Settembre, 2019

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CAVA DE’ TIRRENI (SA). La 58ª “Podistica Internazionale San Lorenzo” al ruandese Hitimana, straordinario record della keniana Moseti

Tanti attori protagonisti. Dal ruandese Hitimana, vincitore della Gara Assoluti, al campione di pallanuoto Paolo Trapanese, applauditissimo testimonial. Una regia perfetta, firmata dal Gruppo Sportivo “Mario Canonico S. Lorenzo” e dal Comitato di Cava de’ Tirreni del Centro Sportivo Italiano. Ma soprattutto una prima donna, la keniana Moseti, interprete di una recita straordinaria, che le è valso il record della gara. Decisamente da “Oscar” il film della 58ª edizione della “Podistica Internazionale San Lorenzo”, andata in scena domenica 29 settembre 2019 a Cava de’ Tirreni (Sa) con partenza ed arrivo nella frazione San Lorenzo.

Circa 300 gli atleti ai nastri di partenza della storica manifestazione metelliana, che rappresenta una delle gare podistiche più antiche sul territorio nazionale e che anche quest’anno è stata inserita nel calendario dei Meeting Nazionali del Centro Sportivo Italiano.

C’era molta attesa in particolare per la Gara Assoluti Maschile e Femminile, alla quale ha dato il via uno “starter” d’eccezione: il cavese doc Paolo Trapanese, grande campione di pallanuoto, attualmente avvocato civilista e Presidente della FIN (Federazione Italiana Nuoto) Campania.

Autentica ovazione e numerosi attestati di stima da parte del folto pubblico presente per l’illustre testimonial di quest’edizione 2019, la cui carriera, impreziosita da numerosi titoli nazionali ed internazionali e da 200 partite a difesa della porta della Nazionale, è iniziata nella sua città natale ed è stata caratterizzata tra l’altro dall’appartenenza al Centro Sportivo Italiano. Paolo Trapanese è stato tra le “star” anche della Cerimonia di premiazione post-gara, durante la quale ha ricevuto dagli organizzatori un’opera ceramica realizzata da Giuseppe Cicalese.

Ritornando al “fronte agonistico”, nella Gara Maschile – Trofeo Armando Di Mauro (km 7,8) trionfo del ruandese Noel Hitimana (classe 1990) dell’Atletica Castello Firenze, che con il tempo finale di 23’23” ha preceduto i marocchini Hicham Boufars (classe 1988) dell’ASD International Security Service e Youssef Aich (classe 1987) di Mondragone in Corsa.

L’atleta ruandese ha imposto il suo ritmo fin dalle prime falcate, staccando progressivamente tutti gli avversari e transitando solitario al passaggio intermedio a San Lorenzo (km 2,8). Una seconda parte di gara più “controllata” non ha comunque impedito ad Hitimana di tagliare il traguardo con un buon margine sui più diretti inseguitori, giunti Boufars a 20” ed Aich a 27” dal vincitore.

Quarto e primo degli italiani una “vecchia” conoscenza della “Podistica Internazionale San Lorenzo”, Gilio Iannone (classe 1985, tempo 25’13”) dell’ASD Carmax Camaldolese, che ha preceduto il “collega di club” Giorgio Mario Nigro (classe 1987, tempo 25’34”).

Nella Gara Femminile – Trofeo Agnese Lodato straordinaria performance della keniana Winfridah Moraa Moseti (classe 1996), grande favorita della vigilia, che con il crono finale di 25’19” ha letteralmente polverizzato il precedente record della corsa, stabilito nel 2012 da Claudia Pinna con il tempo di 27’11”. L’atleta africana, portacolori dell’ASD Virtus VII Miglio Settimello, ha viaggiato all’impressionante media di 3’14” al km, arrivando addirittura 5ª nella classifica generale degli Assoluti.

Una prestazione davvero incredibile, grazie alla quale la Moseti ha scavato fin da subito il vuoto tra sé e le avversarie. Basti pensare che la 2ª classificata, Aurora Ermini (classe 1986) dell’ASD ACSI Italia Atletica, è arrivata al traguardo con un distacco di 3’23” dalla trionfatrice. Sul 3° gradino del podio la marocchina Hanane Janat (classe 1983, tempo 29’02”) dell’ASD Podistica Il Laghetto.

In contemporanea e sullo stesso percorso degli Assoluti hanno gareggiato anche gli Allievi – Trofeo Giuliano Ferrara, che hanno terminato la loro “fatica” al traguardo intermedio di San Lorenzo (km 2,8). Successo di Alessandro Amantea (classe 2003, tempo 10’01”) dell’ASD Atletica Isaura Valle dell’Irno, alle cui spalle si sono piazzati Diego Caliendo (classe 2003, tempo 10’47”) dell’ASD Carmax Camaldolese e Matteo Memoli (classe 2003, tempo 10’57”) del Circolo Canottieri Irno ASD.

La giornata si è aperta come da tradizione con la gara (m 900) dedicata agli studenti delle Scuole Medie, a conclusione del progetto “Aspettando la San Lorenzo”, alla quale ha dato il via Antonio Fogliano, attuale Presidente dell’ASD Napoli Running ed indimenticabile vincitore nel 1974 della 13ª edizione della “Podistica San Lorenzo”. Si è imposto Giorgio Bisogno dell’Istituto Comprensivo Balzico, davanti a Martina Lodato (Istituto Comprensivo Trezza) e Luca Bisogno (Istituto Comprensivo Balzico).

Da segnalare anche le affermazioni nelle Allieve di Anna Luisa Sbozza dell’ASD Atletica Isaura Valle dell’Irno, tra i Cadetti di Ferdinando Bassano sempre dell’ASD Atletica Isaura Valle dell’Irno e nelle Cadette di Marina Guadagno del Circolo Canottieri Irno ASD.

Nella classifica per società trionfo dell’ASD Carmax Camaldolese, che ha preceduto l’ASD Atletica Isaura Valle dell’Irno e l’ASD Liberi Insieme di Cava de’ Tirreni, mentre per le categorie giovanili ha primeggiato il Circolo Canottieri Irno di Salerno, cui è andata l’ambita Medaglia di Bronzo del Presidente del Senato.

Le intense emozioni della giornata, “amplificate” dalla calda voce dello speaker Marco Cascone, sono proseguite durante la Cerimonia di premiazione, svoltasi nella Corte Rinascimentale di Casa Apicella e preceduta da un’esibizione musicale dell’“Orchestra&Coro Con…fusione” dell’Istituto Comprensivo “Trezza”, alla cui Dirigente scolastica, Filomena Adinolfi, il Presidente del Gruppo Sportivo “Mario Canonico S. Lorenzo”, Antonio Del Pomo, rivolge un sentito ringraziamento per la grande collaborazione prestata.

Alla presenza di numerose autorità, tra cui il Sindaco di Cava de’ Tirreni, Vincenzo Servalli, il Delegato provinciale del CONI, Paola Berardino, ed il Presidente regionale del Centro Sportivo Italiano, Enrico Pellino, oltre a vari Assessori comunali e Dirigenti scolastici, si sono succedute le premiazioni per le varie categorie. Con due apprezzatissimi “intermezzi”: la proiezione del videomessaggio di saluti ed auguri inviato alla kermesse cavese da George Aaron Hirsch, Presidente del Consiglio d’Amministrazione del New York Road Runners e tra i fondatori della celebre Maratona della “Grande Mela”, e la consegna del riconoscimento allo “Sportivo cavese dell’anno”, istituito dall’Amministrazione comunale – in collaborazione con il Gruppo Sportivo “Mario Canonico S. Lorenzo” e con il Comitato CSI di Cava de’ Tirreni per premiare lo sportivo metelliano maggiormente distintosi nel corso dell’anno.

Quest’anno eccezionalmente il premio è stato attribuito alla Cavese Calcio 1919, con la seguente motivazione: “Per il suo Centenario, ad espressione dell’apprezzamento e della riconoscenza per l’impegno e la vicinanza sempre profusi nella crescita sportiva della Città di Cava de’ Tirreni”. A ritirare il riconoscimento è stato personalmente il Presidente aquilotto Massimiliano Santoriello.

La consueta foto di gruppo finale è stata la degna conclusione di una giornata intensa ed emozionante. Come quelle che solo la “Podistica Internazionale San Lorenzo” sa regalare ai suoi atleti ed ai suoi appassionati. Appuntamento fissato a settembre 2020 per la 59ª edizione.

Le ultime mirabili parole del cavese gen. Sabato Martelli Castaldi alla Malga Lunga presso Bergamo

Non una poesia, questa volta, ma un sublime insegnamento d’amore universale.

Quando il tuo corpo
non sarà più, il tuo
spirito sarà ancora più
vivo nel ricordo di
chi resta. Fa che
possa essere sempre
di esempio.

Queste le ultime parole, l’ultimo messaggio che il generale Sabato Martelli Castaldi, il 24 marzo 1944, lasciò scritto sul muro della cella del carcere di via Tasso a Roma prima di essere trucidato presso le fosse ardeatine assieme ad altri 335 vittime innocenti – militari italiani, civili, ebrei, prigionieri politici, detenuti comuni – dalle truppe di occupazione naziste come rappresaglia per l’attentato di via Rasella compiuto il giorno prima per opera di partigiani in cui erano rimasti uccisi 33 soldati dell’esercito tedesco.

Ricordiamo chi era il generale Sabato Martelli Castaldi.

Nato a Cava de’ Tirreni nel 1896, fu dapprima generale di brigata aerea regia poi indomito partigiano. Entrato, dopo l’8 settembre del 1943, nel Fronte militare clandestino, nel gennaio del ’44, assieme ad un altro partigiano, per scagionare il proprietario di un polverificio accusato ingiustamente dai tedeschi di aver fiancheggiato i partigiani, si era volontariamente presentato al carcere di via Tasso. Rinchiuso nella cella numero 1, fu lungamente sottoposto ad atroci torture prima dell’orribile epilogo del 24 marzo. Cella n 1 in cui lasciò scritto sul muro quel sublime messaggio.

Parole che oggi, riportate su un drappo rosso a mo’ d’imperitura bandiera, sventolano presso la Malga Lunga, un piccolo museo della Resistenza ubicato in un ex rifugio montano situato tra le valli Cavallina, Borlezza e Gandino in territorio bergamasco. L’ ex rifugio fu una roccaforte partigiana. Al culmine di violenti scontri, in seguito al rastrellamento messo in atto da un plotone della Legione Tagliamento, 13 valorosi partigiani, il 21 novembre del 1944, furono fucilati ne pressi di Lovere. La Malga Lunga ristrutturata, poi, ad opera di ex partigiani in onore dei compagni caduti, è diventata una sorta di santuario della Resistenza dedicata ai 13 Martiri di Lovere.

Solo un’estrema sintesi, questa mia, di vite coraggiose ed esemplari cui tutti dobbiamo il dono della nostra libertà.

Un grazie particolare al bergamasco prof. Edoardo Del Bello, che, graziosamente, ha voluto farsi testimone di questo fraterno sventolio nella foto qui riportata.

CAVA DE’ TIRRENI (SA). CAVESE 1919 – US AVELLINO: seconda vittoria stagionale

Gli aquilotti domani i lupi irpini. Sasà esulta ma non si esalta.


La batosta di Catania doveva essere prontamente digerita e messa alle spalle. La categoria la Cavese deve difenderla, e a denti stretti, in particolare non lasciando punti nei match con dirette concorrenti e tra le mura amiche, si fa per dire visto l’esodo forzato a Castellammare di Stabia.

Missione compiuta nella sfida con l’Avellino. La cronaca della partita si apre con una lunghissima fase di studio tra le due squadre. L’Avellino crea con il suo modulo molto solido tra difesa e centrocampo una vera e propria muraglia davanti a Tonti. Gli aquilotti vanno a cozzare sempre contro lo stesso e lo spettacolo paga dazio. Più occasioni per gli ospiti che sfruttano la fase delle ripartenze con maggiore lucidità e soprattutto più gambe.

Al 15’pt è Di Paolantonio con una punizione dai 25 metri a impensierire Bisogno che è costretto a bloccare a terra. Si ripete l’Avellino al 23’pt con Rossetti che si beve in slalom mezza difesa metelliana ma tira debolmente tra le braccia di Bisogno, attento. La Cavese si fa pericolosa solo al 38’pt con il solito Germinale. La conclusione è fuori dallo specchio della porta. Mister Campilongo prova a scuotere i suoi, in visibile difficoltà nel trovare varchi giocabili.

E la sua Cavese rischia persino di chiudere la prima parte del match in svantaggio. Al 44’pt, infatti, Micovschi da destra supera in velocità Nunziante e un paio di metri all’interno dell’area di rigore in diagonale supera Bisogno. La palla, per sua sfortuna e per la fortuna della Cavese, si stampa sulla base del palo lontano e schizza a centro area dove poi viene spedita alle stelle da De Marco.

Il secondo tempo si apre sotto i migliori auspici per i biancoblù. Campilongo toglie dal campo Sainz-Maza e mette dentro Russotto. Il giro di lancette dei secondi successivo è determinante nell’equilibrio della sfida. Se ne va sulla fascia Bulevardi che penetra in area dalla destra e mette al centro una palla deliziosa.

Velo determinante di Matino e alle sue spalle arriva di corsa Russotto che indovina l’angolino lontano realizzando il gol del vantaggio. Tutto molto bello e applausi scroscianti. I lupi accusano il colpo. Sale sugli scudi il neoacquisto Bulevardi che all’11’st e al 16’st dalla distanza ci prova con poca fortuna ma tra gli apprezzamenti del pubblico amico.

La formazione di casa gestisce al meglio i tentativi di rimonta irpini. Gli ospiti si complicano la vita alla mezzora quando per fallo a palla lontana su El Ouazni si becca il rosso diretto Illanes, che aveva provato a farsi giustizia privata per un precedente scontro di gioco. Al 35’st sugli sviluppi di un calcio d’angolo di testa nel cuore dell’area aquilotta Alfageme prova a beffare Bisogno che si supera allungandosi sulla sua destra e smanacciando lontano. Con la forza della disperazione l’Avellino si riversa nella metacampo metelliana schiacciando i locali, anche se in superiorità numerica.

Il pubblico di fede bleu foncé incita a gran voce i propri beniamini che stringono i denti per chiudere vittoriosi il derby. Diventano interminabili i 7 minuti di recupero. Ma al 48’st, un contropiede micidiale imbastito da Russotto e Addessi permette a quest’ultimo di trovare il gol del raddoppio e della tranquillità.

Ultima emozione la regala Sasà Campilongo che sul gol si fa prendere dall’entusiasmo e fa mezzo campo di corsa. L’arbitro non lo perdona e lo manda a farsi la doccia anzitempo. Ma l’episodio non rovina la festa biancoblù. La Cavese centra la sua seconda vittoria stagionale e può con più tranquillità affrontare le prossime due sfide di campionato, entrambe fuori casa, a Bari e a Rende.

Al Menti si tornerà subito dopo con un altro derby attesissimo, quello con la Casertana.


CAVESE (4-3-3): Bisogno; Matino, Rocchi, Marzorati, Nunziante; Buleverdi, Favasuli (21’st D’Ignazio), Matera; Di Roberto (12’st Addessi), Germinale (21’st El Ouazni), Sainz-Maza (6’st Russotto). A disp. Kucich, Polito, De Rosa, Marzupio, Stranges, Spaltro, Guadagno, Goh. All. Salvatore CAMPILONGO.

AVELLINO ( 5-4-1): Tonti; Celjak, Illanes, Morero (33’st Zullo), Laezza, Parisi; Micovschi (33’st Carbonelli), Di Paolantonio, De Marco (19’st Silvestri), Rossetti (9’stAlfageme); Charpentier. A disp. Pizzella, Abibi, Njie, Evangelista, Petrucci. All. Giovanni IGNOFFO.

ARBITRO: Federico LONGO (Paola), I ass. Davide Stringini (Avezzano), II ass.Andrea Micaroni (Chieti).

RETI: 7 st Russotto (C ), 48’st Addessi.

NOTE: Spettatori 1836 di cui 140 abbonati e circa 400 da Avellino. Espulsi al 30’st per un colpo proibito ai danni di El Ouazni Illanes (A), al 35’st il massaggiatore della Cavese Pontone per proteste, al 48’st per aver abbandonato l’area tecnica l’allenatore della Cavese Campilongo. Ammoniti: Germinale, Matera, Matino per la Cavese. Angoli: 5 a 1 per l’Avellino. Recuperi: 1′ pt, 8′ st.

CAVA DE’ TIRRENI (SA). La Lucania “profonda”e la sua scoperta attraverso il cinema in un bel saggio della cavese Gabriella Avagliano

Nell’anno di Matera Capitale della Cultura e dei riflettori mediatici sul suo territorio, è opportuno e benvenuto il saggio Tracce del Mezzogiorno nel documentario etnografco – Cultura popolare e trasformazioni sociali in Lucania (1958 – 1971) – Edizioni Area blu, opera prima di Gabriella Avagliano, cavese doc. È una tesi di dottorato, realizzata nel 2015 con la guida del Prof. Pasquale Iaccio, poi adattata a volume autonomo. Operazione sacrosanta, perché i lavori prodotti per titoli di laurea rimangono negli archivi, mentre un libro diventa patrimonio della società.

E questo libro è ricco e stimolante, sia perché offre un panorama completo della produzione filmica relativa alla Lucania e di riflesso al Mezzogiorno, sia perché, nonostante la scientificità della ricerca, non è freddamente nozionistico, ma con una narrazione chiara e coinvolgente offre un viaggio emozionato ed emozionante nella scoperta e riscoperta di un mondo ancora troppo ignorato.

Nello stesso tempo, il saggio mette un punto fermo sull’importanza che in tutto il Novecento ha avuto l’immagine filmica nella conoscenza della cultura e delle tradizioni popolari. Lo studio non si ferma all’immagine, ma la analizza e l’approfondisce fondendo in un’organica sinergia la storia, l’antropologia, la cinematografia, ai fini di uno studio etnografico e non semplicemente folklorico, per recuperare e far conoscere le radici identitarie di tutta una comunità.

È la ripresa di un processo di scoperta che in Italia, in un Regno nuovo composto da territori e popolazioni diversi e ben poco conosciuti, aveva già caratterizzato l’attività intellettuale subito dopo l’Unità, con il realismo letterario dei vari Verga, Capuana, De Marchi &Co., .

Quello che una volta poteva essere fatto dal libro, nel Novecento è stato fatto dal cinema e dal documentario, che però solo in tempi recenti sono stati finalmente considerati fonti basilari per la conoscenza scientifica di una comunità. Se il cinema in questo senso ha avuto una notevole diffusione anche popolare (vedi il Neorealismo del secondo dopoguerra e i suoi epigoni più o meno fedeli), il documentario è rimasto sempre un po’ ai margini, anche quando veniva collegato alle proiezioni nelle sale e di fatto “sopportato” più che amato da un pubblico in cerca di “finzione”.

Fedele all’assunto di inquadrare ogni contenuto in una cornice di più ampio respiro, la Avagliano apre il saggio proprio con una storia del documentario, dalle origini del primo Novecento all’epoca del grande boom italiano e del passaggio da una cultura rurale ad una industriale.

Il viaggio parte dal primo Novecento, mostrandoci subito le contraddizioni politiche che il documentario genera, perché, se fatto per committenza governativa, diventa propaganda, ma se fatto con spirito giornalistico diventa una pericolosa alternativa alla voglia del potere di non mostrare i panni sporchi. Al riguardo, la Avagliano ci fa notare che poi si è sviluppata, pur in tempi più tolleranti, la censura economico-politica, che sosteneva con somme di danaro non i documentari più belli ed efficaci, ma quelli che incassavano di più o che erano segnalati da un’apposita Commissione, dove clientelismo e opportunismo la facevano da padroni.

In questo viaggio non si poteva non citare la produzione della Dora film di Napoli, dove spicca la figura della prima regista donna del cinema italiano, Elvira Notari (con ascendenze cavesi e scomparsa a Cava de’ Tirreni, nella sua casa di via Formosa). Anche la Dora si ritrovò con le spalle al muro perché la realtà napoletana, con tutto il suo corredo di storie di violenza, povertà e malavita, era in epoca fascista proprio la cenere da mettere sotto il tappeto.

Per fortuna, il dopoguerra e la costruzione della nuova Italia repubblicana hanno poi rilanciato l’attenzione sulla realtà, a volte anche sgradevole, dei problemi sociali e della cultura autonoma delle masse popolari. Ed è stata scoperta, quasi come un’isola indigena, la Lucania, con le sue tradizioni arcaiche, la sua visione magico-religiosa del mondo e la sua secolare povertà., divulgate allora alla grande dal successo di Cristo si è fermato a Eboli e dalla “pubblicizzazione” dei Sassi di Matera e della scarsissima qualità della vita di chi ci abitava. Pur senza mai dimenticare la cornice del Mezzogiorno nel suo complesso, proprio sul cuore della realtà lucana si focalizza l’attenzione della Avagliano, che con fotografie e brevi schede ci presenta l’opera meritoria dei grandi documentaristi del Novecento, dal capostipite Ernesto De Martino ai suoi seguaci, in primis Gandin, Del Fra e il compianto Di Gianni, da poco scomparso ed al quale la stessa autrice dedica alla fine del saggio un’intervista ricca di spunti umani, oltre che scientifici.

Proprio i documentari relativi ai riti e alle credenze arcaiche sono la parte più “spettacolare”, ricca di tappe fascinose … I lamenti funebri con le loro teatralizzazioni che erano anche condivisione comunitaria di un fatto e di un’emozione … il taglio delle nuvole per esorcizzare il pericolo sempre incombente dei disastri climatico … la miseria dei Maciari… il colloquio con l’al di là nella possessione di sua zia da parte del “Glorioso Alberto”… il rito coreutico del gioco della falce, a corredo della coltivazione dei campi …. la svestizione del padrone, di tipo carnevalesco, che esprimeva la rabbia atavica dei contadini contro la proprietà, ma nello stesso tempo era uno sfogo non violento e per questo tollerato (Meglio questo che Spartaco, si diceva …) … il rito d’amore dell’inceppata, con il ceppo dello sposo posto davanti alla casa della sposa e da questa portato in casa, segno di legame affettivo ma anche preannuncio di fatiche … il rapimento della sposa nel rito matrimoniale degli Albanesi … il culto mariano, anche un po’ pagano, con gli esempio eclatanti della Madonna di Pierno e di quella del Pollino.

Il tutto è rappresentato in chiavi diverse a seconda della personalità del documentarista e della sua capacità, o volontà, di oggettivarsi nell’immagine: ora il giusto campo lungo che accomuna persone e ambiente, ora il particolare della mano o del volto che esprime una sensazione o un’interpretazione, ora la musica che connota il misterioso, ora il realismo freddo, ora la scelta del particolare più “negativo” capace di bucare il video e dare il messaggio senza mezze tinte.

La ricerca del mondo arcaico assume poi un sapore diverso quando col passare degli anni l’attenzione si sposta sulle novità del boom economico e sullo svuotamento delle comunità del Mezzogiorno, in particolare della Lucania, con un tasso di emigrazione interna verso il Nord industrializzato che lascia nei paesi solo anziani e poche anime di buona volontà.

Alla svolta epocale del passaggio dalla società rurale a quella industriale la Avagliano dedica un buon terzo del saggio, realizzando una carrellata che, se da un lato rivela meno la partecipazione emozionale alla magia, dall’altra presenta interessantissime informazioni sulla gestione mediatica dell’industrializzazione. Le industrie e il governo commissionano moltissimi documentari, per propagandare le trasformazioni radicali che si stanno effettuando nella società italiana, le strutture produttive, le bonifiche, le urbanizzazioni, la nascita di nuovi quartieri e di abitazioni più confortevoli, la lotta all’analfabetismo. Fioriscono non solo documentari, ma anche tanti film e naturalmente si incentivano i talenti, compresi i grandi registi, come Ivens e Lizzani, che, pur non nascondendo i benefici della società industriale, non possono fare a meno di evidenziare anche i problemi di questa “modernità liquida”, come, citando Bauman, la definiva Luigi Di Gianni, che è in fondo il convitato di pietra di tutto il saggio. E, nel cinema, non dimentichiamo gli altri grandi, come Antonioni, Olmi, Lattuada e soprattutto Visconti, autore di quel capolavoro epocale che è Rocco e i suoi fratelli, epopea di una famiglia lucana nella Milano industriale.

Belle le due finestre finali del libro, che l’autrice sembra sentire più suoi, per il calore sottinteso che emana dagli esempi portati avanti in rapporto ai singoli documentari. La Avagliano mette molto in evidenza il ruolo della donna in questa convulsa fase di crescita. Era diventata la dea ex machina di tante situazioni difficili: oltre alle mansioni abituali, doveva ricoprire il ruolo del marito emigrante, adeguarsi ai ritmi della modernità in rapporto ai figli e alle loro esigenze, entrare lei stessa nel mondo del lavoro … del resto, lo sappiamo, il mondo è pieno di donne che hanno fatto la storia ….

La stessa cosa vale per l’intervista a Luigi Di Gianni poco tempo prima della sua morte. L’incontro è stato quasi filiale, ma nello stesso tempo, svelando alla Avagliano i meccanismi del suo lavoro di ricerca e di creatività e i retroscena umani ad essi sottesi, Di Gianni la lancia col cuore verso un mondo in cui comunque non si può fare a meno della ragione.

Alla fine, nonostante la logica imperante del linguaggio di ricerca, la lettura finisce col risultare sempre piacevole e interessante, come quella di un bel romanzo. E nel cuore della Lucania, del Mezzogiorno e del loro ribollente secondo Novecento ci entriamo anche noi. Vuol dire che la Avagliano ha saputo proprio accenderla, quella fiammella …

ACCUMOLI (RI)-SALERNO. Inaugurata la Casa della Cultura donata dal movimento salernitano Maric: un seme di speranza per la ricostruzione.

E così, finalmente, a Illica, frazione di Accumoli, paese completamente distrutto dal terremoto dell’agosto 2016, è stata inaugurata la Casa della Cultura, centro polifunzionale culturale costruito grazie ai fondi raccolti dal M.A.R.I.C. (Movimento Artistico per il Recupero delle Identità Culturali). Non è una notizia qualsiasi: lo sarebbe se in quelle zone le inaugurazioni di centri e le costruzioni di case procedessero a ritmo costante. Invece…

Per fortuna, la Casa della Cultura è già una realtà. Mancano solo alcune finiture, ma oramai le chiavi sono state consegnate alla Sindaca Franca D’Angeli, che provvederà alle ultime operazioni ed all’assegnazione della gestione. Poi, la struttura, dopo la nascita, sarà anche battezzata e potrà cominciare il suo cammino sociale. È sarà un’altra vita, la vita reale di un sogno diventato realtà.

Certo, sarà duro comunque lo scontro tra il sogno e la concretezza della vita quotidiana in una frazione collocata in un posto bellissimo, ma abitata stabilmente solo da quattro o cinque nuclei familiari e già prima del terremoto a rischio di spopolamento.

Tuttavia è proprio qui la sfida. “Se si vuole prevedere un futuro per Illica, con la ricostruzione di case da riabitare o che siano almeno un riferimento per i vecchi abitanti oggi trasferitisi altrove, con la ricostituzione di un tessuto sociale vero e vitale e di un contatto produttivo con le altre frazioni e con il mondo esterno, allora il ruolo della Casa della Cultura sarà fondamentale.” Parole giuste, quelle di Alessandro Carosi, Presidente dell’Associazione per Illica, che rappresenta, insieme col Camping Lago Secco di Davide Carosi, il nucleo fondante di ogni speranza per il futuro sociale di Illica. Parole giuste, senza illusioni volanti, ma con la luce di una speranza che non può e non deve morire.

In fondo, l’azione di raccolta dei fondi e la costruzione della Casa da parte del Maric, segnatamente per l’opera da panzer del suo condottiero sognante, l’artista salernitano Vincenzo Vavuso (che tra l’altro è anche sottufficiale dell’Esercito Italiano), hanno mirato proprio a questo, a donare una scintilla di speranza, attraverso una struttura efficiente e il potere di un segno di solidarietà. Con l’augurio che diventi fuoco, con l’andare del tempo.

Non va sottovalutato proprio il potere dei segni, che si contrappone sempre brillantemente ai segni del potere, non sempre altrettanto brillanti. È forse da poco per una popolazione depressa da tante traversie sapere che in altre zone d’Italia (e il Maric, pur se salernitano di origine, è oramai a composizione nazionale) si spendono energie e risorse per continuare a dare una mano dopo l’emergenza dolorosa dei crolli? È forse da poco toccare con mano la possibilità di ricostruire la vita in quegli stessi luoghi che ne erano pregni prima dell’onda devastatrice? È forse da poco sapere che per eventuali attività comuni, da quelle dell’incontro quotidiano agi eventi pubblici, c’è almeno in una frazione un primo luogo di incontro e di riferimento?

Su queste basi di pessimismo dell’intelligenza temperato dall’ottimismo della volontà possiamo anche rivedere i momenti cruciali della due giorni dell’inaugurazione sotto una luce diversa, che non cancella le ombre ma almeno provvisoriamente le emargina. E tra le ombre dobbiamo ovviamente inserire, oltre alla situazione oggettivamente critica, anche la percezione di divisioni interne al paese, il distacco delle altre frazioni rispetto ad un evento comunque notevole pur se non adeguatamente pubblicizzato dai media locali, e, perché no, anche l’assenza dell’ex Sindaco Petrucci, da sempre amico del Maric e forte supporto della raccolta. Ma … guardiamo le luci …

Il taglio del nastro e lo scoprimento della targa, con la Sindaca D’Angeli soddisfatta di ritrovare un po’ di sole nell’acqua gelida e il Presidente Vavuso che aveva ancora negli occhi la tensione “accumulata” in questi anni di febbrile lavoro e moltiplicata negli ultimi tempi …

La consegna delle chiavi e l’ingresso nella Sala grande, in un’accoppiata felice tra il sorriso delle persone e quello di un sole finalmente tornato a splendere …

Lo scoprimento della bella e significativa scultura della Maric-woman Stefania Maffei all’ingresso, dal titolo supersignificativo: L’oltre: una grande testa a due facce, una occidentale e l’altra orientale, una mano che accarezza l’insieme, la chiave della conoscenza, simbolo del Maric, sulle pietre che fanno da base. È l’invito dell’Arte ad essere uniti, oltre le diversità, oltre le sventure.

All’interno, le prime opere di quello che sarà il Museo permanente del Maric,realizzate dallo stesso Presidente Vavuso, da Angela Vigorito, Franco Porcasi, Mario Formica: l’Arte donata alla collettività, opere cariche di quello slancio che rende poesia l’immagine e calore il colore…

Poi, la Messa, celebrata da Padre Stanislao, con il supporto di quel suo straordinario crocifisso itinerante, dove in croce ci sono i legni di Accumoli e le pietre recuperate dai crolli di ogni frazione. Un legno che ti entra nell’anima, come sono entrate nella mente e nel cuore durante l’omelia gli inviti alla pratica concreta della fraternità e dell’unione, l’esortazione a saper andare oltre, in tutti i sensi. Spirituale e materiale, individuale e sociale. Un suggestivo filo rosso con la scultura dell’esterno.

Quindi, una triade color emozione dopo la Messa.

L’invito del Presidente Vavuso all’unità nel discorso forse più appassionato e “vissuto” del sua ancor breve cammino di leader e del suo già maturo cammino di uomo: “Che questa struttura possa essere la casa di tutti, di tutte le popolazioni colpite dal terremoto. Possa essere uno stimolo all’unione. Si vince solo tutti insieme.

Poi, la benedizione della scarpina, ritrovata dal Presidente tra le macerie e risuscitata a nuova vita come simbolo della Casa della Cultura e icona della Speranza, per l’occasione distribuita anche come poetico gadget offerto dalla Sempreattiva Stefania Maffei. Chissà quale bambino … prima che … Già, gli oggetti hanno un’anima anche loro …

In chiusura, la rinascita e la riapertura del Museo della Civiltà Contadina “Franco Casini”, adiacente e integrato alla Casa della Cultura: il segno più concreto del passato che può diventare futuro.

Nel pomeriggio, dopo l’elettricità del cuore scaturita dalla presentazione dei libri di poesia di Stefania Maffei e Teresa D’Amico, con inserimenti di letture di poeti laziali, l’elettricità dei problemi di un territorio che non sa se, dove e quando potrà rivivere. Infatti, anche se si doveva parlare soprattutto del futuro della Casa della Cultura, la lingua batteva sempre dove il dente continua a dolere. Un dibattito dai toni sereni ma dai contenuti taglienti, in cui la Sindaca D’Angeli ha dovuto barcamenarsi tra la spiegazione delle difficoltà “oggettive” rispetto alla ricostruzione e il suo vivere in prima persona, come cittadina, i disagi dell’onda lunga post-terremoto.

Chiusura musicale, il giorno dopo, con il bravissimo duo Ambros-one, che con chitarra e fisarmonica ha riproposto il Libertango di Astor Piazzolla e alcuni brani scritti dagli stessi esecutori e pregni di onde emozionali. Bravissimi, gli Ambros-one, attesi da un brillante avvenire, e bravo anche Sandro Ravagnani del Maric, che li ha invitati e che ha trasmesso tutta la manifestazione in streaming sulla sua web TV.

Con gli Ambros-one si è anche chiusa non solo la manifestazione ma anche la complessiva anticipazione del Festival della Speranza, la kermesse di arte, spettacolo e letteratura che nei sogni del Presidente e del Maric dovrebbe diventare un appuntamento annuale, di grande respiro e richiamo. Una bella idea e un bel seme, così come tutta la due giorni della speranza.

Speriamo che il seme fiorisca, ma dovrà essere ben curato da tutti e germogliare ben oltre le aride pietre …