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Una sfiziosa e gustosa serata napoletana al Ristorante Arcara, tra pietanze classiche, scagnuzzielli, ragù braciolato e tante risate con Eduardo Guadagno made in Sud

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Dopo i viaggi gastronomici negli Stati Uniti, in Spagna ed a Cuba, venerdì 18 dicembre il Ristorante Arcara si è regalato un delizioso venerdì di casa nostra, con menu alla napoletana, un musicista che canta italiano in blues napoletano come Carlo Senatore ed uno scatenato cabarettista Made in Sud come Eduardo Guadagno.

Si entra nella sala accogliente e pittoresca con lo spirito della curiosità di sempre: i cibi sono familiari, ma come saranno cucinati? E gli artisti quanto sapranno coinvolgerci?

Il sorriso di benvenuto sicuro e rassicurante di Nicola Villano, il nuovo patron del Ristorante, è tutto una promessa: “Amici, non rimarrete delusi ed alla fine questo mio sorriso sarà il vostro sorriso”.

E così è stato. Tra sorprese e carte conosciute, la serata è filata liscia, saporita e leggera. A cominciare dalle pietanze, naturalmente.

In un antipasto tutto stuzzicante ed anche gustosamente saziante (semifreddo per specifica scelta dello chef Vincenzo), accanto alle classiche frittelline di fiori di zucca, alle verdurine fritte in pastella (ottimi in particolare i peperoni) ed alla fettina del gateau di patate, spiccano gli scagnuzzielli e troneggia al centro un’originale quadratino di parmigiana di melenzana. Gli scagnuzzielli, cioè rombi di polenta di mais indorata e fritta, erano e sono popolarissimi a Napoli, ma, come se fosse un altro mondo, per lo più ignorati nelle rosticcerie delle nostre parti. Eppure sono delicati e croccanti e da soli riempiono palato e gusto. Forse per questo a Napoli costituivano un pasto, prima che uno stuzzichino, nei tempi in cui il pane quotidiano non era sempre quotidiano e tutto faceva brodo per riempirsi la pancia ed evitare i morsi dell’appetito, o della fame che dir si voglia.

Anche la parmigiana è diversa dalla nostra: noi siamo abituati all’infarinatura ed al bagno nell’uovo prima della frittura. Invece a Napoli, secondo la tradizione antica, privilegiano l’immersione diretta delle fettine nell’olio bollente. Il risultato è comunque da applausi, sia perché la parmigiana è sempre la parmigiana sia soprattutto perché il nostro Masterchef Vincenzo alla frittura ha saputo dare del tu e per di più ha donato al tutto uno stuzzicante ed originale sapore estetico, coprendolo con una retina di sottilissimi fili scuri di buccia di melenzana passati a volo nell’olio bollente.

Tutti e due i primi piatti in programma determinano erotici sospiri di piacere. Appartengono al mondo dei classici più amati dai nostri palati: pasta e fagioli e paccheri al ragù di carne. Nella realizzazione, don Vincenzo ha fatto veramente il Masto. La pasta e fagioli, servita in un piatto molto fondo e leggermente brodosa, è delicata e saporita, grazie al giusto equilibrio degli ingredienti ed alla qualità evidente dei fagioli, di quelli dalla pellicina delicata che si scioglie nella cottura e sciogliendosi incrementa l’avvolgente sapore di questo piatto così completo e così “pranzoso”.

Col ragù torniamo ad una delle pure tradizioni napoletane: il sugo è infatti cotto a peppiatura lenta con la braciola napoletana, completa di una spruzzatina di uvetta e pinoli che creano un delizioso impasto vagamente agrodolce.

Solo da noi braciola è l’involtino, altrove è la fetta di carne passata alla brace. Solo da noi realizza questo splendido matrimonio con Mister pomodoro, per produrre un sugo denso, dal sapore delicatamente forte, dal retrogusto avvolgente, da prendere decisamente “a paccheri”. E paccheri sono, sfiziosamente al dente. Ottimi veramente, anche se, ad essere precisi, nel rispetto della tradizione il ragù si sposerebbe di più con rigatoni o meglio ancora con i ziti spezzati. Ma al gusto la storia interessa poco: ziti, rigatoni o paccheri sono per le nostre parti come Messi, Neymar e Suarez nel calcio…

Il secondo: salsicce e broccoli. Un classico, diremmo quasi “il” classico dei nostri secondi. Non ci sono sorprese nella cottura, ma apprezziamo il piacere della qualità nel taglio della carne a punta di coltello e nell’estetica del piatto, un tris con una invitante bruschetta che sostiene un gomitolo di cime di rapa sovrastate dalla salsiccia.

Come dessert, il babà, naturalmente. E il babà è una cosa seria, come una cosa seria, gastronomicamente, è stato tutto il pranzo.

Ad innaffiare la cena, da una parte un buon aglianico beneventano del Taburno, color rosso rubino e odore gradevole, moderatamente forte ma dal gusto corposo, dall’altra quelli che alla fine si sono rivelate le classiche ciliegine sulla già buona torta della serata, cioè la musica di Carlo Senatore ed i monologhi di Eduardo Guadagno, già SuperMario Bros a Made in Sud e futura stella della nuova serie primaverile della trasmissione su Rai 2.

Carlo Senatore è una vecchia volpe sempreverde di piano, pianola e tastiere affini, comprese quella a fiato.

Ai tasti dà del tu e crea con loro una sinergia totale, come è naturale per un artista delle sette note come lui, che ha suonato con gente come Pino Daniele e James Senese ed ha partecipato alla realizzazione di due film di Renzo Arbore ed a suo tempo era una star tra gli show man della tunisina Hammamet, dove ha ricevuto apprezzamenti ed amicizia anche da Bettino Craxi, che qui era di casa nel periodo della gloria ed in quello dell’”esilio giudiziario” e qui oggi è sepolto nel locale cimitero.

Carlo è musicista, cantante, autore e, da persona scodinzolante alla Vita anche ed a maggior ragione nelle sue non poche tempeste, è capace di trasmettere al pubblico la sua vitalità elettrica ed appassionatamente disincantata. E così ogni suo pezzo ha creato un ponte forte tra piano e pubblico.

Eduardo Guadagno per molti dei presenti è stato una scoperta, piacevolissima del resto. Non era bastata la sua presenza a Made in Sud per farlo conoscere abbastanza, ed allora lui si è presentato con tutta la vivacità e la forza del suo talentuoso mestiere e del suo talento abbracciato dal mestiere. In un’ora circa di intrattenimento, al di là delle singole battute, legate spesso a conoscenze o a paradossi, si può dire che non ha mai perso un tempo comico, sia quando seguiva un suo copione consolidato sia quando sceglieva di improvvisare “ a mestiere” sia quando è entrato in dialogo con il pubblico, senza poter naturalmente prevedere le reazioni dei singoli. E quell’ora è volata via come una gazzosa fresca in un mezzogiorno d’estate. Non è da tutti riuscirci, perché far ridere è infinitamente più difficile che far piangere o scatenare reazioni drammatiche.

Alla fine della serata, volti sazi della piacevolezza complessiva oltre che della gustosità dei cibi, e stomaci non particolarmente appesantiti, grazie alla qualità degli ingredienti, e… cosa che non guasta, portafogli non sgonfiati. Per tutto quello che si è gustato, venti euro sono veramente un soffio di filigrana.

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Molti già pensano al prossimo appuntamento, la cena-degustazione a quattro mani di sabato 26 dicembre, Santo Stefano. Quattro mani per la presenza di due chef … Ma questo non significa che si mangerà il doppio: semplicemente che si mangerà meglio …

Ed il sorriso di Nicola Villano al momento del saluto (della serie: “Avete visto? Avevo ragione io!”) è la speranza di un arrivederci. Concreto, diremmo, date le premesse e le promesse … Alla prossima!

Pittura, poesia, musica, il Catalogo della Presidente Elena Ostrica, tante manifestazioni prenatalizie. Un fine anno alla grande per il Centro Artisti Salernitani

SALERNO. Una scoppiettante serie di iniziative ha caratterizzato il fine anno del Centro Artisti Salernitani, l’associazione di pittori, scultori, poeti, scrittori che da oltre vent’anni fa è uno dei riferimenti culturali più significativi della Città di salerno, con la sua sede nell’ex Scuola Gatto di Pastena e soprattutto con le manifestazioni tante manifestazioni pubbliche di valenza non solo cittadina e la sua opera costante di riflessione e confronto su tematiche di alto livello.

Fondato su solide radici e su sinergici rapporti amicali arricchiti dalla passione culturale, è guidato con mano sicura fin dalla sua fondazione dalla pittrice Elena Ostrica, sempre circondata da validissimi dirigenti collaboratori (quelli attuali sono la poetessa e scrittrice Pina Sozio, la Dirigente Scolastica Antonella Sparano, il pittore e scultore Antonio Caroniti, la poetessa Anna Ciufo, la scrittrice Rosalba Fieramosca, il poeta Vittorio Pesca). Tra i componenti ed i soci ha vantato personalità di grande rilievo. Un nome per tutti, il prof. Francesco D’Episcopo, docente universitario, che è il maggior esperto italiano della poesia di Alfonso Gatto, un critico letterario di valenza nazionale, attualmente Presidente onorario del CAS, nonché sempre pronto a partecipare alle varie iniziative con interventi sempre ispirati e coinvolgenti.

Tra le iniziative più caratterizzanti degli ultimi anni, spicca il Premio letterario La Piazzetta, che convoglia artisti e creativi di tutta Italia, l’apertura a rapporti internazionali (vedi il gemellaggio con la Città bulgara di Pazardžik), la collaborazione con le altre associazioni culturali della Città (in particolare Cypraea e Yachting club e proprio con quest’ultimo ha organizzato una suggestiva serata incentrata sulla lettura e il commento di una magnifica lirica della poetessa bulgara Violeta Dulcheva, socia del Centro), i numerosi incontri pubblici (mostre, convegni, esibizioni, presentazioni di libri) in luoghi prestigiosi della Città (dalle Sale della Provincia e del Comune alla Villa Carrara, dalla Chiesa di Sant’Andrea alla Scuola Vicinanza), le iniziative formative di EducArte, la mostra di icone del Maestro bulgaro Dimitar Elenov presso la Chiesa di san Giorgio, la collaborazione con il Comune per manifestazioni che colorino il Natale. La più recente di queste è stata realizzata proprio agli inizi di dicembre, presso i locali della scuola Vicinanza, con serate tematiche di pittura, poesia in lingua, poesia dialettale e un incontro d’autore con il poeta Antonio Di Riso, rallegrate dall’accompagnamento musicale sempre brillante di uno chansonnier come il magnifico Mimmo di Salerno.

Tutto questo in un tempo difficile in cui la Cultura e le Arti, tesoro di una civiltà, boccheggiano per le seppellenti palate di terra e le voltate di spalle che ricevono da tante parti. E non è poco. Certo, si corre sempre il rischio della nicchia e dell’autoreferenzialità, ma per fortuna la qualità delle iniziative e delle proposte riesce ancora a tenere tante finestre aperte.

Tra queste, spicca alla grande la presentazione del Catalogo delle opere della Presidente Elena Ostrica, che è avvenuto in due riprese, in primavera al Comune di Salerno, nel bellissimo Salone dei Marmi, e recentemente, il 21 novembre scorso, nella natia Avellino, nel Palazzo del Governo. La presentazione, condotta dal sottoscritto scrivente e con gli interventi qualificanti anche del Prof. Francesco D’Episcopo e della Dirigente CAS Pina Sozio, è stata arricchita dall’esposizione di una mostra di opere dell’Artista, che ha ricevuto particolari apprezzamenti da tutti, critici e pubblico, ed ha prodotto alla fine anche la donazione di una di esse alla Prefettura, che sarà esposta nei locali della stessa, a testimonianza permanente della presenza nobilitante di una magnifica figlia di Avellino che “visse d’arte” e d’arte continua a nutrirsi ed a nutrire.

Il Catalogo racconta infatti la carriera e le opere di mezzo secolo di ben riuscite nozze dell’Artista con la passione creativa e serve a fissare nel tempo la produzione di alta qualità della pittrice, unitaria nello spirito ma diversificata, senza scansioni specifiche nel tempo, in figurativo classico, acquerello, figurativo simbolico, immagini paesaggistiche, e caratterizzata da colori caldi e pervasivi, da figure ed immagini spesso stilizzate e sfumate, dal gioco mediato tra definito ed indefinito, da una contemplazione a volte quasi magica della natura, da onde tonali liberatorie ma tenute sotto controllo dalla mano ferma della ragione. Una pittura ispirata dai maestri impressionisti e paesaggisti del secolo XIX e dalle grandi avanguardie del secolo XX, ma alla fine, come si addice agli artisti di vaglia, molto caratterizzata da uno stile personale che ben esprime le pur contraddittorie suggestioni dell’esistenza e la potente, armoniosamente disarmonica, energia della vita.

Simbolo di queste suggestioni sono i dischi di luce che campeggiano, da soli o uniti agli altri elementi pittorici, sullo sfondo di tanti dipinti. Sono ora soli sgargianti, ora lune sbiancanti, ora suggestivi ed illuminanti contenitori, ora infuocati riferimenti direzionali, che fungono da punto focale della prospettiva e come tali rappresentano un rifugio dell’anima, la manifestazione di un immaginario polo di bellezza, un centro di gravità permanente, una dimensione che dà il senso alle cose, quell’essenza ideale che fa da stella polare nel cammino dell’esistenza. Ed insieme con le figure in scena formano un messaggio, un’emozione gravida di contenuti.

Occorre avere personalità, per un pittore, per caratterizzarsi con uno stile riconoscibile e comunicativo: e Elena Ostrica, nonostante la varietà della sua produzione, quella personalità e nettezza espressiva le ha fatte proprie.

Rappresentando i dischi di luce, si è fatta anche lei “disco di luce” per il Centro Artisti Salernitani, del quale ha caratterizzato l’arco di un ventennio e quindi di un’era. Un’era di cui non si può dire ancora che “era”: il Centro c’è, la Presidente Ostrica c’è, i suoi collaboratori ci sono e come. Manca ancora la prospettiva ampia di un ricambio, ma questa è un’altra storia, che riguarda i rapporti e i gusti generazionali di un’intera società in cui la cultura giovanile ha scarsissime osmosi con quella dei meno giovani.

E comunque per il momento le pile dell’attuale classe dirigente, nonostante il tempo che passa, sono ancora ben caricate… e per certi versi anche ricaricabili …

Musica, calore e sapori del mondo nelle serate a tema del Ristorante Arcara. L’11 dicembre scorso, a tavola con Cuba e le note del Cuban trio. Con mucho gusto

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Le persone che amano mangiare sono sempre le migliori. Forse un po’ troppo drastica, ma comunque significativa a riconoscimento di una mente aperta alle cose belle, la scritta che campeggia su un grande quadro al centro della sala del Ristorante Arcara, nell’omonima frazione collinare di Cava de’ Tirreni, accrescendo il fascino di un pittoresco locale che negli ultimi anni è diventato un appetitoso e pluripremiato spot del mangiar bene.

A farlo volare ha provveduto in passato il suo guru, Fabio Senatore, che da qualche settimana ha passato la mano e, pur senza far mancare i suoi preziosi input, ha ceduto la gestione a Nicola Villano ed alla moglie Loipa Valdes, di origine cubana.

E Nicola, che è giovane e fresco ma non è certo un ristoratore di primo pelo (recentemente ha cogestito il Pub “Il Moro”), si è lanciato nella sfida con un delizioso entusiasmo creativo. Già nel primo mese ha lanciato le serate a tema, ogni venerdì, proponendo fascinosi viaggi nelle gastronomie (esplorate finora la mediterranea, la cetarese e l’americana), accompagnati da una musica anch’essa a tema che pennella i già allettanti colori della serata.

Stasera, 11 dicembre, pur volando in America Latina, Nicola ha deciso di giocare in casa. In scena, I sapori cubani e l’isola di Cuba, il paese di Loipa, la moglie, che può dirigere la cucina, insieme con lo chef Vincenzo, con la stessa rassicurante maestria con cui un cuoco spagnolo spadella la paella o un napoletano può manovrare la pasta e il forno della pizza o preparare un buon caffè.

Nicola ci accoglie con un sorriso gentile e lucente, figlio della speranza commerciale ma soprattutto dell’ orgoglio di Casa Cuba e del piacere di far vedere e gustare ‘a bella cosa, anzi le belle cose dei piatti caraibici.

A condire il tutto, ci pensa la musica speciale del Cuban trio, stasera con il magnifico Pavel Molina Ruiz a fare da ospite d’onore. E sarà un condimento di quelli veramente saporiti, per tutta la serata, con i trascinanti stacchi della musica popolare dell’isola ed anche qualche viaggetto nelle canzoni storiche, tipo Comandante Che Guevara, o in cover napoletaneggianti, tipo XXXX.

Alle nove e trentacinque, sala piena, bocche affamate ed incuriosite, sorrisi promettenti, note avvolgenti. E la cena è servita. Anzi, le cene, perché le tre pietanze, comprensive di carboidrati, proteine e vitamine, sono altrettanti piatti unici. Ma in quantità giustamente assorbibile: è degustazione, non abbuffata.

Si comincia, giustamente, con un classico, l’aperitivo cubano per eccellenza, il cocktail Mojito. Rhum, zucchero di canna, lime, foglioline di menta mixate con sapiente equilibrio e servite con quel fresco di temperatura che allieta il palato e non ammazza i sapori. La chiave giusta per entrare nel clima fascinoso e “magico” che i Caraibi rappresentano nel nostro immaginario. Del resto, non è certo un caso che la parola mojito derivi da mojo, cioè magia. E magico evicatore delle atmosfere cubane lo è sicuramente, dato che è stato ideato in uno dei luoghi simboli dell’Habana, la capitale, la Bodega del Medio, il bar ristorante amato e frequentato da gente come Hemingway e Pablo Neruda. E la sua immagine campeggia, giustamente, nella locandina della serata bene in mostra nelle sale del locale.

La prima pietanza ad essere servita è una combinazione familiare, ma non del tutto, rispetto alla gastronomia italica.

La combinazione prevede infatti delle saporite polpette di carne cotte nel sugo al pomodoro, e qui siamo ancora a casa nostra. Accanto, degli strati di polenta di mais farciti con ragù di carne anch’esso al rosso pomodoro: la polenta appartiene più ai “polentoni del Nord che alla nostra tradizione “pastaiola”, ma è gustosamente italica, e questa harina de maiz, che è preparata alla cubana, è cotta con ottima compattezza ed umidità e insaporita dal piccadillo, un ragù dal sapore tanto netto quanto morbidamente aggraziato. Il terzo ingrediente della combinazione è di quelli che “sparigliano le carte napoletane”: ensala fria, insalata fredda di pasta, tubettini per la cronaca. Già, anche questa è da qualche decennio entrata nella tradizione cubana, ma non è mai entrata in quella italiana, e napoletana in particolare, dove la pasta è alimento a sé e non proteina di condimento o accompagnamento. Chi ama il rosso pomodoro e il caldo maccheronico rimane un po’ sconvolto, ma chi invece sta vivendo il tutto con la curiosità della scoperta se la mangia con gusto sorridente, mescolandola alle polpette o gustandola da sola e comunque apprezzando il sapore pregnante e stuzzicante di cui è portatrice.

La seconda pietanza è l’ajiaco, la zuppa di carne più caratteristica di tutta la zona centrale dell’America Latina.

È una bella ciotolona abbondante di brodo e pezzi di carne suina bovina e di pollo. Noi siamo abituati a separare al momento del pasto il brodo dalla carne, che in questo caso sono uniti. Ma l’insieme non ci perde, anzi: brodo e carne fanno squadra e segnano un accattivante goal del gusto, con la ciliegina della curiosità suscitata dalla presenza di qualche rondella di mais e di banana, che ci ricordano ancora una volta che non siamo in Italia e che il mais per i sudamericani è come il nostro pane mentre la banana non è solo un frutto.

A proposito della banana, è lei al centro della terza servita. La famosa banana fritta: tante rondelle passate in padelle fino a diventare croccanti, i classici tostones. Decisamente sfiziosi e stimolanti: e lo sono ancora di più perché non derivano da banane nostrane e/o per noi usuali, ma dal platano, cioè la banana verde, diffusissima in America Latina e buona per tante pietanze: dal frutto al fritto, dall’arrosto al contorno.

Ad accompagnare la banana fritta un altro cibo cubano doc, l’arroz congris, il riso moro cotto con fagioli scuri. Molto diverso dalla nostra pasta e fagioli e per di più usato soprattutto come accompagnamento della carne, ma perfettamente in sintonia con il gusto latino americano del prezioso legume. Il blocco riso – fagioli che ci viene servito è compatto e saporito, con un retrogusto delicato che deriva da una cottura lenta e delicata dei due ingredienti. Col riso, la pietanza di carne, il maialino arrostito, il puercoasado, da cui cola un leggero strato di grasso che dà gusto alla carne ed anche agli altri due accompagnatori, cioè il tomate, alias il pomodoro, e l’avocado, uno dei frutti-pietanza più diffusi nel mondo latino-americano ed oggi conosciuto pure dai nostri mercati.

Non si chiude con la frutta, ma con uno dei dessert più famosi a Cuba, il pudin de pan, il budino di pane, una stecchetta di mollica caramellata, che non ingombra il palato, anzi lo accarezza con dolce morbidezza e prepara alla grande il sorso finale di rum allo stato puro, che offre per i latino americani la stimolante funzione digestiva che ha per noi la tazzina di caffè.

Alla fine, si torna a casa con un sorriso sazio, come da una bella cena tra amici. E, nel nostro caso, anche da un “viaggio” con amici verso un altro mondo, tanto vicino ma anche tanto lontano. E le papille gustano già il prossimo appuntamento: la serata napoletana di venerdì 18. Jammo ja’!

Donato come ex voto alla Chiesa di Pregiato uno spettacolare Crocifisso ligneo realizzato in Indonesia da lavoranti musulmani. Forti emozioni durante il rito di consegna

CAVA DE’ TIRRENI (SA). La donazione di un Cristo di legno si è trasformata in un’emozionante elegia di Pace e di Amore.

È avvenuto domenica 6 dicembre, nella Chiesa di San Nicola a Pregiato, frazione di Cava de’ Tirreni, prima della celebrazione dell’Eucarestia ad opera dell’Arcivescovo di Amalfi – cava Mons. Orazio Soricelli.

Circa cinque anni fa, il signor Eriberto Naldini, commerciante del legno, originario di Salerno, residente in Svizzera ed operativo in vari paesi del mondo, tra cui l’Indonesia, essendo riuscito a superare una grave forma di leucemia (ancora oggi per fortuna in progressiva remissione, ai confini di una piena guarigione) anche e soprattutto grazie all’intervento ed alle cure dell’équipe dell’Ospedale di Nocera guidata dal Dott. Alfonso d’Arco, promise di donare al suo “salvatore” terreno ed in omaggio al suo Salvatore divino un Cristo di legno, realizzato in laboratorio sotto la sua personale direzione.

Il Dottore D’Arco accettò, ma con la variante che il dono sarebbe stato smistato nella sua sede naturale, cioè in Chiesa ,e specificamente nel tempio di San Nicola a Pregiato, sua frazione di residenza.

E così, dopo un periodo di preparazione non privo di difficoltà di vario genere, è stata terminata l’opera, un Cristo spettacolare, alto circa tre metri, appoggiato ad una porta-finestra a tre ante, in atteggiamento da Crocifisso ma senza la croce né gli arti perforati e con un volto dolente ma serenamente dolce. Come a dire: “Aprite le porte a Cristo!”

Al momento della consegna, la testimonianza del donatore è stata irrorata dall’emozione gioiosa e lacerante del miracolo della vita da lui recuperata quasi in extremis. Tra rotture di voce e groppi in gola, che hanno umanamente avvolto tutta la platea, il sig. Naldini ha raccontato la sua storia, ha evidenziato lo spirito di fede con cui ha offerto il suo dono ed ha sottolineato come la realizzazione della scultura sia potuta avvenire in un paese radicalmente islamico, cioè l’Indonesia, ad opera di lavoranti islamici e con l’approvazione dell’Imam, che non ha avuto nulla in contrario verso un’effigie rappresentante quello che comunque per un musulmano rimane un Profeta.

Se la testimonianza del signor Naldini ha catturato il cuore e l’anima, quella del Dottor Alfonso D’Arco ha trascinato anche le emozioni della ragione.

Quel Crocifisso per lui, al di là di qualsiasi barriera di fede e con spirito laico, può essere visto da tutti come un Segno profondo di Pace, necessario in questi tristi tempi di sconvolgimenti e di tensioni religiose ed etniche, spiegabili e comprensibili, ma troppe volte forzate ed irrazionali. Quel Crocifisso è un abbraccio ideale e per certi versi naturale tra persone di diversa religione che hanno collaborato ad un fine concordato.

Quel Crocifisso, che evoca un martirio doloroso ed ingiusto, esiste per diffondere un soffio d’Amore buono e giusto e conforme alla dignità della nostra natura.

Quel Crocifisso, ricordando la nostra fragilità di uomini, che il Dottore conosce bene per la sua professione, invita a non sciupare la Vita, unica ed irripetibile, nella ricerca di fatui ed illusori traguardi di ricchezza e di potere e nell’utilizzo di violenze contro gli altri e contro noi stessi che umiliano l’altezza potenziale della nostra dignità. Il volto sereno di quel Crocifisso è il segno di un Uomo che ha vissuto la pienezza dell’essere e ne accetta anche il compimento e l’esaurimento, invitando di riflesso a ricercare una serenità simile anche noi, nel rispetto pieno della Vita.

È stato un discorso breve ma di altissimo profilo, che, pronunciato da laico ma su un pulpito di Fede, ha saputo parlare a tutti ed ha avuto il senso di una parola universale, così come, dall’altra parte, le parole di Papa Francesco sanno arrivare ai cuori dei credenti e dei non credenti.

Sono questi i ponti che nel nostro piccolo dobbiamo perseguire, che sanno abbattere i muri, che nei conflitti di ogni genere, da quelli politici a quelli della vita quotidiana, pur nel riconoscimento pieno di ciò che ci divide, ci aiutano a cercare ed a scoprire ciò che ci unisce.

Ed è da questo Spirito di Ponte che si può ripartire per aprire le porte non solo a Cristo, ma ad ogni forma di Speranza e di Dignità.

Presentata nel Salone dei Marmi la raccolta poetica di Vittorio Pesca, “Amore di Dio”, un recupero della Fede e dell’Innocenza nelle tempeste di giorni amari

SALERNO. Un inno alla Fede e all’Amore, nella ricerca e nel recupero della parte più innocente e più consapevole dell’anima.

E tanto calore, tanti sorrisi e congratulazioni da parte dei numerosi amici ed estimatori che sono accorsi, in gran parte non come semplici spettatori, ma come “spettattori”, dato che, oltre ad applaudire il poeta Vittorio, hanno loro stessi commentato il libro e declamato delle liriche ed offerto testimonianza di un rapporto che è, esso stesso, fonte di poesia e di calore umano.

Questo il filo rosso della serata di venerdì 10 ottobre, svoltasi a Salerno presso il Salone dei Marmi del Palazzo di Città, per la presentazione dell’ultimo libro di Vittorio Pesca, Amore di Dio.

Sono intervenuti l’on. Guido Milanese, i prof. Ermanno Guerra (Assessore del Comune di Salerno), Elena Ostrica (Presidente del Centro Artisti Salernitani), Florinda Battiloro (Presidente dell’Associazione “Il Caffè dell’artista”), Mariarosa Palmieri, Angela Furcas, Antonella Sparàno, Carmen Scarano, Luigi Crescibene. Hanno declamato poesie Angela Furcas, Pina Sozio, Anna Maria Maio, Carmen Scarano, Emanuele Occhipinti, Marco Pesca, Virginia di Filippo (in inglese), Rosanna Rotolo, Teresa Rotunno, Mario Apicella, Carmine Bilotti, Cristina Pellegrino, Antonella Sparàno, Florinda Battiloro. Gli intermezzi musicali, tutti graditi, coinvolgenti e di classe, sono stati realizzati dalla cantante Giovanna Petretta, chansonnièrealla francese (che ha alle spalle un bella carriera, con punte nazionali, presenze Rai e partneriato con Memo Remigi) , accompagnata dal tastierista Rosario Cantarella, e dal cantante chitarrista Mimmo di Salerno, chansonnier esperto della canzone napoletana e trascinante “posteggiatore” a voce piena.

Ha relazionato, declamato e condotto il sottoscritto scrivente, Franco Bruno Vitolo.

Con questo volume Pesca ha completato così la sua prima “collana dalle sette perle”, con una raccolta di poesie in cui, pur conservando sempre il suo poetare semplice e chiaro, si distacca leggermente dai temi dominanti delle sei opere precedenti.

In precedenza, Pesca aveva raccontato le speranze, le delusioni, le fatiche e le conquiste della sua esperienza di emigrante, (Cuore di emigrante, Pietre nel cuore, Canti d’amore, Un’altra vita,), la malinconica e struggente rosa dei ricordi piena di spine (), il viaggio dell’esistenza, il rapporto con la parte terminale della vita ed il contatto con l’oltre (Al di là, Nuvole del tempo).

I temi clou di questa raccolta, la Fede e l’Amore, rappresentano da sempre la spina dorsale dei testi, del pensiero e dell’anima di Vittorio Pesca, cantore della famiglia, del lavoro, della lealtà nei rapporti, della solidarietà personale e sociale, del rapporto con le radici cilentane (è originario di Piano Vetrale di Orria), nella difesa di un’identità che viene da lontano e guarda lontano e che ha rappresentato la stella polare di tutta la sua navigazione, salvandone la rotta nei momenti più difficili. .

In questa raccolta Dio è la figura dominante, ora come riferimento di preghiera e di speranza, ora come fonte di solidarietà e amore, ora come padre amorevole, accogliente risolutore di dubbi e problemi, ora anche come padre offeso dal figlio peccatore che tende la mano in cerca di perdono.

I versi con cui Pesca si rivolge a Dio o parla di Dio sono preghiere nude, semplici, sussurrate a labbra semichiuse da un uomo ormai maturo alla ricerca dello spirito bambino che gli ridia la pupilla innocente dell’infanzia, delle radici e della sua identità. Un’ innocenza tanto più necessaria in un mondo travolto dalla violenza, dalla corruzione, dalla mancanza di “centri di gravità permanenti”.

Da questa luce religiosa, si snodano poi le varie liriche, che inizialmente sono professione di Fede, inni alla Speranza, stimoli alla Carità, poi si aprono ai valori più alti di cristianità ed umanità ed ai massimi testimoni del Vangelo, cioè i Papi che negli ultimi tempi hanno guidato il cammino della Chiesa.

Si va da Pio XII, luce di verità, ansia e dolore nel tenebroso buio orrore della guerra, fino al volo di Papa Francesco, venuto dai margini miseri della terra con ali di angeli e sospiri, con la bisaccia piena di amore e di bontà.

Tutte le altre poesie dipendono da questi valori e dalla lezione di queste figure, a prescindere dall’argomento specifico. E non a caso la raccolta termina con la contemplazione delle porte del cielo davanti alla croce della salvezza e si conclude brillantemente con l’agrodolce partenza degli uccelli per altri mondi, metafora vibrante e dolente degli esili e delle migrazioni a cui siamo costretti in questa vita. Eppure, il messaggio finale parte proprio da questi uccelli, perché ci richiamano il piacere dell’anima in volo, la nostalgia di altri cieli ed altri tramonti, che possano risplendere di fronte alle nostre anime finalmente purificate.

Il messaggio complessivo, alleggerito a sua volta da qualche lirica più specificamente ludica (come quella in cui il poeta si diverte a giocare col suo gattino), è arrivato al folto pubblico, che ha gradito ed ha applaudito tanto. Alla fine ha stretto il poeta in un abbraccio affettuoso, sancendo il successo di una serata feconda sul piano della comunicazione, stimolante per il suo omaggio alla poesia dello spirito ed allo spirito stesso dell’ispirazione poetica… ed anche giustamente gratificante, dato che dai Dirigenti del Centro Artisti Salernitani, di cui è socio attivo sempre, Pesca ha ricevuto il prestigioso riconoscimento di una medaglia d’oro alla carriera.

Il sorriso finale del buon Vittorio lascia intuire che, completata la prima collana delle sette perle, ha già pronto un nuovo filo per inserirvi nuove perle e farle luccicare con le luci di quella purezza che è la stella polare del suo cammino di poeta e di uomo.

Per un lettore ed un appassionato di poesia, sono queste le collane più gradevoli e più facili da indossare. E non vanno mai fuori moda ….