Novembre, 2021

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Cava de’ Tirreni (SA). Troise non stecca la prima. E la Cavese si riavvicina al vertice

Torna alla vittoria la Cavese dopo la bruciante sconfitta di Vallo della Lucania e il terremoto tecnico conseguente che aveva portato all’allontanamento di Ferazzali.

Il cambio in panchina come spesso accade nel calcio porta bene e, nonostante, un terreno ai limiti della praticabiità, la Cavese vince la sfida con la Real Aversa e si riavvicina alla capolista Gelbison, frenata a Cittanuova.

Due punti rosicchiati che ridanno speranza e che faranno affrontare la prossima trasferta di Lamezia con piglio diverso al gruppo bleu foncé. La cura Troise, dunque, ha sortito gli effetti sperati? É presto dirlo. Ma soprattutto è presto dare sentenze o lanciare allarmi.

La squadra deve dare conferme e certezze domenica prossima, il test con l’Aversa, superato ai punti, non può far testo per le avverse condizioni atmosferiche e per il fondo pesantissimo del Lamberti. Dunque, bisognerà attendere le prossime prestazioni per dare un giudizio sensato sul futuro prossimo aquilotto.

Con l’Aversa sono emerse le solite lacune in fase di costruzione della manovra, le ataviche difficoltà nel servire palloni giocabili al povero Allegretti, ridimensionato ulteriormente dal viscido fondo dello stadio amico. Fino a quando non è stato gettato nella mischia il puntero Diaz, a venticinque minuti dal termine, non ci sono state occasioni significative sul taccuino. La stazza dell’attaccante argentino è andata a nozze sul traversone pennellato di Gabrieli. E, così, con un suo guizzo si è archiviata la sfida a favore degli aquilotti.

Tre punti che sono il miglior vaccino contro la malattia della sfiducia e della delusione che da qualche tempo a questa parte aleggiano sulla Cavese. Che ieri era a lutto per la prematura scomparsa della mamma del patron Santoriello. A inizio gara, infatti, dopo la consegna di un mazzo di fiori da parte dei dirigenti ospiti in segno di partecipazione al lutto dei metelliani, il minuto di raccoglimento e, infine, il via alla sfida.

La squadra metelliana entra in campo con le idee chiare e prova subito a premere sull’acceleratore. La defezione all’ultimo secondo, in fase di preriscaldamento del centrale difensivo Viscomi non si fa sentire e pur su un terreno al limite la Cavese si fa avanti dalle parti di De Simone. Ma sterilmente, la malattia di questa fase iniziale della stagione continua a rimanere presente.

Le difficoltà di portare al tiro il povero Allegretti restano. E così per quasi mezzora non ci sono azioni degne di nota. Si deve arrivare al 26′ pt per vedere la prima occasione. Se la ritrova tra i piedi Carbonaro. È il 26’pt. Kosovan vince un rimpallo sulla trequarti e di prima intenzione mette nel corridoio giusto per l’accorrente Carbonaro che però di piatto debolmente indirizza sul palo lontano permettendo a De Simone di neutralizzare.

È ancora Kosovan un minuto più tardi sugli scudi. La sua fucilata dal vertice destro dell’area ospite viene messa in angolo con le punta delle dita della mano destra dall’attento estremo difensore ospite. Sul calcio d’angolo susseguente si avventa il centrale difensivo bleu foncé Altobello ma l’incornata è debole e non ha problemi De Simone ad addomesticare la conclusione.

La Real rompe il miniassedio ma guadagna solo un angolo e nulla più al 41′. Poi più nulla fino al duplice fischio.

Nella ripresa non succede nulla fino all’11’. Mariani su tocco corto da punizione di Strianese, il più lucido tra gli aversani, fa partire un missile terra terra che Anatrella neutralizza. Ancora Aversa sugli scudi al 18’st. Questa volta gran gesto tecnico di Di Lorenzo che al volo spara tra i pali aquilotti costringendo Anatrella agli straordinari.

La svolta della partita arriva al 19’st. Troise tira fuori dal pantano Kosovan e al suo posto mette dentro Diaz. La forza propulsiva d’attacco si raddoppia. Al fianco di Allegretti la Cavese preme di più dalle parti di De Simone. E trova il gol della vittoria al 37’st. Gabrieli, imbeccato da Maiorano, entra in are da destra e crossa per Diaz che incorna perfettamente, ma colpevolmente lasciato solo dai difensori ospiti, bucando a sorpresa De Simone, apparso nella circostanza meno attento e sicuro delle altre parate fatte nel corso della partita.

È il tripudio per i bagnati, infreddoliti 800 irriducibili tifosi biancoblù accorsi al Lamberti per sostenere la squadra e spingerla verso la vittoria. Tifosi che sicuramente sono pronti in massa a fare lo stesso nella trasferta di domenica prossima a Lamezia, che sarà la chiave di volta del resto del campionato.

Se davvero la Cavese vuole restare tra le protagoniste del girone per recitare fino in fondo il ruolo di pretendente alla promozione non potrà che centrare un risultato favorevole nella trasferta calabrese.


CAVESE (4-3-2-1): Anatrella; Gabrieli, De Caro, Altobello, Fissore; Corigliano, Romizi (18’st Palma), D’Amore; Kosovan (19’st Diaz), Carbonaro (30’st Maiorano); Allegretti. In panchina: Paduano, Afri, Quaranta, Katseris, Palladino. Allenatore: Troise.

REAL AGRO AVERSA (4-4-2): De Simone; Di lorenzo, Hutsol, Mariani, Gala; Schiavi, Russo, Strainese, Ndiaye; La Monica, Chianese. In panchina: Lombardo,Affinito, Dello Iacono, Falco, Sgambati, Iannone, Sorriso, Montaperto, Cavallo. Allenatore: Sannazzaro.

ARBITRO: Mallardi di Bari.

RETI: 37’ st Diaz.

NOTE: Giornata piovosa, terreno pesante.Spettatori 815 paganti. Ammoniti:Di Lorenzo,Hutsol, Corigliano, Palma, Diaz. Angoli:6-2. Recuperi: 0′ pt, 3′ st.

Tra liriche e saggi sul Covid 19 anche un libro di “fiabe al contrario” per sconfiggere il famigerato “ drago Covidone”

In questi quasi due anni di pandemia, tante le pubblicazioni sul Covid-19. Tutte, più o meno, originali e ricche d’argomentazioni e spunti degni di attenzione, tra cui:

Una furtiva lacrima. Poeti al tempo del dolore. Di Felice Edizioni, a cura del poeta e critico, prof. Vincenzo Guarracino che sull’interrogativo, mai così di stretta attualità, “Perche si piange”, “interroga “ un nutrito numero di poeti italiani, alcuni molto noti come Ottavio Rossani, Guido Oldani, Valerio Magrelli, Giuseppe Langella, Gilberto Isella, Paolo Fabrizio Iacuzzi, Franesco D’episcopo. Delicata e intensa è la “risposta” che ci viene dai versi dall’amico poeta pavese ma da molti anni residente a Cava de’Tirreni, Fabio Dainotti: per lui, la creazione poetica, è una compensazione al disordine interiore. Una poetica della memoria affidata al riemergere dei ricordi, sia gioiosi sia anche i più dolorosi.

Assai interessante è poi il libro Storia del Coronavirus a Salerno e in Campania, Typimedia, testo che di là dalla dolorosa attualità, è un prezioso tassello bibliografico per la storia ultra millenaria della città di Salerno. In esso l’autore, il dott. Romano, giornalista e scrittore, si sofferma anche su i primissimi tremendi giorni di pandemia che flagellarono sopratutto Bergamo e la sua provincia, richiamandosi, tra l’altro, anche all’esperienza vissuta dallo scrivente, cavese ma bergamasco d’adozione, ripubblicando alcuni versi sul Covid, scritti in quei giorni e pubblicati su La Repubblica e altri quotidiani.

Ma soprattutto voglio soffermarmi su un libro di fiabe, o meglio di fiabe al contrario: Lo gnomo blu contro il drago Covidone e altre storie, Il quaderno edizioni, scritte a quattro mani dalla poetessa Teresa Rotolo e dal notissimo prof. Franco Bruno Vitolo, instancabile, costante presenza nel panorama culturale non solo cavese e campano ma anche con frequenti presenze a livello nazionale. Il libro molto piacevole e divertente, impreziosito anche dalle deliziose illustrazioni di Chiara Savarese, si legge veramente tutto dì un fiato con il sorriso sulle labbra tanto da far quasi dimenticare il doloroso dramma che ha scaturito la fertile fantasia dei due scrittori. Ma quale la novità di questo libro? In questi ormai due anni in cui la nostra vita è stata crudelmente violentata dall’inaspettato mortale arrivo del Covid, tanto da far quasi scomparire sulla bocca un sorriso, uno scatto d’ilarità e di spensierata gioia, ecco che i bambini, apparentemente proprio i più indifesi e deboli, si mettono all’opera e diventano essi i portatori di un sorriso, quel sorriso rasserenante che solo le favole sanno da sempre regalare. Progetto nuovo e ardito il loro: far tornare il sorriso ai grandi e in primis a mamma e papà. E allora eccoli impegnati “al contrario”: saranno loro che racconteranno ai propri genitori delle belle, divertenti, magiche fiabe.

Quando ero più piccolo e avevo paura del buio, la sera, a turno mamma e papà si sedevano sul mio lettino e mi raccontavano fiabe, favole, leggende. Al suono delle loro voci dolci e morbide come la panna montata sula torta di cioccolato, mi addormentavo facendo sogni bellissimi in compagnia di elfi, gnomi, fanciulle fatate, folletti, maghetti. Ho deciso! Ora che sono loro un po’ spaventati e tristi sarò io a rassicurarli! Leggerò a loro una fiaba, la sera, prima di addormentarci, e poi parleremo insieme della storia che avrò raccontato io… E i sogni torneranno belli come prima! Non è magica la mia idea?”

Ti racconterò una bella storia del folletto Magi, lo gnomo blu contro il drago Covidone ! E vedrai il bestione come se la darà a gambe!”

E non resta, quindi, che unirci in questo concerto di fiabe con la speranza che sia di preludio alla vera definita fuga del famigerato “Bestione”!

Salerno – Modena. “Il potere del ciarlatano”, di Grete De Francesco: un libro di ieri per difenderci oggi, recuperato e tradotto dallo scrittore salernitano Marco Di Serio

Fake news distorcenti, guaritori autoreferenziali, populismi radicali, informazioni sballate… Quante mistificazioni in questa nostra società globalizzata, supertecnologica e supercomunicante!

È uno scotto che bisogna pagare al progresso, ma anche lo stimolo a correre ai ripari, documentandosi il più possibile per orientarsi in questa inondazione di dati e di parole, che delle volte rende una corretta informazione complicata come riempire un bicchiere sotto una cascata.

Lo scotto più amaro, e forse il più evitabile se si utilizzano mente, cervello e volontà, è quello del proliferare troppo spesso “vincente” di ciarlatani imbonitori, in tutti i campi, ma soprattutto nella politica e nella medicina.

Per difendersi, quindi, bisogna informarsi, conoscere, comprendere, perché il ciarlatano viene da lontano, inganna il presente e, purtroppo, punta lontano.

Ed allora bene, anzi benissimo hanno fatto, come curatore e traduttore, lo scrittore salernitano Marco Di Serio (già autore di un raffinato e profondo pamphlet dal titolo Note del sacro) e Neri Pozza come editore a portare in Italia un testo stimolante e illuminante come Il potere del ciarlatano, di Grete De Francesco, la prima pubblicazione di grande respiro in Italia su questo tema, nella quale, attraverso un racconto coinvolgente che ricopre un periodo di tre secoli, dal Rinascimento al Settecento, è possibile ravvisare anche la funzione, l’incidenza e gli ambienti dei ciarlatani nella società del secondo millennio.

Colma un vuoto non indifferente, questo libro, non a caso scritto proprio nel periodo in cui i nuovi storiografi di Les annales puntavano i riflettori su quello che si muove in società sotto la coltre della grande storia globale, politica, economica e militare.

Il saggio inoltre ha il merito di mettere in rilievo un’eccezionale figura di donna e di intellettuale come Grete De Francesco, una delle tante, troppe vittime delle “oscene” persecuzioni totalitarie degli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso.

Nata a Vienna nel 1893 da un’agiata famiglia austroungarica di origine ebraica, ebbe, grazie alla sua condizione sociale, l’opportunità di studiare fino alla laurea. Si trasferì quindi a Milano, per effetto del suo matrimonio con l’ingegnere italiano Giulio De Francesco. Visse quindi in diretta l’ascesa montante del fascismo, gli stravolgimenti della guerra e purtroppo anche la persecuzione razziale, per la quale fu deportata nel 1944 nel campo di concentramento di Ravesbrück, dove mori l’anno successivo.

L’idea del libro le venne dopo che si era venuta a trovare a contatto più da vicino con ricerche sulla storia della medicina, per la rivista Ciba, sponsorizzata dalla omonima azienda farmaceutica. La scoperta di tante vicende e storie relative ai ciarlatani, termine che in origine indicava soprattutto una certa tipologia di medici che ricorrevano a pratiche parascientifiche, le fece anche capire quanto grandi fossero le potenzialità di questi personaggi all’interno della società, tra miriadi di persone insidiate da malattie di ogni tipo, che, quando non sapevano a che santo votarsi (ma anche lì, non sempre con buoni risultati…), si buttavano tra le braccia del primo venuto che assicurasse guarigione e salute, e magari anche felicità a buon mercato.

E nacque così, in lingua tedesca, questa ricerca che è quasi un romanzo e che oggi, come già detto, è possibile conoscere anche in lingua italiana, nella fluida e chiara traduzione di Di Serio.

Il volume, ponderoso e sostanzioso, fascinoso e stimolante, è aperto dalla splendida e profonda introduzione del curatore: quasi quaranta pagine che sono di per sé un saggio autonomo, sia sulla figura intellettuale di Grete De Francesco, sia sulla figura del ciarlatano. Infatti, Di Serio ha recuperato documenti finora inediti e di grandissimo interesse, in primis la lettera di accompagnamento con la quale la De Francesco presentò il suo lavoro a Thomas Mann. Una comunicazione di alto profilo, in cui lei spiega sia quanto abbia inciso nell’ispirazione del suo saggio la lettura del celebre racconto di Mann, Mario e il mago, avente come protagonista un illusionista di nome Cipolla, sia quanti Cipolla lei veda nella storia e nel suo tempo, a cominciare da Mussolini e dalla deriva autoritaria, bellicista e razzista in cui stava portando l’Italia.

Il richiamo a Cipolla è significativo del respiro storico e culturale di cui è impregnato il libro. Il nome richiama infatti il celebre frate del Decameron di Boccaccio, che a sostegno delle sue prediche tesseva astuti inganni di parole e di artifici, ed era capace di sbrogliarsela alla grande anche in situazioni di smascheramento.

Come ricorda Di Serio, proprio la politicizzazione delle sue intenzioni causò dubbi e critiche da parte di un grande intellettuale come Benjamin, che espresse le sue riserve in una lettera ad Adorno pur apprezzando l’acutezza le sfumature con cui la De Francesco aveva rappresentato la figura del ciarlatano nella storia in rapporto alla società ed alle vicende dei tempi.

È uno sguardo a trecentosessanta gradi, che parte da considerazioni di carattere generale e poi comincia il viaggio partendo dal mondo degli alchimisti, che, pur rivelando il tentativo importante dell’uomo di “dominare la natura”, lasciava il campo, soprattutto nella ricerca “bugiarda e fallace” di pietre filosofali e trasformazioni in oro, alla moltiplicazione sia di creduloni sia di imbroglioni, quei fraudolenti che Dante colloca impietosamente nelle Malebolge dell’Inferno. Quegli alchimisti, appunto, che, come dice la De Francesco, per raggiungere i loro scopi «si erano gettati in tutte le branche del sapere, ricevendone una vaga infarinatura che permetteva loro di speculare sulle masse dalla conoscenza decisamente frammentaria». Oppure, se non usavano le parole della scienza, facevano come il veneziano Bragadin, che non dimostrava di saper trasformare i metalli in oro ma viveva nell’oro dando l’impressione di riuscirci veramente, e quindi assumeva un’autorevolezza che gli dava margine per ogni operazione anche truffaldina. .

Interessante e attuale è lo studio dell’immagine che si costruivano i ciarlatani attraverso le parole, con discorsi ricchi di una sconnessa pomposità che mettevano in soggezione gli incolti ed a volte anche i “colti”: ed è qui che conosciamo personaggi che a loro tempo riuscirono a bucare la scena, come, solo per fare qualche esempio, Magno-Cavallo (il Cagliostro di Prussia), Eisenbarth o Leonhard Thurneißer.

È questo il filo rosso che guida il cammino di tutti i ragionamenti: l’analisi del rapporto tra chi inganna e chi si lascia ingannare. E scopriamo che ciarlatani di alto livello, come Cagliostro, riuscivano ad arrivare da “divi” anche nelle corti e negli ambienti più raffinati. Ma facciamo anche una stimolante “affacciata” sugli umori delle masse popolari che accoglievano con fideistico entusiasmo le proposte e le cure dei ciarlatani. Per tutti, basti pensare all’esempio del “medico della luna” Weisleder, che sfruttava i pleniluni per effetti speciali, e soprattutto al medico di montagna Schüppach, che con spettacolari evoluzioni verbali quasi teatrali presentava talismani dai nomi più stravaganti, come «Olio della felicità», «Contro il mostro», oppure semplicemente «Maria Teresa», creando apertamente un mondo parallelo e alternativo rispetto alla scienza ufficiale, che il popolo era ben lieto di irridere, anche perché la considerava un patrimonio dei ricchi e dei potenti. La cosa non dovrebbe meravigliare più di tanto, in questi nostri tempi di pandemia in cui, pur tanto diversi e tanto tecnologici, il «dàgli al virologo e al comitato scientifico e al vaccino» è diventato uno “sport” diffuso e pericoloso.

Tornando agli atteggiamenti “magici” dei dottori ciarlatani, giustamente ricorda la De Francesco che essi, pur ponendosi in posizione “up” per incutere soggezione, riuscivano anche ad essere gioviali ed empatici comunicatori capaci di estrarre dai singoli interlocutori quella base necessaria di energia vitale che serve per curarsi con fiducia e recuperare forze e salute. Insomma, se da una parte sapevano di ingannare e volevano imbrogliare per il loro tornaconto, dall’altra più d’uno di loro aveva intuito quel flusso di reciproca influenza che si genera tra l’anima e il corpo e che oggi è una delle riconosciute fondamenta dell’equilibrio psicofisico. Non a caso già nell’introduzione Di Serio cita la favola di Grillo medico, un contadino di campagna che era assurto agli onori della fama riuscendo a guarire la figlia del re solo facendola ridere.

Il cogliere queste sfumature, però, non toglie nulla all’avversione decisa della De Francesco contro ogni «forma di seduzione manipolatoria», ma aggiunge anche forza alle sue critiche verso atteggiamenti radicali di tipo opposto, cioè verso le forme di pregiudizio che avversano i pregiudizi creando a loro volta forzature pregiudiziali.

Perciò, pur apprezzando le aperture razionalistiche e filoscientifiche dell’Illuminismo, lei ritiene un mezzo fallimento le campagne senza spiragli fatte dai philosophes contro le credenze popolari e gli atteggiamenti tutto fumo degli imbonitori.

Emerge quindi la necessità di una gestione laica ed elastica della conoscenza. Una gestione laica, detto per inciso, che la De Francesco auspicava anche nel modo di affermare la dignità femminile, che non può limitarsi ad un mero asservimento al sesso per provare piacere e capovolgere il rapporto con l’uomo, ma deve estendersi alla ricerca dell’equilibrio naturale tra bisogni, piaceri e doveri.

Sono tanti quindi gli stimoli e le informazioni che vengono fuori da questo volume, in cui per di più va rimarcato un corredo di immagini d’epoca che non sono vallette della trattazione, ma esse stesse comunicanti in proprio per la forza della rappresentazione e spesso anche per la sottile illuminazione della satira.

Insomma, questo libro è un invito ad essere saggi, nel senso ricordato dall’autrice, citando Hofmannsthal, sia all’inizio che in conclusione del libro, cioè possedere uno strato intellettivo ed emozionale di difesa e di attacco per poter trasformare le informazioni e «la realtà in un seconda esistenza più alta», in modo che «nessun imbonitore sia in grado di esercitare la benché minima influenza su noi». E da lì aiutare anche gli altri a partire verso un mondo senza ciarlatani, o almeno di ciarlatani senza potere.

Necessario quindi spostare la qualità dell’asse del potere. Si può? Certo che si può… se no che potere sarebbe?

Cava de’ Tirreni (SA). Inaugurata la nuova sede del Museo della Civiltà Contadina: una spettacolare ricostruzione d’ambiente.

Gran festa a Santa Lucia di Cava de’ Tirreni, la mattina di domenica 14 novembre, per l’inaugurazione del nuovo Museo della Civiltà Contadina, collocato dentro la struttura del nascente Centro Pastorale. Dopo la celebrazione dell’Eucaristia, presieduta dall’Arcivescovo Mons. Orazio Soricelli, tutti nel salone ancora vuoto del centro pastorale per festosi saluti e interventi non di rito: oltre a Mons. Soricelli, don Beniamico D’Arco, il Sindaco Vincenzo Servalli, la prof. Lucia Avigliano, l’Architetto progettista, Virginia Lodato (nel nome di Franco).

Era attesissimo, il neonato Museo, concepito oltre vent’anni fa, quando nella Santa Lucia ancora terremotata sembrava pura follia anche solo l’idea. Invece, come ha sottolineato don Beniamino D’Arco, Massimo Fattore di tutto il cammino, la proposta, fatta da Matteo Baldi, diventò il seme di un sogno che, avvalendosi della generosità e dell’entusiasmo di tutta la comunità luciana, è andato piano ma è andato sano, è arrivato lontano e guarda lontano, perché vuole parlare alle nuove e alle future generazioni della vita e dell’importanza dei nostri padri.

Sono questi gli elementi individuati un po’ da tutti gli intervenuti, prima della benedizione e del taglio del nastro. Quindi, passando per un cancelletto e un piccolo androne, finalmente è apparso davnti agli occhi l’emozionato ed emozionante ingresso nel Museo, che si mostra subito come uno spettacolare set cinematografico.

Ci si trova infatti di fronte ad una casa colonica in stile inizio Novecento, con un luminoso cortile d’altri tempi, al cui centro domina la scena un suggestivo albero autunnale. A sinistra, lo sguardo è subito attratto dalla classica ruota dello spago e a destra, su due piani, si sviluppa l’impianto della casa. In basso, la cantina, la dispensa, le sale con gli attrezzi di lavoro ben collocati al loro posto. Al primo piano, salendo per una scala esterna, l’abitazione: la cucina con il tavolo dove si consumavano i modici pasti; i giochi dei bambini, strummolo in testa; lo spazio per i lavori “femminili” di cucitura e tessitura; lo sciuttapanni con la vrasera… Poi,, la “sala del tempio”: la camera da letto, con l’inginocchiatoio, il bacile, la toletta, il rinalo e, per l’occasione, anche un pupetto a dondolare nella culla, mentre al centro troneggia il grande talamo dove si generavano figli in serie, per amore della famiglia ma anche per necessità di forza lavoro, nello stile dell’epoca. Sparse nelle varie sale, le piastrelle con le “storiche” poesie luciane del caro e compianto Franco Lodato, il “vate di Santa Lucia”, che oggi rivive attraverso di loro, attraverso il suo libro di poesie… e anche nella figlia Virginia, in voce, carne e spirito.

Mancano ancora le specifiche didascalie, che saranno presto inserite e integrate, oppure sostituite, da guide vocali automatiche presenti in ogni stanza, ma gli attrezzi, gli oggetti e gli utensili dei nostri padre già parlano da soli. E parleranno anche in futuro, perché ora hanno trovato finalmente la loro “Itaca della memoria”. E diranno tante cose, non solo sul modo di lavorare e produrre, ma anche sulle infinite gocce di sudore che hanno generato quegli ambienti, quegli oggetti, quei cibi. Erano tempi in cui il benessere massimo era sopravvivere senza patemi e basta. Quella che per noi era parente della povertà, per loro era già ricchezza. Comunque, per fortuna erano anche tempi in cui cominciava a muoversi qualche raggio di speranza, tabacco e sviluppo economico generale in testa…

Poi, venne il benessere di cui godiamo tuttora (speriamo che duri…) e che dobbiamo comunque considerare come un privilegio… ma questo Museo ci ricorda proprio che senza quelle gocce di sudore questo benessere non ci sarebbe stato…

Sosteniamo, allora, il nostro Museo. Godiamocelo. E facciamolo parlare. Lo merita: è un ponte tra le generazioni che consegna il passato al presente e crea le radici per il future. E poi, escluso quello dell’Abbazia benedettina, è il primo Museo che nasce in territorio cittadino. E ci sono tante premesse perché non sia l’ultimo, a cominciare da quello dedicato a Mamma Lucia…

Intanto, festeggiamo il nostro Museo luciano… E permettiamoci di sognare con “lui”, quel piccolo grande sogno che finalmente è diventato realtà…

***

Nel presentare la nuova realtà del Museo, che apre prospettive importanti di apertura culturale e di immagine “turistica”, ci sembra giusto richiamare il cammino che è stato percorso dal momento che è partita la macchina organizzativa del progetto. Riportiamo perciò uno stralcio da una nota di Lucia Avigliano, scritta nell’estate del 2021, quando la prospettiva di un’apertura imminente della nuova sede è cominciata a diventare una realtà imminente. È una nota significativa anche per il richiamo che lei fa all’elemento umano, determinante per il successo finale dell’iniziativa.

… Quando nel 1997, dopo il terremoto del 1980, fu riaperta al culto la Chiesa parrocchiale di Santa Lucia, fu inaugurato la sede originaria di questo Museo, che è rimasto situato fino al 2021 nel sottotetto della Casa Canonica annessa alla chiesa.

Esso è nato da un’idea e dal continuo interessamento di persone che hanno dedicato il loro tempo e le loro forze alla paziente ricerca e alla raccolta di oggetti e testimonianze, anche fotografiche, della vita e dell’economia di una comunità che si fondava sull’artigianato e sulla cura dei campi.

La lavorazione della corda con la caratteristica “ruota”, la coltivazione del tabacco, attività che impegnavano l’intera famiglia (anche i bambini!) sono ampiamente documentate.

Nel progetto della sede definitiva, che è in via di attuazione, momenti di vita di un tempo saranno resi vivi e animati sotto gli occhi del visitatore, che potrà qui ritrovare le radici e vedere finalmente valorizzato quel patrimonio di cultura che è proprio della nostra gente. Come realizzato nella manifestazione Passeggiando per Santa Lucia, saranno ricreati ambienti domestici e attività lavorative in fase pratica dimostrativa. Il visitatore si troverà di fronte a veri e propri monumenti del lavoro e della vita quotidiana, come si svolgeva nelle nostre campagne (‘u vavillo, il bastone per battere il grano o anche la lana; ‘u vrasiere, pedana di legno all’interno della quale si inseriva il braciere; ‘u civiere, attrezzo di legno per trasportare il letame; ‘u bajalardo, contenitore di legno rettangolare per pigiare l’uva; ‘u sacconte, materasso povero gonfio di “sfoglie”).

Recupero e valorizzazione sono i criteri che hanno animato gli ideatori di questa ricca raccolta, alla quale ha contribuito tutta la popolazione di Santa Lucia. Fra i tanti voglio qui ricordare Franco Lodato, “Papà Cardillo”, come lo ha chiamato Franco Bruno Vitolo nei versi di presentazione al libro sul Museo Museo Arti e Mestieri Civiltà contadina (scritto con Ciro Mannara, Pasquale Di Domenico, Marianna Ferrigno, Franco Bruno Vitolo e la sottoscritta scrivente), uscito nel 2017 quando Franco era appena volato al cielo, dopo essere stato uno dei realizzatori del museo.

Primo fra tutti, Ciro Mannara, da sempre grande cultore e custode delle tradizioni e dell’identità locale e cittadina, merita il giusto riconoscimento per aver ideato e portato avanti il progetto-museo. Insieme a Ciro Mannara, la cui magnanimità è ben nota a tutti i cavesi, e con tanti altri amici, carichi di entusiasmo e buona volontà, Franco Lodato è stato tra gli ideatori del Museo e ha dedicato a questa iniziativa tutto il suo impegno e la sua passione. Il suo declamare i versi che gli sgorgavano dal cuore (e che decorano su apposite piastrelle in ceramica le vie di Santa Lucia e la stessa struttura museale) era parte integrante della visita al Museo. Quando anni fa sono venuta con i bambini del CAI in Erba a visitare questa miniera di oggetti e di ricordi, Franco era lì a guidarci e a recitare i suoi versi commoventi. Ho voluto ricordare Franco Lodato, perché egli ci ha avvicinato al lavoro della gente onesta e con garbo e tanto amore ci ha guidato in avvincenti percorsi della memoria.

E quando la nuova struttura accoglierà la nostra visita, Franco sarà ancora lì, sempre vivo nel nostro ricordo, a guidarci per i luoghi dei nostri padri …

Cava de’ Tirreni (SA). Notte Bianca dei Licei Economico Sociali: si discute di Cittadinanza attiva e sviluppo del territorio

Laboratori, spettacoli, convegni per promuovere i temi dell’economia, dell’educazione civica e finanziaria: è la Notte Bianca dei Licei Economico Sociali, un’iniziativa che unisce a distanza tutti i Licei Economico Sociali del territorio nazionale. Dopo la pausa del 2020, l’appuntamento ritorna, dunque, con il tema “Le buone pratiche di cittadinanza attiva, un’opportunità economica per lo sviluppo del territorio”.

Ne discuteranno, in presenza, venerdì 19 novembre, nella sede di via Filangieri del Liceo De Filippis Galdi di Cava de’ Tirreni, Tiziana De Sio, referente Metellia Service, Sabato Fiore, direttore della BPER, Serafina Lucillo, housewife, Vincenzo Messina, imprenditore, Marcello Murolo, giuslavorista, Attilio Palumbo, presidente Legambiente, Sergio Scuoppo, presidente Mani Amiche, con il coordinamento della docente Mimma Di Nino.

L’appuntamento è alle ore 17.

Dopo i saluti della Dirigente scolastica del Liceo De Filippis Galdi, prof.ssa Maria Alfano, e dell’assessore all’Istruzione del Comune di Cava de’ Tirreni, avv. Lorena Iuliano, ad accogliere gli ospiti saranno gli allievi dell’indirizzo musicale diretti dalla prof.ssa Annalisa Fariello e, a seguire, le performances sul tema della Notte degli studenti dell’Economico-sociale, guidati dai docenti Daniela Paolillo, Letizia Puglisi e Mariangelica Scotto di Uccio. Alle ore 17.30 il collegamento da remoto con le 26 scuole della Rete Les Campania e il saluto della prof.ssa Maria Palma, Dirigente scolastica della scuola capofila, il Liceo L. A. Seneca di Bacoli, daranno ufficialmente inizio alla Notte 2021.

“Il Liceo Economico-sociale, introdotto con la riforma dei percorsi liceali del 2010, è un indirizzo di studi collegato alla realtà economica. Una solida cultura – dichiara la dirigente scolastica del Liceo De Filippis Galdi prof.ssa Maria Alfano – non può essere slegata dalla conoscenza del diritto e dei principi economici che ci muovono. Questo fa del Les un indirizzo di significativa modernità”.

L’evento si svolgerà nel rispetto delle norme anticovid.