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Al Ristorante Arcara piatti d’Amore nella Cena di San Valentino. E i ritmi del Cuban Trio aiutano il sangue a bollire

CAVA DE’ TIRRENI (SA). La figura di San valentino e la Festa degli innamorati non nascono dal puro seme odierno del consumo, ma hanno radici lontanissime nel tempo e sono comunque tra le più diffuse nel mondo.

Il Vescovo Valentino, di Terni, è infatti un martire cristiano del II-III secolo, decapitato alla bella età di novantasette anni per la sua opera di evangelizzazione e di promozione della famiglia cristiana, in particolare per aver unito in matrimonio una giovane cristiana con un ufficiale pagano, poi convertito. Da allora è considerato il protettore degli innamorati. Insomma, un santo che ha perso la testa per due giovani che avevano perso la testa uno per l’altro. Ricetta perfetta.

Si è progressivamente arrivati ai nostri tempi e ad altri tipi di ricette: quelle delle cene a lume di candela (oggi anche a lume di smartphone…) per coppie in vena romanticherie di tutti i generi, dal sospiro sognante al guardonismo virtuale all’happy sexy militante.

Non poteva mancare a questa festa il Ristorante Arcara di Cava de’ Tirreni, che sotto la nuova gestione di Nicola Villano e della moglie, la cubana Loipa Valdes, si sta specializzando in serate tematiche “food-show” (Cuba, Mediterraneo, cetara, Brasile, etc…), con sventagliate di cibi al bacio e musica o spettacolo secondo argomento. Stasera, per accompagnare i baci mescolati ai cibi, è in scena il Cuban Trio, che inonderà la serata di coinvolgenti ritmi afrocubani con pepate spruzzatine di pezzi afrocubonapoletani.

Alle 21,30, come da consuetudine, si parte.

Antipasto ricco mi ci ficco.

In apertura, veramente deliziosa la minestra di farro all’ortolana, impreziosita dall’inserimento di tocchettini di melenzane. Il farro è un cereale che viene da lontano (nei testi antichi relativi ai popoli mediterranei è sempre presente, a cominciare dai libri ebraici per finire al grande poeta latino Orazio) ed unisce l’utile al dilettevole, perché contiene molte proteine e fibre e poche calorie. Per di più è buono e non sfigura assolutamente di fronte a quelli che oggi sono ancora i suoi fratelli maggiori, cioè il riso e l’orzo.

Dal semiliquido della minestra al morbidamente solido dei bocconcini salati. Tra questi, il tortino di verze e la parmigiana di zucchine, una grande della tradizione ed una novità. Della parmigiana, stasera cucinata ottimamente alla maniera classica con le zucchine (come si fa con le melenzane), c’è poco da dire: è “una di noi”, un’amica del palato che fa parte integrante della nostra identità campana.

Ad onor del vero, però, bisogna dire che, se è tutta nostra la parmigiana di melenzane o zucchine con pomodoro, provola &Co., il tipo di pietanza è presente, con altri ingredienti, diversificati, in tutte, o quasi, le regioni italiane, tanto è vero che il nome evoca l’origine emiliana, con il richiamo alla città di Parma. Un’origine indiscussa, a meno che non si voglia dare credito a chi la fa derivare dal siciliano parmiciana, che è l’insieme dei listelli che compongono una persiana e che quindi descrive la struttura della pietanza. Ma anche in questo caso si andrebbe lontano da quella Napoli che poi l’ha santificata.

Ricco e saporito anche il tortino di verza, con le verze utilizzate come involucro, tipo lasagna, secondo un uso frequente in molte zone del mediterraneo, più che da noi in Campania, dove le verze si preferisce utilizzarle come accompagnamento di minestre, soprattutto col riso (anche nel Nord Italia si fa così, vedi la storica cassooeulalombarda)). Bene ha fatto allora lo chef a stimolarci proponendolo come involucro, con provola e besciamella, ottenendo un amalgama morbidamente saporito, con giustissimo equilibrio tra dolciastro e salato, solido e molle.

Ad accompagnare questo tris d’assi, un gustoso involtino di melenzane in stile parmigiana, con il tocco originale di pezzi di speck, e bocconcini di polenta con keddar, il famoso formaggio duro inglese. Anche qui, un bel connubio di tradizione e novità: infatti, se l’involtino di melenzana è oramai quasi un classico, lo speck è altoatesino, il keddar è inglese e la polenta sembra, almeno dalle nostre parti, ancora “roba del Nord polentone”. Eppure dovremmo ricordare che nella cultura passata la polenta di cereali era una delle componenti essenziali di tante cucine povere. Ancora oggi, a Napoli, la polenta fritta è un classico dei bocconcini da strada o degli sfizi prepizza. Bene ha fatto lo chef a ricordarcene l’essenza.

A chiusura degli antipasti, poteva mancare un caldissimo e sfiziosissimo scazzuoppolo? Oggi è il più diffuso ed amato bocconcino, una di quelle pietanze che possono addirittura caratterizzare il successo di una pizzeria, poco meno della pizza stessa ed un po’ di più delle patatine fritte, Lo scazzuoppolo è napoletano doc, nato come è a Materdei, da un’idea del pizzaiolo Antonio Starita, che trovò il modo di utilizzare al meglio e secondo napoletanità pommarolara i pezzettini residui di pasta della pizza. Oggi, per lo scazzuoppolo la pasta si fa apposta: i residui non basterebbero assolutamente…

Gli antipasti oggi costituiscono il cuore e la veste di un ristorante e più che “anti” sono essi stessi dei pasti. Il primo e soprattutto l’eventuale secondo sembrano quasi un di più. Ma il piatto di pasta, anche se si è pieni, si gusta sempre con piacere. Quando poi è fatto di mezzi paccheri con ben tirato ragù di carne di manzo, il pacchero merita sempre un abbraccio per lo chef, che nel nostro caso ha aggiunto un tocco non usuale, profumando la salsa con polvere di timo. Un odore intenso di erba aromatica e medicinale, che arriva al palato come protagonista, non come retrogusto. A noi è piaciuto, ma ci rendiamo conto che è un matrimonio rischiosetto, che potrebbe anche dividere.

Originale, ma tradizionalmente mediterraneo, il secondo primo piatto, un bianco dopo il rosso del ragù. . Base pugliese, con le classiche orecchiette, salsa di zucchine morbidamente insaporite in deliziosa vellutata e rafforzate da pezzetti di salsiccia Non propriamente un omaggio alla Signora leggerezza, ma promozione a pieni voti da parte di Mr. Gusto.

Il secondo piatto giunge a stomaco oramai imbottito più di un involtino. Bocconcini di carne con porcini, noci e uvetta: non i più teneri del mondo, ma la salsa è originale e ben saporita e comunque l’insieme serve a ricordare che a San Valentino non si devono dimenticare i piaceri della carne…

Già, i piaceri della carne fanno parte del dolce della vita, e non a caso subito dopo arriva a tavola uno sfriccicante e cremoso millefoglie con panna e frutti di bosco, a chiudere la parte mangereccia della serata, che però continua ancora per oltre mezz’ora con rombanti rumbe del Cuban Trio. E non solo rumbe, ma ritmi avvolgenti di vari tipi, nel gusto pieno della musica a tutto campo, con divertiti e divertenti assolo e con una dolcemente scatenata nenia finale, al ritmo scatenatamente dolce di ripetuti e cadenzati Aye Aye Oba Oba, che da una parte evocano lo spirito del mondo dall’altra smuovono il sangue con le variazioni tonali e la partecipazione collettiva..

Poi, tutti a casa… o, dato il clima della festa, dove porta il cuore. Dalla cena a lume di candela (o di smartphone) il cammino forse porta dove si spegne la candela (ed anche lo smartphone, speriamo), per una conclusione degnamente romantica.

Una conclusione da gustare a lungo a lungo. Magari, ricordando che lo strano anagramma della parola San Valentino è: ‘na sveltina? No! Giusto! In fondo, il santo va … lentino e non va … sveltino.

Buoni amori a tutti!

La scomparsa di Peppino Muoio, giornalista e docente, uno dei cavesi più noti e benvoluti: con lui sono volati via un pezzo di storia ed un mattone di umanità

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Grande impressione in Città per la scomparsa improvvisa del prof. Giuseppe Muoio, giornalista de “Il Mattino”, Direttore per quindici anni del periodico “Il Castello” e per dieci circa dell’emittente Quarta Rete, docente di Storia e Filosofia in pensione, stroncato da un infarto il 4 febbraio scorso. Ne affidiamo il ricordo al nostro Redattore Franco Bruno Vitolo, collega a scuola è suo strettissimo collaboratore sia al Castello che in TV, oltre che unito a lui da un affetto e da un’amicizia che venivano dal cuore.

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Ma che cosa hai combinato, caro Peppino?

Ti sei fatto colpire alle spalle dalla Signora in nero, così all’improvviso, quasi senza accorgertene? Lei, forse, voleva essere gentile con te, evitandoti l’angoscia di guardarla più o meno a lungo negli occhi gelidi mentre ti portava via.

Ma tu non potevi dirle che, anche se le eri grata per averti risparmiato la violenza, i tempi non erano proprio quelli giusti?

Non potevi farle presente che, anche se non eri più un giovincello, avevi ancora l’energia per fare tante cose e avevi ancora tante cose da fare?

Innanzitutto, eri ancora uno dei principi della piazza, che risuonava, e risuona ancora, dei tanti incontri che facevi ogni giorno, con relative fermate dopo il classico e sempre variabile sorridente sfottò firmato Peppino e le successive quattro chiacchiere mai banali, con annessi e connessi che creavano giorno dopo giorno la rete che ha fatto di te un grande conoscitore e “gazzetta”della Città e dei Cavesi e soprattutto un amico, noto, popolare e benvoluto.

E la riprova l’hai avuta sia da tutta quella gente che ti ha accompagnato per l’ultimo saluto, sia dalle testimonianze scritte e “a passaparola” che ti hanno accompagnato, sia dai circa venti manifesti di commiato. Ma ti rendi conto? Come se tu fossi un’autorità istituzionale! Eppure non hai ricoperto nessuna carica pubblica. Ma a modo tuo eri un’autorità! Una partecipazione più sincera e ampia di così…

A proposito, sicuramente ti avrà (o ti avrebbe) fatto piacere notare i manifesti affettuosi di partiti schierati su fronti opposti, da Fratelli d’Italia al PD a Rifondazione Comunista. Un riconoscimento spontaneo e tangibile della tua onestà intellettuale, oltre che del tuo indiscusso valore come giornalista, che aveva le sue idee personali ma nel loro nome non è mai stato disposto a mistificare notizie ed opinioni.

Sai, mi è venuto in mente quando, in uno dei tanti giorni degli oltre quindici anni felici, tormentati e gratificanti in cui, come coppia di fatto, abbiamo partorito insieme decine e decine di numeri del Castello post apicelliano, eravamo stati apostrofati nell’arco di un’ora prima da alcuni esponenti dell’allora PDS come venduti alla Curia e alla destra e poi da un paio di militanti della destra come inaffidabili perché eravamo la “lingua dei comunisti”. Sorridesti, sorridemmo: ci dicemmo a volo che era la prova che la nostra strada di libertà mentale e onestà intellettuale era giusta.

Del resto, era la linea che applicavi negli articoli sul Mattino che per decenni hanno fatto di te il decano dei giornalisti ed il più noto dei cronisti metelliani. Senza contare il tuo ruolo a Quarta Rete: ne volevi fare, e ne hai fatto, la Televisione della Città. Così come il Castello è stato il giornale della Città e della Piazza, così come tu sei stato il Principe della Piazza e il movimentatore sornione ed intelligente degli Uffici istituzionali e di informazione, dove la tua presenza saltava subito all’occhio e all’orecchio e dove si finiva sempre con un cordiale “caffè del buon Peppino”.

E allora? Eri un principe in carica, solidamente in carica, con tante cose ancora da dire o da dare: non lo potevi dire alla Signora in nero?

Non la potevi accogliere con quella mazza che in tempi ormai quasi “mitici” accompagnava a scuola le tue perlustrazioni tra i corridoi del Liceo Scientifico “Genoino” e i tuoi blitz nelle classi, tante volte infiorate dal rombo delle tue sgridate. Quella mazza è poi andata in pensione prima di te, ma i ragazzi avevano capito che era comunque un segno di attenzione e di affetto, della tua voglia di relazione umana e paterna non solo con i tuoi alunni diretti, ma con ognuno delle migliaia di allievi che ti sono passati davanti agli occhi ed al cuore. Di tantissimi di loro conoscevi i nomi e le storie e alle loro vicende sapevi partecipare con la visibilità emozionale che ti caratterizzava; ognuno di loro era prima di tutto una persona.

Per questo, oltre che per la tua dimensione di docente, intere generazioni ti hanno voluto bene, per questo nei giorni del pensionamento proprio dai ragazzi riuniti per l’occasione hai ricevuto una standing ovation che ti ha fatto letteralmente squagliare, così come ti fecero squagliare quelle cinque mie alunne (ricordi?) che una settimana prima del tuo ultimo giorno a scuola mi pregarono “in segreto” di farti accomodare in un’aula per consegnarti una torta di commiato tutta loro. Dopo averla tagliata vi abbracciaste stretti stretti inondandola e inondandovi di lacrime. E non erano tue alunne dirette: era il segno che a scuola avevi lasciato un segno, e che segno!

Era il segno della tua umana amabilità. Non lo potevi ricordare alla Signora in Nero chiedendole di essere meno frettolosa?

E non le potevi far presente che a giorni avreste dovuto spegnere le candeline del primo anniversario della tua tanto agognata “puntella”, quel Peppiniello Muoio la cui nascita ti fece accendere uno tsunami di scintille tra le pupille di Nonno Gongolante? Non le potevi ricordare che, mentre la rete di relazioni della vita pubblica era lo sfogo buono e giusto della tua voglia di esserci e di partecipare oltre il tuo ombelico, il porto irrinunciabile dei tuoi “viaggi quotidiani” era la tua famiglia, a casa ed in tutti i luoghi dove era possibile respirare l’aria dei tuoi figli e dei loro figli? Avevi ancora tanti viaggi da fare, insieme con il tuo “polmone Emilia”, per dare una mano a Salvatore e Anna Maria, e a Marina e a Gaetano, in Sicilia e in Germania o nelle concentrazioni familiari qui a casa tua. E avevi ancora tante storie da raccontare e mani da porgere alle amatissime nipotine, a cui avete fatto tante volte da impagabili ed affettuosi nonni sitter.

Non potevi dire alla Signora in nero che avevi ancora tante scale da scendere sottobraccio col tuo “polmone Emilia”, con cui avete mantenuto e creato una famiglia di quelle belle, ricche di valori che vanno oltre e guardano lontano? Quei valori di cui sei sempre stato un dichiarato e fiero portatore e che ti erano stati trasmessi nella loro integrità dai tuoi “sacri” genitori, il Papà calzolaio e la Mamma “combattente”, artefici primi, col loro sudore, del Grande Salto in avanti dei figli.

Ricordi? Una volta venisti in classe e ti raccontai che stavo spiegando del poeta latino Orazio quel passo in cui egli dice che, anche se la gente “nobile” a volte gli rinfacciava le sue origini popolari, egli era profondamente grato al padre per i sacrifici che aveva fatto per farlo studiare, portarlo a Roma e farlo diventare un uomo di successo e che, se fosse tornato a nascere e avesse avuto la facoltà di scegliersi un padre, si sarebbe scelto ancora il suo, con tutto il cuore. E ti guardai fisso negli occhi. Tu mi ricambiasti lo sguardo e sorridendo dicesti: “Ma stavi parlando di me?’”. E ti si inumidirono gli occhi e insieme spiegammo ai ragazzi il perché di quella commozione e anche loro si commossero e fu una bellissima lezione di vita. Una delle tante che hai saputo regalare nel corso della tua vita feconda..

Gliele potevi dire queste cose alla Signora in nero, caro Peppino. Ma forse anche in questo caso ha prevalso quella parte un po’ più nascosta di te: quella pudica timidezza a cui tante volte hai messo a freno con la tua esteriore esuberanza e con la tua capacità di farti burattinaio anche senza farlo vedere. Non ce l’hai fatta proprio a dire tutto questo, eh? E, per dirla con i tuoi cari, hai fatto “il monello” o “una vutata di quarto”, come tante volte ti piaceva fare, quando volevi “andare cu’ ‘a capa toja”: e li hai lasciati così, smarriti e sospesi, quasi increduli. Ci hai lasciati così, sospesi e increduli. E tanti di noi si sono sentiti deprivati di un pezzo di storia generazionale e cittadina. Senza contare l’alone affettuoso e amicale che sapevi creare intorno a te.

Di segni ne hai lasciati tanti, caro Peppino. Non preoccuparti. Rimarrai con noi. E gli affettuosi ricordi di episodi, frasi, articoli, che ti accompagnano, hannoo lasciato una scia che non può svanire: e saranno loro la tua “puntella in Città”.

Ciao, Peppino, e ti sia lieve la terra.

Presentato in Comune l’Annuario dell’Accademia Arte e Cultura: una vetrina di qualità per letterati ed artisti di sei nazioni

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Piccolo ed elegante, pregno di testi, dipinti e immagini, impreziosito da una grafica qualificante ed appropriata, arricchito dalla novità delle note critiche e di un’ampia sezione di baby artisti. Parliamo di Parole, segni e colori, l’Annuario 2016 di Arte e Letteratura Contemporanea dell’Accademia Arte e Cultura di Castel San Giorgio fondata e diretta dal Maestro Michelangelo Angrisani, presentato sabato 30 gennaio scorso nella bellissima Sala di rappresentanza del Comune di Cava de’ Tirreni, con una cerimonia agile e umanamente e culturalmente ricca.

Oltre allo stesso Angrisani, che per conto suo è un artista qualificato e stimato, oltre che insostituibile motore-benzina-ruote dell’Accademia, nel corso della manifestazione, condotta con la consueta disinvoltura e cordiale affabilità dalla giornalista e scrittrice Rita Occidente Lupo, sono intervenuti il Presidente del Consiglio Lorena Iuliano ed il Consigliere Giovanni Del Vecchio in rappresentanza del Sindaco di Cava Vincenzo Servalli, l’Arcivescovo dell’Arcidiocesi Amalfi – Cava Mons. Orazio Soricelli, il Commissario dell’AST Carmine Salsano, e con loro Luigi Crescibene, critico d’arte e scrittore, lo scrivente Franco Bruno Vitolo, giornalista e operatore culturale, che ha anche collaborato all’editing. L’accompagnamento musicale è stato affidato al giovane Ernesto Tortorella, cavese doc, appena diciannovenne ma già pianista di gran vaglia, che, suonando tre brani da lui stesso composti, ha impressionato per la padronanza del tocco, per il ritmo e le tonalità che sa imprimere alla frase musicale, per la capacità di farsi non solo esecutore ma anche interprete e quindi per l’empatia che riesce a suscitare nell’ascoltatore.

Nel corso della serata è stato presentato, attraverso una conversazione con l’autrice guidata dal docente universitario Umberto Pappalardo, il romanzo di Filomena Baratto Just Job, che racconta l’odissea di un uomo di mezza età che ha perso il lavoro, e la sua successiva resilienza grazie al sostegno di persone “importanti” ed alla consolazione della poesia. Con la consueta disinvoltura e sicurezza ha condotto la manifestazione Rita Occidente Lupo, giornalista e scrittrice.

L’edizione 2016 dell’Annuario, quarta della serie, è la più bella e la più ricca, sia per l’aspetto estetico, sia per il numero di poeti, scrittori ed artisti, circa cento di cinque nazioni diverse (Italia, Israele, Romania, Belgio, Spagna), per l’inserimento di numerosi baby autori, il cui livello in certi casi gareggia con quello degli adulti, e per la novità delle recensioni critiche relative alla di ognuno dei personaggi inseriti, recensioni curate per la Sezione Artistica da Luigi Crescibene, per quella letteraria dallo scrivente FB Vitolo, per i baby autori dal prof. Fabio Dainotti.

Alla fine, non solo per le quattro edizioni dell’Annuario e per il fecondo gemellaggio con Cava avvenuto negli ultimi tre anni, ma soprattutto per le capacità di iniziativa, formative e promozionali, chi è uscita vincente dalla manifestazione è stata l’Accademia Arte e Cultura, che da vent’anni fa da palestra per gli emergenti e da finestra per le figure già affermate. E, ciliegina sulla torta, fa da ponte tra Castel San Giorgio – Cava e la Regione e il resto d’Italia ed anche alcune zone oltre frontiera.

Nel nostro caso, fa anche da ponte di continuità a Cava tra l’accoglienza dell’Amministrazione Galdi, che ha ospitato mostre, concorsi e presentazioni nelle sale comunali, e la disponibilità della nuova Amministrazione Servalli, che ha aperto le porte alle iniziative promosse dal Padre Motore e Madre Benzina dell’Accademia, l’impagabile Michelangelo Angrisani. Quando l’Arte è Cultura e la Cultura viene praticata come un’ Arte, questi ponti creano legami anche tra realtà diverse e possono diventare dei prati fioriti.

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A questo punto ci sembra cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di conoscenza, segnalare i nomi dei magnifici cento che hanno riempito ed arricchito le pagine dell’Annuario e che rappresentano i quattro quinti degli “amici dell’Accademia”. A loro complimenti ancora… e buona prosecuzione del Viaggio!

Poeti, scrittori, artisti adulti: Luigi Abbro, Anna Avossa, Nancy Avellina, Saverio Barone, Antonio Arpaia, Maria Cappuro, Carmine Avagliano, Ernesto Carini, Antonietta Ciancone, Filomena Baratto, Filippo Chiappara, Vincenzo Caccamo, Maria Cocchi, Giuseppina Califano, Daniela Conti, Donato D’Angelo, Maria Califano, Giuseppe Di Mauro, Anna Cervellera, Antonella M.I. Cicale, Anna Esposito, Nina Esposito, Giuseppe Falanga, Ettore Cicoira, Anna Ferrentino, Adriana Ferri, Sofia Colaiacovo, Gianna Formato, Anna Maria Guerrieri, Carmelo Cossa, Jeanine Lucci, Annamaria Maio, Concetta Masciullo, Paola De Lorenzo, Riccardo Mikan, Giovanna Orilia, Emanuela Ingenito, Paola Paesano, Annabella Mele, Gennaro Pascale, Rosaria Minosa, Raffaele Picarella, Emanuele Occhipinti, Pilar Segura Badia, Pasqualina Petrarca, Antonio Santoro, Maria Panetti Petrarca, Adalgisa Santucci, Liliana Scocco Cilla, Nicolae Adrian Popescu, Alessia Sarti, Giuseppe Romano, Giovanni Rotunno, Cinzia Scaramella Conti, Maria Stimpfl, Anna Sessa, Francesca Vitagliano, Francesco Terrone, Lorenzo Siani, Angela Maria Tiberi, Giancarlo Trapanese, Angelo Spatuzzi, Sergio Zappia, Dina Zilberberg.

Baby artisti: Enrica Maria Aiello, Baciu Andrei-Dumitru, Dragomir Mariana Larisa, Middei Vincenzo, Onisimiuk Nicoleta-Andreea, Orosanu Laura, Petra Ana Mirica-Bobit, Immacolata Diana Turica, Ursulean Mihai-Gabriel, Andrea Zappia.

Soci onorari: Luigi Crescibene, Fabio Dainotti, Rita Occidente Lupo, Franco Bruno Vitolo.

Tra cortei, canti, danze e riflessioni celebrata la Giornata della Pace, all’insegna del profumo e contro l’indifferenza

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Trenta gennaio, Giornata della Pace, celebrazione di alto profilo e “in gruppo”, promossa dall’Arcidiocesi Amalfi Cava, organizzata con la collaborazione del Punto Pace Pax Christi, realizzata con la partecipazione di numerose realtà associative e parrocchiali, costruita con spirito e temi capaci di “bucare” l’attenzione ed arrivare diritto alla mente ed al cuore.

La parola d’ordine giusta al momento giusto, in questi tristi tempi di smottamento sociale e tensioni armate: “Vincere l’indifferenza, conquistare la pace”. Parola d’ordine dettata da un Papa che sta sfoderando tutte le “armi” a sua disposizione per costruire un mondo di ponti senza muri, un mondo in cui nessuno rinunci a portare il suo mattone.

Affascinante la parola d’ordine, contenuta nel manifesto e nel titolo della manifestazione: Il profumo della Pace. Profumo reale, portato dai partecipanti per distribuirlo agli altri, come fece la donna che unse Gesù. Profumo metaforico: cospargere l’altro è il segno dell’accettazione, della disponibilità, della solidarietà. Profumo ecumenico: una carica odorosa contro la globalizzazione dell’indifferenza in una società ogni giorno più piena di cerotti, bombe, violenze, ingiustizie di tutti i generi.

E poi, la Pace cercata, vissuta, danzata. Prima, si è formato un corteo trascinante, al seguito dell’Arcivescovo Mons. Orazio Soricelli, del Vicesindaco Nunzio Senatore, del Coordinatore del Punto Pace Pax Christi di Cava Antonio Armenante; un corteo ricco di canti, di colori, e di ritmi che donavano il pieno di energia, grazie anche al contributo di una band parrocchiale molto speciale, guidata con slancio coinvolgente e tenera combattività dalla “paladina” Marilena Ronca.

Quindi, tutti insieme, nel complesso di Sant’Alfonso, a costruire spezzoni di ponte attraverso le parole di don Angelo Mansi, Vicario episcopale per la Pastorale, che attraverso una parabola ha raccontato la ricerca del profumo di se stessi, necessario per profumare il rapporto con gli altri.

E poi, le parole infuocate di Antonio Armenante che, dopo aver disegnato la proposta di una Rete solidale tra le famiglie e aver tuonato contro le banche che finanziano il commercio delle armi (e siamo noi a finanziarle…) e contro le spese di morte (guerre, armi, cacciabombardieri F 35) che vengono sempre preferite alle spese di vita (scuole, ospedali, tutela del territorio), alla fine ha invitato a mobilitarsi, con firme e iniziative similari contro tale sconcio, a cominciare dalla richiesta scritta ai politici locali di votare contro la ratifica dell’acquisto degli F 35.

Hanno emozionato e stimolato le parole di costruzione solidale della bella storia di Lucia di Padula, accompagnata da Degol, il migrante che tempo fa lei ha ospitato in casa e poi si è integrato ed è diventato autonomo: una storia iniziata con l’ospitalità offerta ad un gruppo di migranti nel proprio agriturismo e poi sviluppatasi attraverso un’osmosi non facile ma intensamente cercata tra culture e costumi diversi.

Ha colpito al cuore il resoconto di Pasquale Vitale, che ha raccontato la pressione dei volontari internazionali dell’Operazione Colomba, che in Palestina cerca di porre un argine all’espulsione progressiva dei palestinesi dai loro villaggi.

Hanno creato feconde tracce di cammino le conclusioni di Mons. Orazio Soricelli, che ha colto al volo l’occasione per ricordare l’importanza di un cammino “veramente” cristiano, che per essere tale, oltre che ispirato alla pratica dell’amore e della solidarietà, non può e non deve essere comodo né alieno dal provocare “scomodità”.

Chiusura alla grande con le poetiche metafore della splendida poesia- preghiera di don Tonino Bello, “Un’ala di riserva”, un inno alla solidarietà ed allo sforzo per realizzarla, recitato con coinvolgente impatto vocale dall’attore Andrea Adinolfi (fondatore della Scuola Casa Teatro) e danzato magnificamente in un passo a due da Anna Chiara Di Donato (maestra di danza, fondatrice dell’Associazione Ars tua) e Francesco Morriello (allievo del Liceo Coreutico “Alfano I” di Salerno). Sublimate dalle celestiali note morriconiane di Nuovo Cinema Paradiso, danza e recitazione hanno creato il classico momento magico, in cui le emozioni e le motivazioni individuali si dissolvono e si esaltano in un afflato collettivo che non si scioglie neppure dopo il grande e convinto applauso finale.

L’afflato vero era stato già creato dalla ben riuscita manifestazione e soprattutto dallo spirito e dagli ideali che l’hanno animata. Non ideali fumosi, perché quando si parla di Pace, si parla di tutti, perché la Pace coinvolge la vita sociale come quella quotidiana di ognuno di noi, e la frase “La Pace comincia da me” non è un’astrazione, considerando tutti i momenti della giornata in cui, nel nostro privato, ci troviamo a scegliere tra ponti e muri.

Perciò l’Andate in Pace che ha concluso la manifestazione, così come succede con tanti rituali ecclesiastici, è un augurio ricco e fecondo, ma non è certo l’invito al riposo.

In fondo, come suggerisce don Tonino Bello, anche se l’invito richiama più la vestaglia da camera che lo zaino del viandante, dobbiamo rivoltare la mentalità per capire che la pace non è un dato, ma una conquista, non è un bene di consumo, ma il prodotto di un impegno.

Papa Francesco l’ha capito, lo sa e sta cercando di farcelo capire in ogni modo.

Ha ragione. Non lasciamolo solo. In fondo, anche a questo può servire “Il Profumo della Pace” …

Storia di un sasso che non sapeva di essere un asso: pubblicata la favola “Sasso Picasso”, raccontata da Agata Vignes e illustrata da Chiara Savarese

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Picasso è un sasso. Vive lungo una strada vicino al mare e non fa che lamentarsi tutto il giorno perché crede di essere inutile e di non servire a nulla. Un giorno, però, accade qualcosa di speciale e il sassolino, che si credeva inutile e privo di senso, guarda se stesso da un’altra angolazione e scopre che anche lui può… E da quel momento la sua vita cambierà. Ed anche il modo che hanno gli altri di guardarlo. Ed anche il modo che ha lui di guardare se stesso e gli altri.

È questa la storia di Sasso Picasso, raccontata da Agata Vignes ed illustrata da Chiara Savarese e pubblicata in un simpatico e colorato libretto, dalla copertina significativamente giocata su un sasso incorniciato con contorno giallo oro in un mare di verde speranza. Un libretto pronto a circolare, a parlare al mondo e ad aiutare ogni bambino, e non solo i bambini, a rafforzare autostima e fiducia in se stesso e nella vita.

Questa, del resto, è la giusta missione di ogni favola che si rispetti e che deve far capire che dopo ogni selva oscura ci possono essere squarci o praterie di luce, che per ogni lupo che ti divora c’è un cacciatore pronto ad aprire la pancia del lupo e che magari quel cacciatore è la stessa persona che sta nella pancia del lupo…

A proposito di cacciatori, andiamo ora a caccia delle due autrici per scoprire con loro il “segreto del Sasso”.

Agata Vignes, trentaquattro anni,laureata in Scienze dell‘educazione, cavese doc, è insegnante di scuola primaria presso il III circolo di Cava de’ Tirreni. Inventare, raccontare, scrivere, illustrare fa parte del suo DNA professionale, ma è un DNA che viene da lontano, dalla sua formazione e dalle sue pennellate fantasie di bambina a colori. Un DNA tenero e sognante che nel suo cammino ha trovato un sasso tutto da colorare e che lo ha reso anche resistente e muscoloso, come lei stessa ci confessa.

Questa storia è nata per caso, come sempre succede alle storie, ma non è un racconto del tutto casuale. Nel protagonista, Picasso, trasferisco una parte del mio vissuto personale, quello di mamma di un bambino dolcissimo, nato con una grave encefalopatia. Un pomeriggio d’estate un gruppo di bambini si avvicina sotto l’ombrellone chiedendomi di conoscerlo . Non sapendo come farli interagire, ho raccolto dei sassi e da lì abbiamo inventato diversi giochi. È stata la prima volta che mio figlio veniva visto così come dovrebbe essere per ognuno di noi: una vita con la possibilità di poter donare qualcosa agli altri e al tempo stesso di poter ricevere. Da qui muove i primi passi la storia di “Sasso Picasso”. Questa è una storia che aiuta, soprattutto, a credere nelle proprie potenzialità che non sempre riusciamo a conoscere e riconoscere.

La differenza la fa non quello che siamo, ma come ci guardiamo e possiamo diventare”. In questo processo di crescita, allora, l’aiuto degli altri diviene fondamentale, ma solo l’incontro con coloro che sono capaci di guardare al di là di ciò che appare semplicemente.”

Chiara Savarese, anche lei cavese doc, è una pittrice e illustratrice freelance, con vocazione al disegno fin da bambina, una vocazione che le ha fatto lasciare i suoi segni su centinaia di pagine bianche, di carta e virtuali e l’ha portata diritta diritta all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Tutto ciò che è figura le interessa e la coinvolge: illustrazioni, animazione, calcografie, editoria d’arte sono mezzi buoni e giusti per raccontare e per raccontarsi. L’incontro con Agata e la sua richiesta sono stati per lei l’ennesima, stimolante sfida a colori. Una sfida vinta, ma con un inizio allegramente deviante.

Non ero ancora a conoscenza della vicenda personale celata dietro la storia: sin dalle prime righe l’avevo trovata molto tenera e a tratti buffa ed è per questo che ho optato per colori luminosi e freschi, primaverili direi. Poi, quando ho capito chi era in realtà Picasso, ho provato un forte senso di responsabilità: pubblicare la storia avrebbe realizzato non solo il sogno di vedere un albo illustrato da me in libreria, ma specialmente il sogno di “mamma” Agata!”

A parlarne, a pensare come dai semi dell’ombra sia potuta fiorire anche la luce, sorridono ammiccanti e ammiccano sorridenti, come due “mamme” compiaciute della loro creatura.

Anche dalle rotolate a colori di quel sasso possono nascere nuove vite, se con queste intendiamo il recupero, la scoperta, la conquista o la farfallizzazione di se stessi, quando si capisce che ognuno di noi ha un che di speciale e irripetibile. Ognuno di noi è una pietra preziosa e la ricerca e/o lo scavo di questa pietra possono essere affascinanti come una caccia al tesoro e stimolanti come la luce dell’intelligenza e della sensibilità a lampadine tutte accese.

Non è forse anche questo il gusto pieno della vita?