Maggio, 2020
visualizzazione per mese
Coronavirus. La voce dei poeti: Antonio Avenoso
Continua la mini antologia La voce dei poeti, poesie inedite scritte in questi travagliati giorni. La “voce”, questa volta, è quella del poeta lucano Antonio Avenoso.
A volte
A volte, nessuno crede nella propria vita.
Come una carezza virtuale
i bambini disegnano aquiloni
canticchiano canzoni.
Passerà anche questo giorno
come una lacrima cadrà
in attesa dell’avvento
e tutti riprenderemo ad ascoltare il vento.
Antonio Avenoso (Inedito)
Mi piacere sottolineare che questa poesia nell’apparente veste prosastica, denuncia un interessante gioco d’armonici ritmi dati dall’accorto uso di rime baciate (aquiloni/canzoni vv3-4), (avvento/vento vv.7-8); una rima al mezzo (disegnano/canticchiano vv 3-4). Vibrante intensità positiva, poi, nella scelta delle voci verbali usate: disegnare aquiloni, canticchiare canzoni, riprendere e poi ascoltare, esse sanno regalare alla poesia un soffio di levità, scelta quanto mai felice in questi giorni che sembra mancare a tutti noi l’area vitale, il respiro. Giorni terribili e dolorosi che diventano nella trasfigurazione poetica nei versi di Avenoso, l’occasione per una profonda riflessione sull’uomo, le sue scelte, i suoi errori, le sue presunte certezze. Tutto è in discussione come in tante altre volte quando “nessuno crede nella propria vita” spinti dal credere che sia vita ciò che ha solo parvenza di vita. Questi giorni sembrano non avere più respiro, tutto è immobile, tutto è sospeso, solo, ahimè il dolore e la morte sembrano aver cittadinanza attiva. Ma gli aquiloni e le canzoni dei bambini non si arrendono, vibrano e volano insieme nell’aria con la forza di una “carezza virtuale”. Non è questo che solo un lungo incredibile momento di una sola unica lacrima, come unico è l’uomo ma frutto d’un irripetibile insieme, che vibrerà in attesa della nuova rinascita, che sarà come musica portata da un dolce vento che annunzierà la fine dei giorni del dolore e l’inizio di aurea ritornata respirabile e serena.
Antonio Avenoso (Melfi 1954) è poeta, operatore culturale. Dal suo primo libro di versi “Metamorfosi” del 1977 a oggi, ha pubblicato circa venticinque libri. Tanti anche i premi e i riconoscimenti. Amico non solo di poeti, ma anche di pittori, si occupa anche di critica artistica. Ha firmato per la Rai due sceneggiature: su Orazio e su Federico II di Svevia.
ROCCAPIEMONTE (SA). Abbandono indiscriminato di rifiuti: scattano le multe
Il Sindaco Carmine Pagano: “Atteggiamento sconsiderato che rischia di provocare un aumento dei costi”.
Rifiuti di ogni genere abbandonati per le strade di Roccapiemonte. Il Sindaco Carmine Pagano comunica che sono state elevate sanzioni nei confronti dei responsabili ed altri soggetti saranno presto identificati grazie al lavoro di intelligence degli agenti della Polizia Municipale guidati dal Comandante Graziano Lamanna.
“Fioccheranno le multe anche se non vorremmo mai arrivare a ciò. Gli atteggiamenti sconsiderati di queste persone mi rattristano e mi feriscono. Questa Amministrazione sta profondendo ogni sforzo possibile per tendere una mano ai cittadini sotto molteplici aspetti, queste azioni sono come una pugnalata alle spalle nei miei riguardi e di tutti coloro che seguono minuziosamente le regole (per fortuna sono la stragrande maggioranza). Lo spettacolo indecoroso che gli operatori del servizio igiene urbana si stanno trovando di fronte ogni giorno, è irritante. Il loro lavoro è calpestato da pochi che non capiscono quanto sia importante preservare l’ambiente che ci circonda, gente che va denunciata e punita perché forse non si rende conto che, sversando i rifiuti in modo irregolare, genera un aumento del costo dello smaltimento e quindi quello conseguente della tassa per tutti i cittadini di Roccapiemonte. Mi auguro che la coscienza positiva prevalga, altrimenti avremo tutti un danno da questo tipo di situazioni” ha commentato il Sindaco Carmine Pagano.
Centoventi anni fa, esattamente il 24 maggio 1900, nasceva Eduardo De Filippo
In questi giorni di pandemia, il mio pensiero è andato a un’altra epidemia, quella del colera avutasi a Napoli verso la fine dell’estate del 1973. E allora ho “scavato” nel mio ampio archivio cartaceo preso dal desiderio/curiosità di rileggermi quanto aveva detto, fra gli altri, il grande Eduardo. Di seguito riporto alcuni suoi versi.
Alla cozza che fu imputata di causare il colera, Eduardo fa dire a sua discolpa:
…. “Ecco vedete…
Affunn’ ‘o mare ‘a còzzeca s’arrangia”
dicette l’imputata, “…e lo sapete…
là ssotto, presideè, pare l’inferno!
Chello c’arriva, ‘a còzzeca se mangia:
si arriva mmerda, arriva dall’esterno!”
Denuncia chiara sugli errori degli uomini. Infatti, Eduardo aggiunse pure: “I responsabili devono essere individuati bene e io desidero che la mia voce si unisca a quella dei lavoratori, sia nella protesta che nell’accusa”. Parole che, purtroppo, risuonano attualissime: di chi la colpa di tanto dolore e morte? Chi i responsabili dei tantissimi morti, specie, in Lombardia? Si sarebbero limitati i decessi se si fossero istituite altre zone rosse nella bergamasca, come la chiusura dei paesi di Alzano Lombardo e Nembro? Scelte sbagliate o operate lucidamente per interessi di “taluni”? Possiamo essere certi che, oggi, Eduardo, proporrebbe ancora quella sua “protesta/accusa”. Tra le poesie scritte in quei giorni, vi è anche una che ha per tema la morte, dal titolo “‘E bbalice”.
Il poeta non sa dove lo condurrà questo suo ultimo viaggio e quindi è indeciso cosa mettere nella valigia e così s’interroga:
….
Me porto appriesso ‘ fatte”…
o pure:
“Mo me porto ‘fessarie”…
Io me ce songo miso
c’’o pensiero,e
‘a verità
ve dico chiaro e ttunno,
aggio ditto:
“Mo faccio ‘ capa mia:
me voglio purtà ‘ e fatte all’auto munno,
e lasso ‘ntera tutt’’e fessarie”.
Lasciamo le fesserie agli uomini –ci dice Eduardo- ancora e sempre “maestro” pronto al sagace ammonimento tra l’amaro e il dolce. E un Eduardo che sempre ammaestra gli uomini anche dall’aldilà, è il tema di una mia breve poesia in vernacolo scritta di recente, mio modesto omaggio per il centoventesimo anno della sua nascita.
‘O presebbio
È sempe juorno e ‘o cielo è chieno ‘e stelle
e ‘a nuttata ccà nun vene maje.
E sotto, ‘o munno è comme a ‘nu presebbio
ca cumbatte, spanteca e se fa male assaje.
Nun s’è capito ancora comme se campa!
Antonio Donadio
(Inedito)
Trad. (Qui dove mi trovo ora) E’ sempre giorno e il cielo è pieno di stelle/e non giunge mai la notte./E sotto (sulla terra), il mondo appare come fosse un presepe/ che combatte, spasima e si fa molto male./ Non si è capito ancora come si deve vivere!