas e uccidendo la quasi totalità degli occupanti, compresi i macchinisti.

I viaggiatori erano prevalentemente cittadini comuni, provenienti da una fascia urbana che si estendeva dal napoletano a Battipaglia, persone che si adattavano a viaggiare stipati in vagoni merci per andare a Potenza a procurarsi da mangiare, a barattare pochi averi in cambio di cibo, ormai introvabile, per le proprie famiglie. Persone che vivevano nella miseria prodotta da una lunga e tormentata guerra, passate però alla storia come contrabbandieri e delinquenti da dimenticare presto. Da qui il silenzio che è piombato sulla tragica vicenda, su quello che ha rappresentato un lacerante dolore solo privato, mentre questi morti a pieno titolo si possono e si devono considerare vittime civili di una guerra non ancora finita e come tali meritano il giusto tributo della memoria.

Per la prima volta, dopo settantadue anni, Cava de’ Tirreni ha ufficialmente commemorato la strage, in cui morirono oltre seicento persone, delle quali trentacinque erano cavesi.

Giovedì 3 marzo p.v., alle ore 19, presso la Basilica Maria S.S. dellì’Olmo, è stata celebrata una Messa solenne, presieduta dal vice vescovo don Osvaldo Masullo e concelebrata con Padre Giuseppe Ragalmuto, parroco della Basilica, e con don Nicola Mammato, parroco di Maiori, che perso entrambi i nonni materni nella tragedia, da cui si è originata anche la progressiva crisi che ha poi portato alla tomba anche sua madre.

In precedenza, mercoledì 2 marzo, è stato organizzato con un incontro nella Sala del Consiglio Comunale di palazzo di Città. È stato effettuato di mattina per favorire la trasmissione agli studenti di un episodio che fa parte della storia non solo locale ma nazionale e oltre, se si considera sia che è inquadrabile nei primi tempi del governo Badoglio, quando ancora il Paese era diviso in due e la guerra infuriava nell’Italia del Centro Nord, sia che il nostro territorio è stato teatro dello sbarco degli Alleati in Campania e della battaglia di Salerno e Cava che sfondò le prime difese dei Tedeschi.

La conduzione è stata affidata allo scrivente Franco Bruno Vitolo ed a Patrizia Reso, che con il libro “Senza ritorno” (Terra del Sole 2013) ha contribuito alla grande allo scoperchiamento della “tomba della memoria” ed ha definito con passione civica e meticolosità di giornalista e di storico il ruolo ed il destino dei cavesi implicati nella strage, non dimenticando ovviamente di ampliare il discorso sulla realtà storica e politica del tragico evento. Il Sindaco di Cava Vincenzo Servalli ha dato ampie rassicurazioni sull’impegno dell’Amministrazione e sull’ipotesi di una targa commemorativa alla stazione. L’Assessore alla Pubblica Istruzione, Paola Moschillo, ha parlato agli studenti col cuore in mano, emozionandosi ed emozionando al pensiero dei tanti giovanissimi morti nella strage e nell’omaggio implicito a tutte le vittime innocenti delle violenze umane.

I momenti clou sono stati ovviamente rappresentati dalle testimonianze. Indiretta, quella di Giuseppe Damiani, figlio di Mattia, una delle vittime, che ha raccontato il vuoto parlante della presenza-assenza in famiglia di un padre che non ha mai avuto la possibilità di conoscere.

Ugo Gentile era il capostazione di Balvano in quel tragico 3 marzo. Con lucida passionalità ha rievocato prima i preoccupati tremori dell’attesa di un treno che non arrivava, poi lo sconvolgimento della progressiva scoperta, infine le defatiganti difficoltà per il recupero del treno e delle salme, lo svangante dolore dei riconoscimenti, la triste diversificazione delle esequie.

Emozioni forti, quindi, sublimate nel finale dalla testimonianza dell’unico superstite vivente, il sig. Raffaele Bellucci, cavese doc, che era accompagnato dalla figlia, Dina Bellucci, impiegata del Comune. Con lucida chiarezza, e confessando i brividi forti del ricordo, ha raccontato come si salvarono lui e il fratello: essendo esperti della zona e delle difficoltà del viaggio, prima dell’ingresso in Galleria ebbero modo di scendere a volo giù dal treno e prendere manciate di neve fresca, che costituirono poi la camera d’aria per conservare le energie ed evitare il soffocamento.

Insomma, una mattinata da non dimenticare, per tanti motivi. Una mattinata che ha lasciato comunque un mattone di storia e di identità nel gruppo di studenti intervenuti e nei loro insegnanti, quasi tutti ancora ignari di un evento di tale portata.

Da dimenticare, o forse “da ricordare”, l’assenza di alcuni istituti scolastici, che non hanno ritenuto opportuno inviare neppure una delegazione. Peccato, anche perché sapevano quello che facevano. Ma ci auguriamo proprio che almeno l’anno prossimo non manchino di aggiungere anche il loro mattone al palazzo della memoria, che è fondamentale per l’identità di una collettività.