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Storia d’amore … e malattie. Brilla la giovane cavese Giusella De Maria al suo esordio Mondadori con il romanzo “Io non sono ipocondriaca”

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Due capitoli iniziali scoppiettanti, divertenti, stimolanti: ed eccoci subito catapultati nel mondo di Nina, l’affascinante “cuoca imprenditrice” sorrentina che “non è” ipocondriaca, o almeno crede di non esserlo. Era dai tempi delle conversazioni erotico amorose a base di pillole tranquillanti ed antidepressive tra Woody Allen e Diane Keaton in Provaci ancora Sam o tra il Verdone e la Margherita Buy di Maledetto il giorno che t’ho incontrato, che non mi capitava un’ironia così frizzante ed incisiva sui malati più o meno immaginari. Mentre leggevo e ridevo, alle mie spalle sentivo lo spirito di Molière sbirciare le pagine e scoppiare in un compiaciuto sorriso alla francese.

Seduttore l’incipit, squillante l’approccio, fresco il talento, dissetante e stimolante la lettura di tutto il libro: insomma, chiare, fresche e agrodolci acque per il brillante secondo battesimo di Giusella De Maria, giovane e promettente scrittrice nata a Cava de’ Tirreni (dove condiva la penna con l’olio dei sogni fin dai tempi del Liceo Scientifico “A.Genoino”), che con Non sono ipocondriaca ha esordito con la Casa Editrice Mondadori dopo il felice esito nazionale del primo romanzo, Suona per me (Avagliano Editore).

Il personaggio di Nina, nel racconto in prima persona, buca subito la pagina, emergendo come quello di una giovane trentenne in continua guerra con la paura di infezioni e malattie, di ictus improvvisi e soffocamenti da allergia, e quindi barricata sulla trincea della prevenzione con provviste di medicinali a carrelli, con igiene e lavaggi a mitraglia della casa e della persona, con innamoramento verso le farmacie come fossero pasticcerie e bordate di maledizioni contro i medici Prozac che attribuiscono tutto alla suggestione. Il tutto è accentuato dalla natura del suo lavoro, che ha il centro a Sorrento ma si effonde negli angoli turisticamente più in della Divina Costiera: Nina non ha un catering, ma “è” un catering, essendo creatrice di cibi raffinati e fantasiosi ed imprenditrice di successo, prima dipendente della sua azienda -persona. Non fa tutto da sola, naturalmente: collaborano con lei l’amica pasticciera Lucy, l’amica convivente Carol di spirito e pronunzia anglosfiziosi, il tuttofare Gigi, simpatico ed empatico. Collaboratori sì, ma soprattutto amici e confidenti, che sono proteico contorno e parte integrante del colorato Nina’s world. A loro si aggiunge presto Lino, neodirimpettaio dalla squisita sensibilità femminile, meravigliosamente farmacista ed anche lui convintamente antimediciprozacman.

Su questa cornice appetitosa si sviluppa la storia di Nina, delle sue fisime, del suo incontro “cinematografico” con il bolognese Marcus, scambiato inizialmente con un simpatico pesatore di cipolle da supermercato e poi rivelatosi invece, oltre che una persona di calda sensibilità e di alto profilo intellettivo ed umano, un supermedico di fama nazionale, un Dottor Fusto mica male, degno di Ashton Kurtcher, lo strafigattore-modello-produttore USA, tra l’altro ex marito di quella Demi Moore che di stra…non manca di certo.

Se l’antipasto è appetitoso, il “pranzo” cucinato da Giusella De Maria è ben degno delle aspettative. E non solo perché qua e là tra feste amicali, cenette intime e cerimonie conviviali fanno capolino una miriade di pietanze che potrebbero costituire un libro intero di ricette (magari dal titolo Fata Nina in Cucina-Le ricette per curare l’ipocondria). Ci riferivamo allo sviluppo narrativo, ai vari piani di lettura possibili, allo stile giuselliano.

La struttura della trama e lo stile narrativo sono a prima vista ispirati alla commedia rosa, con più di una strizzatina d’occhio verso la pink comedy cinematografica targata USA.

La storia d’amore, su cui essa si incentra, segue il classico schema: l’incontro casuale, le fasi iniziali sospese tra incantamento e conflittualità, i picchi di intensità e di distacco, la “catastrofe” che rivoluziona il rapporto, la “spannung” del sottofinale che fa temere la fine del possibile lieto fine, prima dell’invenzione che risolve in altro modo la vicenda.

Ma questi ingredienti non bastano. Per coinvolgere il lettore, occorrono due elementi imprescindibili: l’affabulazione arpionante e i colpi di scena disarmanti. E qui Giusella de Maria dimostra di essere già decisamente all’altezza. Lo stile è scoppiettante ed i periodi vanno giù con la facilità e la sostanza di una coppa di champagne…o di una pasticca orodegradabile. Quando poi la storia sembra aver preso la piega attesa dal lettore, ecco una piccola deviazione, quel tanto che basta per far capire che nulla è scontato.

E scatta così l’arpionamento del lettore, poi insaporito dalla suggestione delle tematiche. L’ipocondria in primo piano, naturalmente, studiata e rappresentata con ampie cognizioni scientifiche, umanamente compresa ma poi denunciata con tutto il suo carico di difesa dalla vita che fa morire dentro. E con il fragore elettrica che sorge dal contatto tra malattia presunta e malattia vera.

E la costante dialettica, veicolata soprattutto dal tris Nina-Marcus-Lino, tra la logica dell’essere medici di se stessi e la necessità di affidare se stessi ai medici, magari con la necessaria scommessa di una bustina di fiducia idrosolvente.

E la fondamentale importanza, nelle relazioni, della comunicazione senza reticenze e dell’informazione razionale su ciò che veramente succede prima di dar luogo all’esplosione irrazionale per ciò che pensiamo sia successo.

E poi, la capacità di comprendere che non siamo l’ombelico del mondo e che, in un confronto vero, e senza ombelico dominante, con le vite degli altri, noi stessi, gli altri, il mondo appariremmo in una luce più chiara, come succede a Nina dopo i giorni rivelatori trascorsi in ospedale.

E ancora, l’avvertimento che dietro atteggiamenti anomali e fobie consolidate si nascondono spesso insicurezze, o traumi la cui conoscenza apre ponti lì dove la diffidenza di fronte alla stranezza aveva creato dei muri E dietro atteggiamenti di serena sicurezza si possono nascondere invece drammi dolorosi e pesanti, sopportabili solo se accettati con la consapevolezza della nostra umana fragilità. Illuminanti, al riguardo, le belle pagine sulla scoperta dei buchi neri di Nina da parte di Marcus e l’emozionante incontro di Nina con un fascinoso ammalato terminale.

Tutto questo impasto di luci e di ombre arriva diretto al cuore del lettore, ma solo dopo essere passato per il cuore della protagonista Nina, che alla fine uscirà dalle impreviste e salutari avventure di salute più libera dalle paure, più ricca di sé, più capace di amare…e di essere amata. Ma non del tutto diversa, per fortuna: chi nasce tonda, non può morire quadrata….

Il rosa del romanzo d’amore, pur nel permanere della leggerezza e della brillantezza narrativa, si colora così di tonalità più forti e più vive. Il dolce si mescola con l’agro delle nostre spalle scoperte e delle gabbie che costruiamo noi stessi intorno al nostro cuore.

In questo impasto il libro scopre le sue ambizioni.

Voleva essere un romanzo per tutte le età e per tutti i gusti, godibile e non banale: e secondo noi, nonostante qualche leggera forzatura nel finale, ci è riuscito pienamente.

La nostra Giusella voleva cimentarsi sulla scia diSophie Kinsella, campionessa internazionale del romanzo leggero di qualità. E, pur con le necessarie proporzioni, si rivela competitiva a pieno titolo, per la brillantezza dello stile e delle invenzioni…ed anche sul piano della modernità delle fisime messe in scena: la shoppingmania per la Kinsella, la farmacomania ipocondiraca o pseudo tale per Giusella.

Giusella voleva scrivere un romanzo che, come il precedente Suona per me, potesse essere l’intelaiatura di un possibile film: e crediamo proprio che, rileggendo la sua storia, si sia giustamente divertita a immaginare in celluloide le scene inventate, magari con un Dottor Fusto alla Clooney ed una sinusoidale e fascinosa ipocondriaca alla Meg Ryan o alla Jennifer Lawrence o anche, perché no, alla Paola Cortellesi, o anche, perfino e perché no, alla Giusella de Maria, dati i suoi trascorsi di attrice brillante…

Ma il suo sogno più intenso e più ad occhi chiusi eroticamente vagheggianti forse è che dopo questo romanzo anche la Mondadori Edizioni si impossessi del kit salvavita Mai senza inventato da Nina: solo che, anziché pomate e medicine come nel romanzo, si trasformi in un mai più senza Giusella. Del resto, dopo un battesimo felice, c’è la prateria di una vita tutta da conquistare. E la cavallina è pronta per galoppare …