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Dopo Chagall, Joan Mirò e i Surrealisti: la Mediateca Marte continua a volare alto. E raddoppia l’offerta didattica e laboratoriale per giovani e studenti
CAVA DE’ TIRRENI (SA). Dopo il grande successo della mostra Marc Chagall. I segni e i colori dell’anima (marzo – luglio 2015, che ha raccolto circa ottomila visitatori di tutte le età)), un nuovo grande evento alla Mediateca Marte di Cava de’ Tirreni. Il 20 febbraio scorso ha preso il via la mostra “Joan Mirò e i Surrealisti. Le forme, il sogno, il potere“, che sarà in cartellone fino al al 20 giugno 2016.
Continuità e rilancio rispetto alla mostra dello scorso anno. Ci saranno ancora ambienti accoglienti, ci saranno opere che hanno nel loro DNA sogno, fantasia e creatività tali da parlare alle pupille dei più giovani ed aprire finestre pittoriche di alta suggestione ed emozione culturale per i più adulti. Non è cambiata la squadra di base, che si avvale dei due superconfermati, l’attore Giuseppe Basta, giocoso e stimolante intrattenitore e lettore, e la “giardiniera delle idee” Carmela Pezza, ed è arricchita quest’anno dalla psicologa Valentina Lamberti, dal regista-attore Francesco Puccio, dalla danzatrice Alba Pagano, dalla burattinaia affabulatrice Flavia D’Aniello. La didatticità del Progetto complessivo si è ulteriormente ampliata, con una maxiserie di laboratori attivi e congruenti con l’età degli interessati. Dal Disegno surrealista e Macchie d’arte per i bambini di due – cinque anni si sale verso i cinque anni con Dal segno al disegno, per proseguire con Gli omini di Mirò (min. 5 anni), Danza creativa (min. 3 anni), Arte a soqquadro (min. 6 anni),Cielo e stelle (4-8 anni), Riciclo… come Mirò (4-8 anni), Scarabocchio a due e Pezzi di me (min. 10 anni), Max Ernst e il frottage (4-13 anni), Autoritratto surrealista (min. 10 anni), Collage surrealista (min. 13 anni). Laboratorio di teatro (min. 16 anni).
Al centro dell’evento rimane comunque il cammino di Mirò (Barcellona 1893 – Palma de Maiorca 1983) e dei surrealisti, a partire dal secondo quarto del Novecento, alla ricerca di un linguaggio nuovo che esprimesse più dall’interno le tonalità, le complessità ed i vagheggiamenti di una società complessa ed ancora indecifrabile, stretta in una morsa esplosiva tra il vecchio in rottura e l’impellenza di una nuova identità, non importa se “definibile” o “indecifrabile”.
Con molta efficacia la Responsabile Grandi Eventi, Francesca Boccafusca, ed il curatore della Mostra, Marco Alfano (coadiuvati dalla Segretaria del Marte Matilde Nardacci, dalla Segretaria della Mostra Michela Giordano e dall’Amministratore Delegato Alfonso Baldi), hanno diviso le opere grafiche di Mirò in tre tracciati e le hanno integrate con una trentina di opere di fascinosi big del surrealismo.
Il primo tracciato su Mirò riguarda la necessità delle forme, seminate dall’artista “giardiniere” come semi da far fruttare nell’anima: trattate in rapporto alle evocazioni ed immaginazioni che sono capaci di suscitare, in un efficace elastico tra definizione dell’oggetto e vaghezza del mistero. Il secondo, sempre attraverso le vaghezze formali ed i simboli scavati nella mente e nel cuore, evoca e racconta, la natura del potere e la maschera grottesca dietro al cui paravento viene esercitata. Insieme con le potenti apocalissi pacifiste del cileno Sebastian Matta, nella produzione di Mirò ne è il paradigma più eloquente la vicenda di Ubu roi, storia di una resistibile e grottesca scesa al potere raccontata a fine secolo XIX dal francese Alfred Jarry, ambientata in Polonia e poi usata in tutta Europa come spunto per feroci satire del potere. Non ultimo, a utilizzarla è stato Dario Fo ai tempi di Berlusconi Presidente.
Il terzo richiama i sogni e le loro “realtà”, in parte esplorabili secondo i dettami della rivoluzione freudiana di inizio Novecento, in parte traducibili sulla tela come spifferi dell’inconscio, come suggerivano i surrealisti come base della loro “poetica visiva”. E qui Mirò ha tanti nobilissimi compagni, come ad esempio Dalì con la sua splendida Leda, o De Chirico con le sue misteriose e statuarie figure, o Magritte con i suoi “occhi” inquietanti.
Il segreto dell’attrattività della mostra è comunque la semplicità di partenza, quella semplicità che sa veramente parlare a tutti. “Le cose più semplici mi danno delle idee”, diceva Mirò, che nel rapporto stretto con la quotidianità e con la natura traeva lo spunto emozionale e la tensione per tracciare graficamente forme e segni di primordiale comunicatività. Il binario del surrealismo, in galoppante ascesa durante la prima metà del XX secolo alla scoperta delle voci nascoste dell’inconscio, del cuore e della mente, è quello giusto per esprimersi con tutti i colori dell’anima e senza regole pregresse che possano limitare la comunicazione.
Si esalta così quella spontaneità assoluta che è tipica anche dell’infanzia, unita alla consapevolezza dell’impatto con l’esterno che è più matura nel mondo adulto. Per dirla in una parola comune ed altissima, il gioco, inteso nella sua accezione più ampia e profonda, che poi è il riflesso del gioco stesso della vita. Non un gioco fine a se stesso, dato che soggettivamente mira a stabilire un rapporto più profondo con l’esistenza e socialmente è capace di arricchirsi di contenuti anche forti, provocatori, ribelli, soprattutto quando stimola riflessioni sull’arroganza del potere, o dei poteri. Come del resto suggerisce anche il comunicativo titolo dell’evento.
Quando si gioca, non ci sono barriere che tengano. Perciò le forme e le trasfigurazioni di Mirò e degli amici surrealisti sapranno essere fortemente coinvolgenti e senza il limite dell’astrazione pura. Infatti il grande creativo non manca mai di lasciare il segno di un’immagine comune, che sia una pupilla o un’ala d’uccello o uno spicchio di luna.
L’incontro con questi artisti sarà quindi un momento formativo per tutti gli ordini di scuola. Non formazione spontaneista e ruspante, ma formazione preparata e ben inserita nella programmazione didattica. E per i meno giovani sarà fonte di contemplazione attiva e stimolo per il recupero della fantasia del sé oltre gli standard della massificazione.
Ma occorre che “si accorgano” dell’evento: e perché questo avvenga più compiutamente, oltre ad un’attenzione meno distratta da parte loro, non sarebbe male anche qualche manifesto in più e più visibile da parte dell’organizzazione. Comprendi l’importanza?
- Il curatore della Mostra, Marco Alfano, durante una delle sue spiegazioni al pubblico
- L’attore Giuseppe Basta intrattiene gli spettatori con una vivacissima lettura su Ubu roi
- Ubu roi, l’immagine simbolo della Mostra
- Le “forme” di Mirò
- Il quartiere cinese (Barrio chino), di Mirò, con la stilizzazione del caratteristico risciò
- Frappe le marteau qui frappe, la polemica apocalittica di Matta
- Un caratteristico “uccellino” di Mirò
- Una spettatrice in contemplazione di fronte alla leda di Dalì
- L’attore Giuseppe Basta diverte con la teatralizzazione del sogno