Maggio, 2020

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CAVA DE’ TIRRENI (SA). La scomparsa di Ugo Mughini, già Dirigente Agesci e Mani Amiche, scout della Vita e partigiano della solidarietà

Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce: così recita il vecchio, amaro e realistico adagio.

Vi si intonano pienamente la figura e la persona di Ugo Mughini, scomparso all’età non avanzatissima di settantacinque anni, presso l’Ospedale San Leonardo di Salerno, dopo una lacerante odissea post operatoria di circa due mesi, tristemente solitaria, come purtroppo in questi dolorosi tempi di pandemia succede anche a chi col Covid non ha niente a che fare.

Ugo non faceva rumore, ma costruiva “foreste” solide, ora seminando ora facendosene albero dalle radici “armate”. Le costruiva con la forza di una personalità granitica e con l’energia di un’identità etica a prova di piccone, plasmatasi alla luce dei valori più alti del Cristianesimo militante e cementata da un senso del dovere “kantiano”, il tutto iniettato dalla crescita in Seminario, dagli studi classici presso il Liceo “Marco Galdi” di Cava de’ Tirreni, da una formazione culturale rigorosa e di ampio respiro, che traspariva già dal suo linguaggio, colto, raffinato, a volte altisonante, ma sempre preciso ed efficace. E, nel suo retroterra, come dimenticare la vicinanza ad una generazione ruggente, paladina della Cultura e sognatrice di un Mondo Nuovo? Quella stessa generazione di cui suo fratello Achille, storico leader politico di sinistra, è stato protagonista e anche “giardiniere”, nel territorio e non solo …

Già in gioventù Ugo Mughini nella “sua” Cava de’ Tirreni cominciò a piantare “semi di foresta”, come militante, come dirigente, come “testimone”, nell’ambito dell’Azione Cattolica, dell’attività Diocesana e in particolare dell’Agesci dei boy scout e delle guide.

Proprio la divisa dei baldi giovani di Baden Powell ha tracciato per tutta la vita solchi profondi su di lui e gli ha permesso di tracciarne di altrettanto profondi.

Non a caso nel corso della cerimonia funebre don Francesco Della Monica ha delineato la sua figura umana e sociale proprio attraverso la Legge degli Scout. Come è noto, essa chiede di: porre l’onore nel meritare fiducia, rendersi utile agli altri, amare e rispettare la natura, comportarsi con cortesia verso il prossimo, comportarsi con amicizia e cortesia verso tutti e spirito di fratellanza verso i commilitoni, saper sorridere e cantare anche di fronte alle difficoltà, saper rispettare i ruoli gerarchici, essere laborioso, economi, puri di pensieri, parole e azioni.

Un ritratto del tutto congruente. Chi ha conosciuto Ugo ha visto in lui uno “scout della vita”, spinto dalla convinzione che i valori scout fossero quelli giusti nella vita.

Perciò è sempre stato scout, dalla prima giovinezza alla pensione, e oltre. Ma intanto aveva costruito un’altra foresta solida nel suo lavoro di ragionieristica precisione amministrativa, svolto prima come funzionario IRI. e poi in privato, fondando la Società Italgenio e offrendo prestazioni sempre affidabili relative alla gestione di condomini, contratti assicurativi, contabilità varie, e via dicendo.

Questo comunque era un lavoro tecnico individuale, ma Ugo Mughini non rinunciava, non ha mai rinunciato alla sua proiezione nel sociale. Ci piace ricordarlo, come un protagonista della meritoria azione quasi trantennale di Mani Amiche, vale a dire uno dei fiori più profumati del volontariato civile, impegnato nel supporto al trasporto dei malati e nel sostegno materiale verso cittadini in emergenza fisica. Ricordo con piacere la passione e la competenza con cui coordinò, in occasione del ventennale, il Concorso poetico, letterario e artistico legato alla figura dell’indimenticabile presidentissimo Antonio Lodato. Ricordo con emozione la gioia con cui donarono un’autoambulanza ad un paese gemellato africano, arricchita dalla soddisfazione di essersi procurati un’altra macchina supero moderna.

Ugo era così: quando prendeva un impegno, lo faceva “suo” e nello stesso tempo si scioglieva generosamente nel collettivo, con un profondo senso della comunità.

Nel definire la sua navigazione sociale, però, non bisogna mai prescindere dalla sicurezza, dal calore e dall’affidabilità che gli derivava dal porto di partenza, cioè dalla dimensione familiare, che era l’altare della sua anima, la sua “foresta” più cara. Una foresta carica di frutti, seminata e rafforzata insieme con la carissima moglie Marisa Avagliano (docente di lettere, anche lei portatrice sana e formatrice di spina dorsale …) , la densa e colorata “Luna curiosa” degli scout, conosciuta e amata già ai primi tempi da esploratori e poi diventata la sua carissima compagna della vita, sinergica alleata nella costruzione di una famiglia basata su valori e ruoli che vengono da lontano e nello stesso tempo capace di guardare e lanciare lontano. E ne sanno qualcosa i figli, Rolando, Manuel e la stessa Miriam … ne sanno qualcosa gli altri familiari … ne sapranno qualcosa anche i dolci e cinguettanti nipotini, oggi Passerotto, Usignolo e Chicco di caffè, ma domani aspiranti aquile, grazie anche ai lanci dei nonni seminatori.

La forza della famiglia rende ancora più lacerante e “senza parole” il dolore del lungo distacco “senza parole”. E sono proprio quelle non dette le parole che pesano di più, come ha affettuosamente osservato la figlia Miriam alla fine del rito funebre. Un vuoto paradossale in rapporto ad un uomo che “di parole ne aveva sempre avute tante” e di tutti i tipi …

Forse, sarà proprio questo silenzio forzato il terreno su cui fiorirà in futuro la presenza di Ugo. Forse, accadrà quanto evocato dalle emozionanti e liriche parole del poeta Rugolo:

L’amore, negato, offeso,
fuggì senza allontanarsi,
ritornò senza essere partito,
perché la memoria potesse ricordare
e le parole avessero un senso
e i gesti una vita
e i fiori un profumo
e la luna una magia. Così, mentre il tempo moriva,
restava l’amore…

Nulla potrà cancellare il dolore della mancanza, così lacerante e quasi repentina, ma il valore e i valori e l’eredità d’affetti che Ugo ha lasciato sono stati tanto forti che la sua presenza in vita non potrà mai trasformarsi in assenza dopo la vita.

Passi pure il tempo, poi il dolore di oggi sarà il segno della felicità di ieri … e il cuore ricomincerà a respirare … e comunque resterà l’Amore, a creare nuove foreste …

CAVA DE’ TIRRENI (SA). INFORMACITTÀ COVID-19: aggiornamento del sindaco Vincenzo Servalli di venerdì 29 maggio

Coronavirus. La voce dei poeti: Antonio Avenoso

Continua la mini antologia La voce dei poeti, poesie inedite scritte in questi travagliati giorni. La “voce”, questa volta, è quella del poeta lucano Antonio Avenoso.

A volte

A volte, nessuno crede nella propria vita.

Come una carezza virtuale

i bambini disegnano aquiloni

canticchiano canzoni.

Passerà anche questo giorno

come una lacrima cadrà

in attesa dell’avvento

e tutti riprenderemo ad ascoltare il vento.

Antonio Avenoso (Inedito)

Mi piacere sottolineare che questa poesia nell’apparente veste prosastica, denuncia un interessante gioco d’armonici ritmi dati dall’accorto uso di rime baciate (aquiloni/canzoni vv3-4), (avvento/vento vv.7-8); una rima al mezzo (disegnano/canticchiano vv 3-4). Vibrante intensità positiva, poi, nella scelta delle voci verbali usate: disegnare aquiloni, canticchiare canzoni, riprendere e poi ascoltare, esse sanno regalare alla poesia un soffio di levità, scelta quanto mai felice in questi giorni che sembra mancare a tutti noi l’area vitale, il respiro. Giorni terribili e dolorosi che diventano nella trasfigurazione poetica nei versi di Avenoso, l’occasione per una profonda riflessione sull’uomo, le sue scelte, i suoi errori, le sue presunte certezze. Tutto è in discussione come in tante altre volte quando “nessuno crede nella propria vita” spinti dal credere che sia vita ciò che ha solo parvenza di vita. Questi giorni sembrano non avere più respiro, tutto è immobile, tutto è sospeso, solo, ahimè il dolore e la morte sembrano aver cittadinanza attiva. Ma gli aquiloni e le canzoni dei bambini non si arrendono, vibrano e volano insieme nell’aria con la forza di una “carezza virtuale”. Non è questo che solo un lungo incredibile momento di una sola unica lacrima, come unico è l’uomo ma frutto d’un irripetibile insieme, che vibrerà in attesa della nuova rinascita, che sarà come musica portata da un dolce vento che annunzierà la fine dei giorni del dolore e l’inizio di aurea ritornata respirabile e serena.

Antonio Avenoso (Melfi 1954) è poeta, operatore culturale. Dal suo primo libro di versi “Metamorfosi” del 1977 a oggi, ha pubblicato circa venticinque libri. Tanti anche i premi e i riconoscimenti. Amico non solo di poeti, ma anche di pittori, si occupa anche di critica artistica. Ha firmato per la Rai due sceneggiature: su Orazio e su Federico II di Svevia.

ROCCAPIEMONTE (SA). Abbandono indiscriminato di rifiuti: scattano le multe

Il Sindaco Carmine Pagano: “Atteggiamento sconsiderato che rischia di provocare un aumento dei costi”.


Rifiuti di ogni genere abbandonati per le strade di Roccapiemonte. Il Sindaco Carmine Pagano comunica che sono state elevate sanzioni nei confronti dei responsabili ed altri soggetti saranno presto identificati grazie al lavoro di intelligence degli agenti della Polizia Municipale guidati dal Comandante Graziano Lamanna.

“Fioccheranno le multe anche se non vorremmo mai arrivare a ciò. Gli atteggiamenti sconsiderati di queste persone mi rattristano e mi feriscono. Questa Amministrazione sta profondendo ogni sforzo possibile per tendere una mano ai cittadini sotto molteplici aspetti, queste azioni sono come una pugnalata alle spalle nei miei riguardi e di tutti coloro che seguono minuziosamente le regole (per fortuna sono la stragrande maggioranza). Lo spettacolo indecoroso che gli operatori del servizio igiene urbana si stanno trovando di fronte ogni giorno, è irritante. Il loro lavoro è calpestato da pochi che non capiscono quanto sia importante preservare l’ambiente che ci circonda, gente che va denunciata e punita perché forse non si rende conto che, sversando i rifiuti in modo irregolare, genera un aumento del costo dello smaltimento e quindi quello conseguente della tassa per tutti i cittadini di Roccapiemonte. Mi auguro che la coscienza positiva prevalga, altrimenti avremo tutti un danno da questo tipo di situazioni” ha commentato il Sindaco Carmine Pagano.

Centoventi anni fa, esattamente il 24 maggio 1900, nasceva Eduardo De Filippo

In questi giorni di pandemia, il mio pensiero è andato a un’altra epidemia, quella del colera avutasi a Napoli verso la fine dell’estate del 1973. E allora ho “scavato” nel mio ampio archivio cartaceo preso dal desiderio/curiosità di rileggermi quanto aveva detto, fra gli altri, il grande Eduardo. Di seguito riporto alcuni suoi versi.
Alla cozza che fu imputata di causare il colera, Eduardo fa dire a sua discolpa:

…. “Ecco vedete…
Affunn’ ‘o mare ‘a còzzeca s’arrangia”
dicette l’imputata, “…e lo sapete…
là ssotto, presideè, pare l’inferno!
Chello c’arriva, ‘a còzzeca se mangia:
si arriva mmerda, arriva dall’esterno!”

Denuncia chiara sugli errori degli uomini. Infatti, Eduardo aggiunse pure: “I responsabili devono essere individuati bene e io desidero che la mia voce si unisca a quella dei lavoratori, sia nella protesta che nell’accusa”. Parole che, purtroppo, risuonano attualissime: di chi la colpa di tanto dolore e morte? Chi i responsabili dei tantissimi morti, specie, in Lombardia? Si sarebbero limitati i decessi se si fossero istituite altre zone rosse nella bergamasca, come la chiusura dei paesi di Alzano Lombardo e Nembro? Scelte sbagliate o operate lucidamente per interessi di “taluni”? Possiamo essere certi che, oggi, Eduardo, proporrebbe ancora quella sua “protesta/accusa”. Tra le poesie scritte in quei giorni, vi è anche una che ha per tema la morte, dal titolo “‘E bbalice”.
Il poeta non sa dove lo condurrà questo suo ultimo viaggio e quindi è indeciso cosa mettere nella valigia e così s’interroga:
….

Me porto appriesso ‘ fatte”…
o pure:
“Mo me porto ‘fessarie”…
Io me ce songo miso
c’’o pensiero,e
‘a verità
ve dico chiaro e ttunno,
aggio ditto:
“Mo faccio ‘ capa mia:
me voglio purtà ‘ e fatte all’auto munno,
e lasso ‘ntera tutt’’e fessarie”.

Lasciamo le fesserie agli uomini –ci dice Eduardo- ancora e sempre “maestro” pronto al sagace ammonimento tra l’amaro e il dolce. E un Eduardo che sempre ammaestra gli uomini anche dall’aldilà, è il tema di una mia breve poesia in vernacolo scritta di recente, mio modesto omaggio per il centoventesimo anno della sua nascita.

O presebbio

È sempe juorno e ‘o cielo è chieno ‘e stelle
e ‘a nuttata ccà nun vene maje.
E sotto, ‘o munno è comme a ‘nu presebbio
ca cumbatte, spanteca e se fa male assaje.
Nun s’è capito ancora comme se campa!

Antonio Donadio

(Inedito)

Trad. (Qui dove mi trovo ora) E’ sempre giorno e il cielo è pieno di stelle/e non giunge mai la notte./E sotto (sulla terra), il mondo appare come fosse un presepe/ che combatte, spasima e si fa molto male./ Non si è capito ancora come si deve vivere!